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Avvertimento di Conte dal Niger: l’Ue faccia di più su migranti o franerà

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Non basta “accendere i riflettori delle tv sulle emergenze”. L’Europa deve “investire di più nel Trust fund per l’Africa”. E imprimere una “svolta” alla gestione dei flussi nel vecchio continente. O è “serissimo” il rischio che “l’Ue frani”. Lo ribadisce da Niamey, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Perché da qui, dalla capitale di un Paese che coopera nella gestione dei flussi, risuona più forte il messaggio che si puo’ andare oltre i casi singoli, le navi ferme in mare e i porti chiusi, alla radice del problema. Conte sceglie il Niger perché l’instabilità della Libia rende questo paese del Sahel, dove il premier si fermera’ anche mercoledì per una visita in Ciad, la vera “frontiera meridionale del Mediterraneo”. Il commissario europeo Dimitris Avramopoulos da Bruxelles definisce “costruttivo” il confronto di lunedì con Conte e con il ministro dell’Interno Matteo Salvini. E’ comune, assicura, l’impegno per un “meccanismo di solidarieta’ europeo vero”.

 

Il governo italiano, che e’ contrario all’idea di creare un gruppo di volenterosi per gestire le emergenze, ha consegnato all’Ue una lista di 670 migranti che altri Paesi Ue si erano impegnati a ricollocare. Ma sono tanti i “banchi di prova” a cui Conte dice di attendere l’Europa: dalla riforma del regolamento di Dublino, alla riforma del sistema di asilo. I migranti come l’austerity. Nel giorno in cui Juncker fa mea culpa sul rigore, Conte rivendica di essersi battuto con la manovra contro l’austerita’ e di lanciare adesso un grido di allarme sui migranti, nella convinzione che “se continuiamo cosi’, il rischio che l’Europa frani e’ molto concreto”. L’avvocato, che guida un governo che sulla gestione delle emergenze ha vissuto momenti di tensione, chiama in causa l’Ue a partire dall’Africa: “Aumenti i fondi: nessuno puo’ fare da solo”. Sullo sfondo resta il nodo della Libia, la cui “instabilita’” preoccupa. Il presidente nigerino Mahamadou Issoufou riconosce all’Italia un ruolo di primo piano. Ma riporta Conte, con cui ha un lungo e cordiale colloquio, a un altro grande tema: la recrudescenza del terrorismo nella regione del Sahel. Da qui passa una via di terra cruciale per raggiungere il Mediterraneo ma operano anche i trafficanti di uomini che, racconta Issoufou, “portano in Libia migranti e tornano nel Sahel con le armi”. Un missionario italiano, Pierluigi Maccalli, e’ stato rapito nel sud del Niger a settembre e non se ne hanno notizie. Il premier ne parla con Issoufou, gli chiede un impegno, per avere “quanto prima notizie confortanti che siano utili a intervenire”, dice al termine dei colloqui. Conte a Niamey ascolta anche le storie di alcuni dei migranti che attendono i rimpatri volontari in un centro Oim e di donne e bambini che sono stati salvati in Libia e aspettano in un centro Unhcr di essere accolti in Europa come rifugiati.

Il premier Brigi Rafini e il presidente Issoufou dicono che sui flussi già si vedono risultati (la cooperazione col Niger è “una storia di successo”, conferma Conte) ma all’Italia chiedono aiuto per formare i militari per la lotta a terroristi e trafficanti. E il presidente del Consiglio apre alla possibilità di “rafforzare” la presenza italiana per l’addestramento di “forze armate e forze speciali”. “Vi state facendo valere”, dice ai 92 uomini e donne del contingente, che incontra nell’ambasciata italiana, aperta solo nel 2017.

Dall’Italia giunge l’eco delle polemiche sulla “passerella” del governo per la cattura di Cesare Battisti e Conte non si sottrae alle domande: “Abbiamo dato il giusto rilievo”, rivendica, aggiungendo che potrebbe incontrare a Davos Jair Bolsonaro. Ma a Niamey, nel giorno di un nuovo attacco in Kenya, è l’Africa a prendere la scena: in un Paese assai povero, la cui popolazione raddoppia ogni 18 anni, all’Italia viene chiesta cooperazione e investimenti. “L’impegno è massimo”, promette Conte.

