E’ il giorno dell’autopsia sul corpo di Chiara Gualzetti, la ragazzina di Monteveglio trovata morta lunedi’ 28 giugno a poche centinaia di metri dall’abitazione dove viveva con i suoi genitori. Per il suo brutale omicidio e’ stato arrestato un 16enne, un giovane come lei, che credeva amico e del quale si era invaghita: il ragazzino, dopo essere passato a prenderla a casa ha percorso poche centinaia di metri con Chiara e poi l’ha aggredita, colpendola piu’ volte con un coltello e infierendo su di lei a calci quando era gia’ a terra. Chiara, secondo le carte dell’inchiesta, e’ stata uccisa da un killer, “capace di intendere e di volere”, con “mancanza di scrupoli, freni inibitori, di motivazioni e segnali di resipiscenza”. E che inizialmente ha tentato di depistare le indagini. I risultati dell’autopsia condotta dal medico legale Emanuela Segreto si sapranno con certezza solo nelle prossime ore, ma i primi risultati avrebbero confermato la dinamica raccontata dall’amico coetaneo, indagato e fermato dai carabinieri. La ragazza e’ morta sotto una serie di fendenti, sferrati al petto e al collo con un coltello da cucina, e colpita anche da calci. Un’aggressione che non ha dato alla vittima modo di difendersi. I genitori di Chiara con la conclusione dell’esame potranno riavere il corpo della figlia e organizzare i funerali, ai quali partecipera’ tutta la comunita’ del piccolo paesino della Valsamoggia. Il sindaco, Daniele Ruscigno, ha fatto sapere che su richiesta dei genitori della 16enne e’ stata attivata una raccolta fondi nata proprio per aiutare la famiglia a sostenere le prime necessarie spese legali. Una gara di solidarieta’ che in poche ore ha gia’ raccolto circa 10mila euro.
“Chiunque – ha detto il primo cittadino – puo’ partecipare con la cifra che preferisce proprio perche’ ognuno si deve sentire libero di muoversi se e come meglio crede. In questo caso i fondi raccolti, che con massima trasparenza saranno visibili sulla piattaforma in ogni momento, andranno direttamente alla famiglia. Questa e’ attualmente l’unica raccolta ufficiale e mi raccomando – ha sottolineato infine il sindaco – di fare attenzione ai tentativi di truffa che purtroppo anche in queste dolorose vicende possono esserci”. L’iniziativa pero’ ha incredibilmente fatto scoppiare una polemica sul profilo Facebook del primo cittadino, dopo che alcuni utenti hanno contestato le modalita’ e l’uso del denaro raccolto, costringendo Ruscigno, e i genitori di Chiara, a prendere di nuovo la parola. “Sull’uso dei fondi a me sembrava tutto chiaro, ma evidentemente non lo e’. In questi casi vengono svolte perizie di parte di varia natura – ha sottolineato il sindaco -, da quelle mediche a quelle informatiche, oltre alla consulenza di legali incaricati che tutelano gli interessi della parte offesa in ogni fase di un procedimento, di cui, a oggi, e’ difficile prevedere la durata”. Per i genitori di Chiara i post rilasciati da alcuni utenti sono “squallide osservazioni, che non fanno altro che peggiorare uno stato d’animo oramai pessimo… Le cause legali nel settore penale hanno dei costi non indifferenti… a cominciare dai periti a finire con gli avvocati. Sono cause – sottolineano – che possono durare anni ma soprattutto dove si parte gia’ sconfitti… gia’ perdenti… anche se riuscissi ad ottenere il massimo della pena io ho gia’ perso – dice il padre di Chiara – considerando oltretutto che non ci saranno mai rimborsi per danni in quanto minorenne”.
Un 49enne marocchino, condannato per l’omicidio della moglie, è stato espulso dall’Italia e accompagnato alla frontiera aerea di Venezia e rimpatriato in Marocco con un volo diretto a Casablanca. Il provvedimento è stato disposto dal questore di Padova Marco Odorisio. Entrato in Italia ad aprile 2010 per ricongiungimento familiare con la moglie, nel 2011 era stato arrestato dalla squadra Mobile per omicidio doloso in quanto, al culmine di un litigio con la coniuge, all’interno della propria abitazione, nonostante la presenza della figlia allora di 7 anni, l’uomo aveva ucciso la compagna con 12 colpi contundenti e 42 coltellate. Il marocchino era stato condannato dalla Corte d’Assile d’Appello di Venezia alla pena di 14 anni e 8 mesi di reclusione.
Scarcerato lo scorso agosto, irregolare sul territorio nazionale e ritenuto pericoloso socialmente, lo straniero è stato collocato e trattenuto, con provvedimento del questore, presso il Centro di Permanenza per i Rimpatri di Milano dove, dopo due giorni, ha formalizzato istanza di Protezione Internazionale.
A settembre del 2023 è stato dimesso dal Cpa milanese perché il Giudice del Tribunale di Milano non aveva convalidato il provvedimento di trattenimento per richiedenti asilo in quanto la domanda di protezione internazionale presentata dal 49enne non è stata ritenuta strumentale a fine di evitare o ritardare il provvedimento di espulsione. l 49enne è stato poi rintracciato nel padovano dopo la sua uscita dal Cpr, e portato al Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gorizia, dove è stato raggiunto dal provvedimento di espulsione dopo che la polizia si era consultata con il Console del Regno del Marocco presso il Consolato di Verona
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.