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Biden a Netanyahu: Israele non può andare avanti così

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Dopo le perplessità trasmesse diplomaticamente dietro le quinte, le preoccupazioni americane sulla riforma della giustizia di Benyamin Netanyahu sono esplose in un grido d’allarme, trasformatosi in uno scontro fra due Paesi alleati da sempre. A rendere esplicita la posizione Usa è stato direttamente Joe Biden, le cui affermazioni sono immediatamente rimbalzate in Israele suscitando polemiche a cominciare dal premier, che ha risposto per le rime. Israele, è stato il ruvido monito del capo della Casa Bianca, “non può continuare sulla strada” della riforma giudiziaria, questo “l’ho chiarito” e Netanyhau “farebbe bene ad allontanarsene”. Poi ha rincarato la dose: “Come molti forti sostenitori di Israele, sono molto preoccupato. Si spera che il premier agisca in modo da cercare di trovare un vero compromesso ma questo resta da vedere”. Poi, dopo aver escluso una visita di Netanyahu “a breve termine” – mentre l’ambasciatore Usa in Israele Tom Nides ne aveva evocato l’imminenza -, ha aggiunto: “Non vogliamo interferire. Non stiamo interferendo. Conoscono la mia posizione e quella dell’America. Conoscono la posizione dell’ebraismo Usa”.

Netanyahu ha replicato subito: Israele è un “Paese sovrano” che prende “decisioni per volontà del popolo e non sulla base di pressioni dall’estero, compresi i migliori amici”. “La mia amministrazione – ha sottolineato – è impegnata a rafforzare la democrazia ripristinando il giusto equilibrio tra i tre rami del potere, che stiamo cercando di raggiungere attraverso un ampio consenso”. Successivamente, intervenendo on line al summit delle democrazie convocato proprio da Biden, ha ribadito che l’alleanza con Washington, “salvo divergenze occasionali”, è “irremovibile”. Ed ha assicurato agli Usa che grazie alla pausa nell’iter della riforma alla Knesset, le parti “possono vedersi” e cercare “un ampio consenso nazionale”.

Ma intanto il fuoco era divampato. Il ministro della Sicurezza nazionale e leader di destra estrema Itamar Ben Gvir – e dopo lui altri esponenti del Likud – ha voluto ricordare a Biden che Israele “non è un’altra stella sulla bandiera americana. Siamo una democrazia e mi aspetto che il presidente Usa lo comprenda”. Ben Gvir è stato immediatamente rimbeccato dal leader dell’opposizione Yair Lapid. “Per decenni – ha twittato – Israele è stato il più stretto alleato degli Usa. Il governo più estremista nella storia di questo Paese ha rovinato tutto questo in tre mesi”.

Una polemica che rispecchia la situazione in Israele, dove le parti, sotto la mediazione del presidente Isaac Herzog, continuano gli incontri, ma dove non si fermano le proteste. Anche oggi a Tel Aviv, seppur di minore entità, ce ne sono state ed è confermato l’appuntamento principale di sabato sera. Le organizzazioni contrarie alla riforma hanno detto di non fidarsi della pausa annunciata da Netanyahu, considerata solo un escamotage per prendere tempo. A rendere ancora più scivoloso il tutto sono state alcune affermazioni del ministro della Giustizia Yariv Levin (Likud), uno degli architetti della legge. “Farò uno sforzo supremo – ha promesso ai suoi sostenitori – per fare giustizia e per far approvare la legge nella prossima sessione della Knesset”.

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Russia, attacco con droni su una raffineria di Krasnodar e bombe su Belgorod

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Un serbatoio di stoccaggio di petrolio greggio ha preso fuoco in una raffineria di petrolio nella regione di Krasnodar, nella Russia meridionale, presumibilmente a causa di un attacco con droni: lo ha detto il governatore Veniamin Kondratyev sul suo canale Telegram. “Un incendio è scoppiato sul territorio della raffineria di petrolio Afipsky. Un impianto di raffinazione ha preso fuoco. Un attacco di droni è al momento ritenuto la causa più plausibile”, ha aggiunto, precisando che “l’incendio è stato contenuto in un’area di 100 metri quadrati e non ci sono state vittime”. Il rogo è stato in breve definitivamente spento.

