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Economia

Bce boccia tassa sugli extraprofitti, governo va avanti

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Arriva lo stop della Bce alla tasse sugli extraprofitti delle banche. “Non va usata per risanare il bilancio”, scrive l’istituto nel parere sull’imposta e va usata “con cautela” per evitare che impatti sulla qualità creditizia degli istituti. Un monito che arriva dopo la bocciatura dell’Abi su una misura che la maggioranza, a partire proprio alla premier Giorgia Meloni, rivendica ed è intenzionata a portare avanti. Sono diversi, però, i punti dolenti secondo la Banca centrale: “limitare la capacità degli enti creditizi di mantenere posizioni patrimoniali adeguate” potrebbe “mettere a repentaglio una regolare trasmissione delle misure di politica monetaria”. E ancora: essendo una una tantum bisogna “evitarne l’uso a fini generali di risanamento di bilancio”. “L’imposta straordinaria – dice infine l’istituto – può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario”. Rilievi che non sembrano destinati ad incidere sulla volontà del governo di portare avanti una norma che potrebbe fruttare, come sottolinea Meloni, “qualcosa meno” di tre miliardi.

La tassa, rivendica Meloni “non ha un intento punitivo” e si andrà avanti. “Quello che pensa la Bce dell’intervento economico dell’Italia sulle banche – rincara la dose Matteo Salvini – mi interessa relativamente. Il decreto arriva in Parlamento, che è sovrano e io sono assolutamente convinto che se a fine anno le banche italiane, invece di avere profitti superiori a 20 miliardi ce l’avranno di 2-3 in meno e i soldi verranno usati per gli stipendi, non soffriranno”. Insomma, avanti sulla misura che potrebbe comunque subire degli aggiustamenti in corso di esame in Senato. Domani scade il termine per gli emendamenti e Forza Italia ha già fatto sapere che chiederà della modifiche. “Se ci sono correttivi da fare – avverte però la premier – si possono fare ma non intendo fare marcia indietro. Modifiche si possono fare a parità di gettito”. Bene l’apertura, commenta Antonio Tajani: “Apprezzo le parole di Giorgia Meloni disponibile a correggere il testo”. Ma non è escluso che sulle limature si arrivi comunque a un braccio di ferro. Del resto il dove e il come racimolare le risorse resta ancora il tema numero uno da affrontare. Tanto è vero che i più realisti nella maggioranza allo stato danno per scontati solo il taglio del cuneo, che si cercherà di rendere strutturale e che pesa 12 miliardi, e i fondi sulla sanità. Per tutto il resto ci sarà spazio solo a fronte di coperture cristalline. La detassazione delle tredicesime, ad esempio, in un primo tempo pensata per il decreto fiscale in modo da essere effettiva già entro l’anno, potrebbe entrare, invece, in un decreto attuativo della delega fiscale.

“Il modo più strutturato per agire sulla detassazione delle tredicesime”, spiega la capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Bilancio alla Camera Ylenia Lucaselli in una intervista a MF, è “allacciare questa misura alla legge delega fiscale” perché “trattandosi di un costo per la finanza pubblica particolarmente rilevante sarebbe meglio innestare questa scelta in un perimetro più esaustivo”. A prevalere in questa fase è il realismo, dunque. Ma nei partiti non manca chi torna in pressing sull’aumento di qualche punto del deficit 2024 per liberare risorse. Il governo smentisce invece qualsiasi genere di sanatoria dopo le indiscrezioni del Corriere della sera su una voluntary disclosure su contanti e valori non dichiarati al fisco e detenuti in cassette di sicurezza. “Smentisco che sia allo studio”, dice il viceministro dell’Economia Maurizio Leo. Tutto questo, nonostante si tratti di un modo veloce per fare cassa e i margini di manovra restino limitati. In ogni caso qualcosa di più sul quadro effettivo dei numeri anche in vista della Nadef si potrà capire dopo la riunione di Ecofin ed Eurogruppo di questo fine settimana di Santiago de Compostela al quale parteciperà il ministro Giorgetti e dal quale potrebbe emergere, tra l’altro, più chiaramente anche sullo scenario sulle modifiche al Patto di stabilità.

