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Cronache

Battisti confessa, i familiari vittime: “È tardi per confessare”

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C’e’ un misto di soddisfazione postuma e sconcerto tra i parenti delle vittime di Cesare Battisti di fronte alle parole con cui l’ex terrorista dei Pac, un mese e mezzo dopo la sua cattura in Bolivia e il suo rientro in Italia, si dissocia dal suo passato e ammette i reati, tra cui quattro omicidi, per i quali e’ gia’ stato condannato in via definitiva. Un’ammissione che Adriano Sabbadin, figlio di Lino, il macellaio di Santa Maria di Sala ucciso dai Pac il 16 febbraio 1979, interpreta come “un passo avanti” perche’ rappresenta “una conferma della sua colpa”. Il figlio di Lino Sabbadin non nasconde di essere stato preso in contropiede dalle ammissioni fatte da Battisti: “Lo confesso – ammette – non mi aspettavo che ammettesse tutto”. Sullo sfondo, pero’, resta un dubbio: “Spero – afferma con tono pacato ma fermo – che Battisti non ammetta gli omicidi per altri motivi, magari per ottenere un’indulgenza dai giudici che non merita: e’ giusto che sconti per intero la pena”. “Le scuse adesso – aggiunge Maurizio Campagna, fratello di Andrea Campagna, l’agente della Digos assassinato a Milano il 19 aprile 1978 – mi sembrano fuori luogo.

Non sono veritiere, secondo me: l’unica cosa che Battisti pensa di ottenere sono gli sconti che hanno ottenuto tanti terroristi, compresi i componenti dei Pac”. E a Battisti, che a proposito degli anni di piombo e degli omicidi di quegli anni ha parlato di una “guerra”, Campagna risponde che “erano omicidi effettuati da killer seriali quali erano Battisti e la sua combriccola. Le scuse dovevano essere fatte molto tempo prima”. Maurizio Campagna chiama in causa anche un’altra figura chiave nella vicenda Battisti, l’ex presidente brasiliano: “Forse – afferma – sono altri che dovrebbero chiedere scusa, come Lula e gli altri che lo hanno protetto”. Battisti e’ stato condannato anche per altri due omicidi: quello del maresciallo degli agenti di custodia penitenziaria Antonio Santoro, ucciso a Udine il 6 giugno 1978, e quello del gioielliere Pierluigi Torregiani, ucciso a Milano da gruppi dei Pac il 16 febbraio 1979. Oltre ai parenti delle vittime, e’ la politica a scendere in campo per commentare la decisione di Battisti.

“A distanza di qualche decennio – ha dichiarato il ministro dell’Interno Matteo Salvini – Battisti ha chiesto scusa. Mi aspetto chiedano scusa quegli pseudointellettuali di sinistra che hanno coperto e difeso questo squallido personaggio”. “Chiedere scusa – ha aggiunto Salvini – è meglio tardi che mai”.

Ma “la rieducazione del carcere per quanto mi riguarda non vale per Battisti: sara’ brutto da dire ma uno che ha ucciso 4 persone non deve uscire dal carcere”. “Battisti – ha dichiarato la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni – finalmente ha confessato di aver commesso quattro omicidi per cui era stato condannato e ha chiesto scusa ai familiari delle vittime. Spero vivamente che questa ammissione di colpa non regali a questo criminale sconti di pena o benefici”. Dal fronte Pd interviene Debora Serracchiani: “Battisti – ha detto – ha avuto decenni per meditare sulle vite che ha spezzato e per scusarsi con i familiari. Avrebbe potuto fare un gesto durante la sua latitanza ma ha preferito esibire il sorriso dell’impunito: adesso e’ fuori tempo massimo”. E “anche un assassino come Battisti, alla fine, appare piccolo davanti alle Istituzioni che ha deriso. L’ultima parola va alla forza della legge”.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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