Le autorità di difesa russe hanno accusato sempre le forze armate ucraine di aver nuovamente bombardato la città di Shebekino nella regione di Belgorod, nel sud-ovest della Russia, dove una donna è rimasta ferita. “Gli edifici residenziali sono stati danneggiati. Un certo numero di veicoli ha preso fuoco”, afferma una nota del centro di risposta alle crisi della regione diffusa dalla Tass. Il distretto di Shebekino, che confina con l’Ucraina, è stato oggetto di pesanti bombardamenti negli ultimi giorni. Solo lunedì, 155 proiettili sono caduti sul suo territorio, di cui 48 nel centro amministrativo del distretto.

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Attacco con i droni nel cuore di Mosca, l’ira di Putin

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In attesa della controffensiva ucraina, tra Mosca e Kiev si scatena la guerra dei droni, e per la prima volta anche la capitale russa viene investita in pieno. Almeno otto velivoli senza pilota sono stati lanciati nelle prime ore di oggi verso la città, e tre hanno colpito grandi torri residenziali in quello che le autorità russe hanno definito un attacco “terroristico” di Kiev. Gli ucraini smentiscono, come fatto per altri episodi precedenti. Ma allo stesso tempo si dichiarano “lieti di guardare e prevedere un aumento del numero di attacchi”, come ha detto il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak.

Le autorità di Kiev denunciano intanto la terza notte di pesanti attacchi contro la capitale ucraina, con un bilancio di almeno un morto e 13 feriti. Secondo le stesse fonti, circa 20 droni iraniani Shahed-136 sono stati lanciati contro la città. Quasi tutti sono stati abbattuti, ma i frammenti di uno dei velivoli sono caduti su un edificio nel distretto di Holosiivskyi provocando un incendio. Quanto agli attacchi su Mosca il ministero della Difesa ha affermato che cinque dei droni utilizzati – che non si sa dove siano stati lanciati – sono stati distrutti dai sistemi contraerei Pantsir. Altri tre hanno deviato dalla loro traiettoria dopo essere stati intercettati dai sistemi di difesa elettronica e sono precipitati su grandi edifici residenziali nel sud-ovest di Mosca: uno sulla Leninsky Prospekt, uno sulla Via Profsoyuznaya e un terzo sulla Via Atlasova, nel sobborgo di Nuova Mosca, fuori dalla grande tangenziale della capitale.

Il sindaco, Serghei Sobyanin, ha parlato di due feriti lievi, mentre una delle torri residenziali, quella sulla Profsoyuznaya, è stata evacuata. Alcuni canali Telegram danno notizia di un numero molto superiore di droni, mentre fonti della testata indipendente Novaya Gazeta affermano che due velivoli sono stati abbattuti nell’area di Rublyovka, ad ovest della città, dove sorgono le ville dell’elite politico-economica, non lontano dalla residenza del presidente Vladimr Putin, a Novo Ogaryovo. Continuano intanto anche gli attacchi ucraini sulla regione russa di Belgorod, dove oggi il governatore ha denunciato un bombardamento che avrebbe provocato morti e feriti tra i cittadini ospitati presso centri di raccolta dopo essere stati evacuati dalle loro case. Il 3 maggio scorso due droni erano esplosi sopra il Cremlino.

Anche in quel caso Kiev aveva negato ogni responsabilità, ma qualche giorno fa fonti d’intelligence americane hanno detto al New York Times che dietro all’operazione c’erano proprio i servizi segreti ucraini. E ieri il capo dei servizi segreti militari ucraini, Kirill Budanov, aveva parlato degli ultimi raid russi su Kiev per lanciare un avvertimento: “Se ne pentiranno molto presto, la nostra risposta non si farà aspettare”, aveva detto. Secondo il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, gli attacchi contro Mosca sono stati una rappresaglia per un bombardamento compiuto domenica dai russi su un “centro decisionale” a Kiev. Putin ha identificato tale centro come il quartier generale dei servizi d’intelligence militari ucraini, che a suo dire sarebbe stato colpito “due o tre giorni fa”. Un’affermazione di cui non è possibile avere alcun riscontro da parte ucraina. Obiettivo di Kiev, ha detto Putin, è sì “terrorizzare i russi”, ma soprattutto “provocare una risposta della Russia”.