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Precari e licenziamenti facili, verso l’ok della Camera

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Contratti di somministrazione e licenziamenti. Questi gli ambiti degli interventi principali inseriti nel ddl Lavoro, che si prepara a ricevere il primo via libera della Camera. Terminato l’esame degli odg in Aula, a Montecitorio manca il voto finale sul provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il Primo maggio del 2023. Che così potrà sbarcare al Senato per l’ok definitivo dopo un lungo iter. Mentre non si placano le voci critiche di opposizioni e sindacati, che scendono in piazza per opporsi a uno strumento che “aumenta la precarietà”.

Tra le misure più discusse, c’è quella sulle cosiddette ‘dimissioni in bianco’, che di fatto allarga le maglie delle disposizioni in tema di licenziamenti rispetto a quanto stabilito dal Jobs Act del governo Renzi. In particolare, l’articolo 19 del collegato al lavoro prevede la risoluzione del rapporto di lavoro imputabile alla volontà del lavoratore (dimissioni volontarie) nei casi in cui un’assenza ingiustificata si protragga oltre il termine previsto dal contratto collettivo o, in mancanza di previsioni contrattuali, per un periodo superiore a quindici giorni. Secondo la maggioranza, è una maniera per impedire che i lavoratori, sfruttando la leva delle assenze ingiustificate, inducano i datori al licenziamento per poi accedere opportunisticamente alla Naspi. In caso di dimissioni volontarie, infatti, non è possibile richiedere l’indennità.

Con un’altra misura cardine, si interviene, di fatto per estenderlo, sul tetto del 30% previsto per i lavoratori con contratto di somministrazione a tempo determinato sul totale del numero dei lavoratori con contratti stabili. La nuova norma esclude dal computo di questo limite i casi in cui la somministrazione riguardi lavoratori assunti a tempo indeterminato da parte di un’agenzia o lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze. Vincoli più leggeri anche per il ricorso al lavoro stagionale, che si allarga a fattispecie come l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno oppure per esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati di destinazione.

Tra le altre misure, c’è anche quella che ridefinisce la durata del periodo di prova dei contratti a tempo determinato: tra i due e i quindici giorni per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e da due ai trenta giorni per i contratti dai sei ai dodici mesi. Intanto, in piazza a Roma, i sindacati alzano la voce contro il provvedimento. Per la Uil il ddl “cancella diritti e tutele”, per la Cgil “è contro il lavoro, perché lo precarizza ancora di più”.

A Maurizio Landini, che non esclude uno sciopero generale contro la manovra, replica la ministra del Lavoro Marina Calderone. “Non credo si possa dire che il governo stia attuando una politica di precarizzazione del lavoro, i numeri non dicono questo”, taglia corto. Alla protesta delle due sigle sindacali, si affiancano i partiti di opposizione: Pd, M5s e Avs, che intanto in Aula provano a rilanciare ancora sul salario minimo con un odg bocciato dalla maggioranza. Per dem e rossoverdi, il ddl Lavoro allarga la precarietà. Per il M5s, “c’è un accanimento contro le lavoratrici”.

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A novembre il nuovo M5s, si chiude la costituente

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Il nuovo M5s nascerà il 23 e 24 novembre, quando si terrà l’assemblea Costituente chiamata a ridisegnare struttura e politiche del partito: dai ruoli del garante e del presidente, oggi occupati da Beppe Grillo e da Giuseppe Conte, al nome e al simbolo, che potrebbero cambiare, fino allo spinoso tema del limite dei due mandati, che potrebbe scomparire. E perfino le alleanze. La data definitiva dell’assemblea, genericamente prevista in autunno, è stata comunicata ufficialmente dal presidente Conte. Il percorso costituente, che ha coinvolto non solo gli iscritti ma anche i simpatizzanti, ha portato non poco scompiglio nel Movimento, con uno scontro acceso fra Grillo e Conte.

Il garante aveva infatti chiesto che alcuni pilastri – nome, simbolo e limite del doppio mandato – non venissero messi in discussione. Mentre Conte ha lanciato la costituente lasciando campo libero alla discussione. Ne sono seguiti scambi di lettere al vetriolo con accuse e rivendicazioni reciproche. Una coda della polemica è arrivata fino in Sardegna. Per Grillo, il Movimento sta perdendo la sua spinta originale. Una prova sarebbero le politiche energetiche della presidente sarda Alessandra Todde, del M5s. In un post, il fondatore del Movimento ha pubblicato una foto della bandiera della Sardegna con i quattro mori che indossano una maschera antigas.