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Economia

Fabi, primo integrativo in Ccb, interessa 11.500 lavoratori

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Il primo contratto integrativo per il gruppo bancario Ccb (Cassa Centrale Banca) sottoscritto dopo un “lungo percorso negoziale” interesserà 11.500 lavoratori delle Bcc (banche di credito cooperativo) e introduce “tutele importanti per tutti”. Lo afferma Domenico Mazzucchi, coordinatore Fabi per il gruppo, secondo il quale il contratto dà “risposte importanti sulla mobilità territoriale, sul welfare e sulla valorizzazione delle professionalità”. “Sono contento – sottolinea il sindacalista – perché è prevalso nella delegazione datoriale, in primis l’amministratore delegato, il buon senso e l’attenzione ai collaboratori”. “Il lavoro non è finito”, precisa Mazzucchi spiegando che “nei prossimi mesi apriremo un tavolo di lavoro sulla professionalità per definire ulteriori profili professionali”. “Ora – conclude – la parola passa alle assemblee dei lavoratori per l’illustrazione e l’approvazione” del verbale di accordo.

L’accordo integrativo per il gruppo Cassa Centrale Banca (Ccb), che raggruppa 67 Banche di credito cooperativo (Bcc) italiane, prevede secondo la Fabi una “valorizzazione delle professionalità”. Definisce infatti nuove figure professionali “derivanti anche dall’attuazione dei modelli organizzativi emergenti, con particolare riferimento alla formazione e alla valutazione del personale e con la previsione di istituire un tavolo di lavoro tecnico per lo sviluppo professionale”.

Il nuovo integrativo si occupa poi di “clima aziendale, benessere lavorativo e pressioni commerciali” e introduce “misure di welfare” orientate alla conciliazione tra lavoro e famiglia, con permessi, diritto alla disconnessione e polizze infortuni. In tema relazioni industriali l’accordo inquadra “strumenti atti a garantire trasparenza e condivisione delle informazioni” e fissa un “confronto costante tra le organizzazioni sindacali, l’azienda e il gruppo”. Affrontato anche il nodo della mobilità territoriale, con un’indennità in caso di trasferimento dei lavoratori a partire dai 35 Km dalla propria sede abituale di lavoro a partire dal prossimo 1 luglio, valida anche per i trasferimenti pregressi. Previsto per i lavoratori coinvolti il rimborso di abbonamenti ai mezzi pubblici. In tema di lavoro agile l’accordo prevede formazione, obbligo di custodia e riservatezza, salute e sicurezza, diritto alla disconnessione, al recesso e al monitoraggio, con il riconoscimento del buono pasto. Risolto infine il nodo dei mutui per la prima casa ai dipendenti.

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Dai sauditi 111 milioni su Technogym, boom in Borsa

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I sauditi puntano 111 milioni di euro su Technogym, la multinazionale italiana delle macchine per fitness, rilevando il 6% del capitale e ritagliandosi il ruolo di “investitore di minoranza di lungo termine” nella società controllata dal fondatore e amministratore delegato, Alessandro Nerio. L’operazione è stata condotta dalla società Nif holding Italy che ha rastrellato 8,8 milioni di azioni da investitori istituzionali attraverso un reverse accelerated bookbuilding e ha sottoscritto un derivato per rilevare altri 3,3 milioni di azioni, valorizzando 9,2 euro l’uno i titoli, a cui sono legati diritti di voto pari al 4,5%.

Gli acquisti a premio hanno messo le ali alle azioni in Borsa che, dopo essere salite di oltre il 10%, hanno chiuso in rialzo del 6,9% a 8,54 euro. Nif, che è stata assistita da Jp Morgan e Rothschild, sta per Neom investment fund ed è il ‘braccio’ di investimento creato da Neom Company, la società di proprietà del fondo sovrano saudita Pif che dovrà costruire la futuristica città di Neom, una metropoli su cui verranno investiti 500 miliardi di dollari e che dovrebbe vedere la luce nel 2025, occupando una superficie simile a quella del Belgio, lungo 170 chilometri di costa del Mar Rosso, nella provincia di Tabuk, a sud della Giordania.