“Vedremo cosa fare a questo proposito”, ha aggiunto il presidente. Da parte loro gli Stati Uniti – a differenza di Londra – hanno dichiarato di non sostenere gli attacchi all’interno della Russia. “Ci siamo concentrati sul fornire all’Ucraina le attrezzature e l’addestramento di cui ha bisogno per riconquistare il proprio territorio sovrano”, ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato. Ma Mosca non ci crede e accusa gli Stati Uniti e tutta la Nato di “ipocrisia”, riservandosi “il diritto di adottare le misure più severe in risposta agli attacchi terroristici di Kiev”, ha avvertito il ministero degli Esteri. Quel che è certo è che gli attacchi hanno avuto un forte impatto emotivo sui moscoviti e sui russi in generale, provocando nuovi affondi contro i vertici militari dai critici schierati su posizioni oltranziste. “Perché lasciate che questi droni arrivino a Mosca?”, ha chiesto il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, rivolgendosi ai vertici della difesa con l’epiteto di “sporchi bastardi”. Mentre il comandante ceceno Ramzan Kadyrov ha chiesto nuovamente di introdurre la legge marziale.

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Immunità a Putin in Sudafrica, allarme della Cpi

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In Sudafrica, nei prossimi mesi, potrebbe scoppiare un caso Putin. Il governo di Pretoria infatti ha annunciato che il leader russo otterrà l’immunità diplomatica per partecipare al vertice dei Brics a fine agosto, nonostante il mandato d’arresto nei suoi confronti emesso dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra in Ucraina. Tale immunità, ha puntualizzato l’esecutivo sudafricano, verrà concessa in modo automatico a tutti i leader ed i rappresentanti stranieri. Tuttavia l’opposizione, e una parte della comunità internazionale, teme che si tratti di una manovra del regime amico di Mosca per impedire l’arresto dello zar. Non a caso, la stessa Cpi ha subito lanciato un appello alle autorità locali a “cooperare”.

La partecipazione di Putin al summit Brics non è affatto certa, perché il Cremlino si è limitato a riferire che la rappresentanza russa sarà del “dovuto livello”. E in attesa che il leader russo sciolga la riserva, il Sudafrica non si è sbilanciato sulle sue mosse. Nonostante abbia aderito al trattato istitutivo della Cpi. Il ministero degli esteri, in una nota, ha fatto sapere che “si tratta di un conferimento standard di immunità per tutte le conferenze e i vertici internazionali”. E tale protezione, si assicura, “non annulla alcun mandato emesso da un tribunale internazionale nei confronti di un partecipante alla conferenza”. Al contrario, secondo il principale partito di opposizione, l’Alleanza Democratica, l’iniziativa del governo è un passo preparatorio per fornire copertura legale alla visita di Putin. Un sospetto alimentato dalle dichiarazioni del capo dell’esercito, Rudzani Maphwanya, che ha già messo le mani avanti: “Non possiamo arrestare Putin, è prerogativa della polizia”.

Anche i media locali hanno colto l’ambiguità della nota ufficiale del governo, lasciando intendere che si stia preparando il terreno per trovare una via legale e far intervenire Putin al vertice Brics. I rapporti tra i due Paesi, del resto, sono caratterizzati da una solida partnership, e non a caso il Sudafrica si è rifiutato di condannare l’invasione russa dell’Ucraina. Anzi, è l’accusa degli Stati Uniti, avrebbe persino fornito armi e munizioni a Mosca nei mesi scorsi, in segreto. All’Aja gli inquirenti della Cpi restano alla finestra, ma i precedenti non autorizzano all’ottimismo. Già nel 2015 Pretoria si era rifiutata di eseguire il mandato d’arresto per crimini di guerra contro l’allora presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir in missione per un vertice dell’Unione Africana. Sostenendo che godesse dell’immunità in quanto rappresentante di un Paese. Ma la posizione della Corte Penale, allora come oggi, non è cambiata: “I Paesi che ospitano i vertici internazionali hanno l’obbligo legale di cooperare nel quadro dello statuto di Roma”. E quindi, le immunità concesse a un individuo in forza del diritto interno di un Paese o del diritto internazionale consuetudinario, non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza nei confronti di quell’individuo. Che quindi può – e deve – essere arrestato.

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