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Cronache

“Berlino 1989. Fotocronaca di un varco”, la storia rivissuta attraverso le foto diventa un libro: l’autore è Mario Laporta

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Il 9 novembre del 1989 la caduta del Muro di Berlino spaccava in due la storia europea del ventesimo secolo. Mario Laporta, fotogiornalista napoletano, era a Berlino e ha potuto documentare la Storia mentre veniva scritta. I suoi scatti memorabili, testimonianza preziosissima di quell’evento, diventano ora il libro fotografico “Berlino 1989. Fotocronaca di un varco”, edito dalla casa editrice Mediterranea di Napoli. Il libro sarà presentato mercoledì 26 febbraio alle 17:30, presso la biblioteca del museo Madre a Napoli.

Laporta ha raccontato con i suoi scatti i principali eventi internazionali, ma di nessuno ha un ricordo così nitido come del 9 novembre 1989. Riviviamo allora attraverso le sue immagini e le sue parole il racconto di una vicenda diventata patrimonio della memoria collettiva.

Laporta, come si ritrovò a Berlino nella storica giornata della caduta del Muro?

Stavo documentando le manifestazioni degli abitanti di Berlino Est, che chiedevano al governo maggiore libertà di movimento. C’era fermento perché in quel periodo l’Ungheria aveva aperto le frontiere, consentendo ai tedeschi dell’Est di arrivare in Occidente passando dall’Austria. Facevo la spola ogni giorno fra Berlino Ovest e Berlino Est, pagando una tassa di circa cinque marchi. Intanto organizzavo il mio viaggio per Lipsia, cuore pulsante delle proteste. Non era semplice uscire dalla città eludendo i controlli capillari della STASI e quindi impiegai diversi giorni per trovare i contatti giusti. La sera dormivo a casa di un’amica, nella parte occidentale. Il 9 novembre telefonò un suo amico tedesco che non parlava inglese. Iniziò a ripetere “Mauer”, ma non capivo nient’altro. Mi disse di accendere la tv; stavano mandando in onda i primi servizi: il Muro era crollato.

Quale fu la sua reazione? Comprese subito la portata rivoluzionaria di quell’evento?

Le confesso che per alcuni secondi pensai ai quattro giorni di lavoro buttati per organizzare il rischioso viaggio per Lipsia. Dopo poco mi resi conto invece che ciò che stava accadendo in quegli istanti era infinitamente più importante del lavoro andato in fumo. Ero andato lì per realizzare un’esclusiva, mi ero ritrovato davanti alla Storia. Mi precipitai immediatamente alla porta di Brandeburgo e iniziai a scattare le prime foto.

Che aria si respirava per le strade nei giorni che precedettero il 9 novembre?

C’erano varie manifestazioni, ma era abbastanza pacifiche. A Lipsia si respirava invece maggiore tensione, per questo motivo ero diretto lì. C’era aria di cambiamento, ma nessuno poteva immaginare ciò che di lì a poco sarebbe successo. Poi, il giorno del 9 novembre, durante una conferenza stampa, il portavoce del governo Guenter Schabowski annunciò che si stavano attrezzando per favorire i viaggi dei cittadini orientali verso la Germania Ovest. Fu allora che Riccardo Ehrman, corrispondente dell’Ansa, pose la famosa domanda, che gli era stata suggerita da un informatore: “da quando?” E Schabowski rispose: “da subito”. Fu la miccia che fece riversare per strada migliaia di persone. Un momento storico e io ero lì, sono stato fortunato.

Che cosa ricorda di quella giornata?

Io ricordo tutto. Ricordo gli scatti e i momenti precedenti e immediatamente successivi. Ricordo le facce delle persone e le emozioni forti e contrastanti stampate sui loro volti. E poi ricordo l’incredulità della gente, persone che attraversavano il confine dopo ventotto anni e non ci credevano; non sapevano cosa fare una volta giunti dall’altra parte. Le famiglie che si ricongiungevano, quelli che cercavano i parenti con solo un indirizzo in mano. All’inizio c’era talmente tanta euforia ed entusiasmo che pensavano solo a passare dall’altra parte. Molti di loro però non volevano diventare occidentali, chiedevano solo maggiore libertà di movimento. Mi colpì molto una testimonianza di un cittadino dell’Est che non comprendeva come mai ad Ovest ci fossero dei senzatetto; ad Est non c’erano, era qualcosa di inconcepibile. Due mondi agli antipodi che si incontrarono dopo tanti anni di separazione.

C’è una foto a cui è particolarmente legato?

Sono legato a tutte le foto, a dire il vero. Gliene racconto una, che si trova nelle prime pagine del libro, accanto al mio testo. E’ quella che più ci aiuta a comprendere come il muro fosse percepito. Noi da ovest, vedevamo un muro soltanto, alto appena tre metri e sessanta. Dall’altro lato, gli abitanti di Berlino Est, oltre al muro comune, vedevano quindici metri di filo spinato, poi una terra di nessuno, un campo che in alcuni punti poteva essere minato. Percepivano il muro come invalicabile molto di più di quanto non avvenisse dall’altra parte. In quella foto si vedono entrambi i lati della barricata; la scattai dalla gru di una televisione americana.

Perché ha deciso di realizzare un libro fotografico?

Il progetto è nato dopo la mostra all’ex Fabbrica Bertoni di Saluzzo. Lì ho incontrato tanti studenti, alcuni molto preparati, altri non ne sapevano nulla. Penso sia importante alimentare la memoria in questo momento storico perché, a trent’anni dall’abbattimento di quel muro, altri ne sorgono per dividere ed escludere. Ma se quello era un muro ideologico, espressione di due modi contrapposti di intendere la società, quelli odierni sono muri frutto di odio e razzismo, privi di qualsiasi senso.

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Cronache

Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Cronache

Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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