Un progetto al limite della fantascienza, fortemente voluto dal principe ereditario Mohammad bin Salman, l’uomo forte di Riad, da più parti accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista americano Jamal Khashoggi, e che fa parte di quel programma, Vision 2030, con cui bin Salman intende diversificare l’economia saudita, rendendola meno dipendente dal petrolio. In questo disegno Neom si candida a diventare il motore economico nella regione, un motore che, grazie agli investimenti finanziati coi proventi dell’oro nero, sarà alimentato al 100% da energia eolica e solare e punterà su 14 settori industriali, con l’obiettivo di attrarre talenti e idee da tutto il mondo.

Nif, spiega la nota, “crede nel potenziale di creazione di valore di Technogym alla luce della sua storia di crescita costante e della sua posizione di leader nel mercato globale, trainata dalle sue linee di prodotto tecnologicamente avanzate e dall’impegno all’innovazione nel settore del fitness e della salute sin dalla sua fondazione nel 1983” e “questa operazione riflette l’impegno di Neom a creare un nuovo modello per una vita sostenibile e salutare”. Un modello a cui, dopo l’operazione di oggi, è più probabile che possano contribuire anche le macchine di Technogym.

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Cresce ancora il mercato dell’auto, a novembre +16,19%

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Il mercato dell’auto continua a crescere: le immatricolazioni a novembre sono state 139.278, il 16,19% in più dello stesso mese dell’anno scorso. Il consuntivo dei primi undici mesi chiude a quota 1.455.271 con un incremento del 20,1% sullo stesso periodo del 2022, ma con un calo del 18,1% sullo stesso periodo del 2019. L’inchiesta congiunturale di novembre, condotta dal Centro Studi Promotor su un campione rappresentativo di concessionari, mette in luce che le vendite 2023 sono state frenate essenzialmente da tre fattori: la situazione economica delle famiglie aggravata dalla riduzione del potere d’acquisto per effetto dell’inflazione, i livelli decisamente elevati raggiunti dai listini e la situazione economica generale.

“Il livello ante-pandemia, che era ed è l’obiettivo da raggiungere, resta quindi lontano” spiega il presidente Gian Primo Quagliano che prevede la chiusura dell’anno a quota 1.576.000 unità vendute. Non decollano le immatricolazioni di auto elettriche la cui quota sfiora in Italia il 4% contro il 15,2% dell’Europa Occidentale. Per questo tutte le associazioni di settore chiedono al governo di cambiare il sistema attuale di incentivi. “Con la fine dell’anno il consuntivo dell’ecobonus auto 2023 – spiega il presidente dell’Anfia, Roberto Vavassori – mostra un avanzo di circa 300 milioni di euro, che, peraltro, si somma ai 250 milioni restanti dall’ecobonus 2022 e non ancora riallocati. Segno che gli incentivi all’acquisto delle vetture green, previsti anche per il 2024, vanno rimodulati e resi più attrattivi per i consumatori”.

Concorda l’Unrae che chiede anche interventi sul regime fiscale delle auto aziendali in uso promiscuo per rilanciare il settore e per arrivare ad un ricambio del parco. Stellantis ha venduto in Italia a novembre – secondo i dati elaborati da Dataforce – 40.808 auto, il 9,8% in più dello stesso mese del 2022. La quota di mercato è pari al 29,3% a fronte del 30,9% di un anno fa. Negli undici mesi il gruppo ha immatricolato 472.715 auto, in crescita del 10,1% rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso. La quota è in calo dal 35,4% al 32,5%. Il brand Jeep chiude gli undici mesi con una quota complessiva del 4,66%, in crescita di quasi un punto percentuale rispetto allo stesso periodo del 2022. Trainano i suv Renegade e Compass, prodotti in Italia presso lo stabilimento di Melfi, e va forte l’Avenger, disegnato presso il Jeep Design Studio di Torino, il primo 100% elettrico. I suv Jeep sono i più venduti nel mercato dei plug-in hybrid.

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