E sopra il testo. “Finalmente un po’ di verità su questo ambientalismo da strapazzo: e basta con il vento, il sole, il fotovoltaico! Ci vuole il carbone! Facciamo una rivoluzione straordinaria in Sardegna!”. Dura la replica della presidente: “Credo che Grillo faccia quello che fa meglio: il comico”. Poi la spiegazione: “Fino al 2030 abbiamo stanziato quasi un miliardo di euro, stiamo promuovendo le comunità energetiche e l’autoconsumo. La transizione energetica la vogliamo fare, ma il tema è non trasformare il paesaggio unico della Sardegna in un paesaggio industriale”.

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Voto per la presidenza Rai, la maggioranza prende tempo

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Nulla di fatto in ufficio di presidenza sulla convocazione della riunione della Commissione di Vigilanza per la votazione di Simona Agnes alla presidenza Rai. Di fronte alla richiesta dell’opposizione di calendarizzare in tempi brevi l’appuntamento, la maggioranza ha chiesto di avere più tempo e ha spinto la presidente della bicamerale Barbara Floridia a convocare per domani mattina una riunione plenaria dove si prenderà la decisione.

Sono stati in particolare il capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Filini, e quello di Forza Italia, Roberto Rosso, ad insistere su questa linea, mentre Lega e Noi Moderati non hanno mosso particolari obiezioni. Non è un caso, perché lo sponsor principale di Agnes è proprio il partito guidato da Antonio Tajani ed al momento non c’è un accordo con la minoranza, o parte di questa, per arrivare alla ratifica dell’incarico, che richiede i due terzi delle preferenze. Alla maggioranza mancano almeno due voti sui 28 necessari e l’opposizione ha già reso noto che intende non partecipare alla votazione per evitare il rischio dei franchi tiratori. Floridia ha proposto senza successo alcune date ravvicinate per la convocazione, tra questa sera e i prossimi giorni. “Nell’ufficio di presidenza di questa mattina ho preso atto della impossibilità di stabilire oggi una data per il voto sulla presidente della Rai a causa del diniego di alcune forze di maggioranza – afferma -. Ho quindi convocato per domani mattina alle 8 la commissione di vigilanza in plenaria affinché si decida in quella sede la data del voto. Ove ciò non avvenisse, calendarizzerò il voto entro venerdì, come previsto dal regolamento”.

Forza Italia sostiene che non c’è alcun intento ostruzionistico. “Abbiamo aperto un ponte con l’opposizione avviando la discussione sulla riforma della governance Rai e dato la nostra disponibilità a partecipare agli stati generali sull’informazione – spiega Rosso -. A fronte di questo, ci sembra opportuno avere più tempo per provare ad instaurare un dialogo con l’opposizione anche sulla presidenza della Rai, visto che al momento, con l’annuncio della minoranza di voler uscire dall’aula, questo dialogo non c’è”. L’opposizione teme, invece, che si vogliano dilatare i tempi per provare a trovare i voti mancanti, eventualmente barattando qualche poltrona in Rai. Sul piatto ci sono, infatti, le nomine alle testate che arriveranno, probabilmente a novembre, sul tavolo del cda. In particolare, oltre a Rainews, Tgr e Rai Sport che presumibilmente resteranno nell’ambito della maggioranza, è da assegnare la guida del Tg3 dopo l’uscita di Mario Orfeo in direzione Repubblica.

I Cinque Stelle vengono dati favoriti, con l’approdo di Bruno Luverà o Senio Bonini, ma la partita è tutta da giocare e non mancano nomi di area Pd. I dem si sono chiamati fuori dal voto per i consiglieri, ma la spaccatura ha già creato molti malumori nella minoranza e solo ieri Carlo Calenda ha parlato di “figura da imbecilli”. I Cinque Stelle hanno assicurato che non parteciperanno al voto, ma la maggioranza, Forza Italia in primis, spera che questa linea possa cambiare, trovando così un appoggio da parte loro o dei due renziani in commissione, eventualmente al secondo tentativo di votazione per Agnes che potrebbe avvenire dopo il voto in Liguria.

Nella maggioranza c’è chi preme, però, per l’allargamento del dialogo anche al Pd con la scelta per la presidenza di un nome di garanzia, come ad esempio Giovanni Minoli. Da Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli respinge le illazioni su un dialogo con M5s in chiave Rai. “Noi lavoriamo per le istituzioni – afferma -. Certo poi speriamo che a un certo punto l’opposizione inizi a pensare anche all’Italia e non alle loro divisioni interne. Il problema è tutto lì: che non riescono a trovare una sintesi tra di loro”.

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