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Attacco xenofobo in Germania, folle piomba con l’auto su un gruppo di siriani e afghani: 5 travolti con l’auto in fin di vita

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Una caccia allo straniero. Si è aperto così il 2019 in Germania. Era passata da pochi minuti la mezzanotte quando una Mercedes argentata guidata da un tedesco di cinquant’anni è piombata su un gruppo di persone che festeggiavano il capodanno con fuochi d’artificio e petardi nel centro di Bottorp, un paese del Nord Reno Vestfalia. Tre feriti in modo lieve, tra cui un bambino, e una in modo grave, una donna di 46 anni, tuttora sospesa tra la vita e la morte. Tutti con cittadinanza siriana e afghana, riferiscono le autorità. “Una chiara intenzione di uccidere stranieri”, ha dichiarato il ministro degli Interni del Land, Herbert Reul, in conferenza stampa a Bottrop. La faccenda “deve essere presa molto seriamente”, e non ci deve essere “la minima tolleranza” per i violenti, “non importa da quale parte vengano”, ha continuato il ministro. “E’ sembrata una caccia all’uomo”, ha raccontato anche un poliziotto, e l’impressione e’ confermata dai ripetuti tentativi dell’uomo di travolgere il maggior numero di stranieri. Secondo le ricostruzioni degli investigatori, l’uomo ha colpito in diversi luoghi, compiendo numerosi tentativi prima di essere fermato ed arrestato dalla polizia. Una prima volta ha cercato di travolgere un passante, che e’ riuscito a evitarlo, in un secondo momento ha travolto il gruppo nella centrale Berliner Platz, poi si e’ diretto verso la vicina citta’ di Essen, dove si e’ lanciato verso un altro gruppo di persone alla fermata del bus, che sono riuscite a mettersi in salvo tranne una, ferita leggermente. Una dinamica che ricorda l’attacco xenofobo di Macerata, in versione piu’ lieve. Al momento dell’arresto l’uomo ha imprecato contro gli stranieri e la polizia suppone si sia trattato di un atto premeditato. Il tedesco di 50 anni risulta incensurato, ha riferito la presidente della polizia Friederike Zurhausen, e non era conosciuto dai servizi di sicurezza come militante di ultradestra. Al momento si sta verificando se soffrisse di disturbi mentali, ma in ogni caso viveva da solo ad Essen ed era disoccupato. La citta’ di Essen, in passato molto ricca, si trova nell’area della Ruhr dove il passaggio dall’economia fondata sull’estrazione mineraria ad un nuovo modello e’ oggetto di dibattito in Germania. Episodi di violenza contro gli stranieri di queste proporzioni nel Paese non si erano ancora verificate. Certo i tumulti e le manifestazioni razziste a Chemnitz, a fine agosto, dopo la morte di un tedesco durante una rissa con stranieri, hanno riacceso la tensione tornando a concentrare l’attenzione sugli stranieri e in particolare sui rifugiati accolti a partire dal 2015.

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Melania Trump ammette: sostengo diritti donne, anche aborto

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Melania Trump (nella foto di Imagoeconomica) rompe con i repubblicani e ammette di essere una appassionata sostenitrice dei diritti delle donne a decidere sul proprio corpo, incluso l’aborto. La rivelazione è contenuta nel libro di memorie dell’ex First Lady che uscirà il mese prossimo e di cui il Guardian anticipa alcuni dei contenuti. “E’ imperativo garantire che le donne abbiano l’autonomia nel decidere se avere figli sulla base delle loro convinzioni, e libere da ogni intervento o pressione del governo”, scrive Melania Trump entrando a gamba tesa su uno dei temi chiave della campagna elettorale, in cui il marito minaccia i diritti delle donne.

“Perché qualcuno dovrebbe avere il potere di determinare cosa una donna può fare con il proprio corpo? Il diritto fondamentale della donna alla libertà individuale le conferisce l’autorità di interrompere la gravidanza se lo desidera”, afferma Melania. “Limitare il diritto di una donna a scegliere se interrompere una gravidanza indesiderata equivale a negarle il controllo sul proprio corpo. Ho portato questa convinzione con me per tutta la mia vita adulta”, mette in evidenza l’ex First Lady.

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Media, Khamenei avvertì Nasrallah di lasciare subito il Libano

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Il leader supremo iraniano Ali Khamenei avvertì Hassan Nasrallah di fuggire dal Libano pochi giorni prima che l’ex capo di Hezbollah venisse ucciso da un attacco israeliano a Beirut, secondo funzionari di Teheran citati dall’agenzia di stampa britannica Reuters. Subito dopo l’attacco ai cercapersone trappola del 17 settembre – spiegano le fonti iraniane – Khamenei inviò un messaggio a Nasrallah dicendogli di recarsi subito in Iran, mettendolo in guardia su rapporti d’intelligence secondo i quali Israele aveva agenti all’interno del movimento sciita e stava pianificando di ucciderlo.

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‘Dovevamo rispondere ma non vogliamo la guerra’

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“Non cerchiamo la guerra, è Israele che ci spinge a reagire”. Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian accusa il nemico di aver costretto Teheran a colpire con una pioggia di missili Tel Aviv, promette “una risposta più forte in caso di rappresaglia di Israele” ma sostiene che la Repubblica islamica non sta cercando la guerra. L’operazione iraniana “ha dimostrato ancora una volta che la presunta cupola di ferro (il sistema di Difesa ‘Iron Dome’) dei sionisti è più fragile del vetro”, ha detto il presidente celebrando l’attacco, ma già subito dopo il raid aveva affermato che “l’Iran non è belligerante” e invitato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a “non entrare in conflitto con l’Iran”.

Dopo il lancio di 200 missili contro il territorio israeliano, celebrato dalla stampa iraniana e anche in Parlamento da alcuni deputati, Teheran pare non essere interessata ad un’ulteriore aumento delle tensioni, nella speranza che l’attacco contro lo Stato ebraico possa avere un effetto deterrente contro la risposta già annunciata da parte di Israele. Subito dopo il raid, il ministro degli Esteri Abbas Araghchi aveva affermato che “l’Iran ha usato solo il suo diritto alla legittima difesa, basato sulla Carta delle Nazioni Unite”, come è stato ribadito anche dalla missione diplomatica della Repubblica islamica presso l’Onu.

In conversazioni telefoniche con gli omologhi di Francia, Germania e Gran Bretagna – i partecipanti europei all’accordo sul nucleare del 2015 – il capo della diplomazia di Teheran ha sottolineato che lo strike ha interessato soltanto obiettivi militari e, invitando parti terze a non interferire, ha avvertito Israele dichiarando che “se i sionisti reagiranno, Teheran darà una risposta più severa”.

Nella sua prima apparizione pubblica dopo l’attacco missilistico, Ali Khamenei si è scagliato contro l’Europa e gli Stati Uniti durante una conferenza con i migliori studenti universitari del Paese. “La radice dei problemi della regione è la presenza di forze come gli Usa e alcuni Paesi europei che in modo falso sostengono di difendere la pace e la tranquillità”, ha detto la Guida suprema, sostenendo che se la loro influenza diminuisse “senza dubbio questi conflitti, queste guerre e scontri scomparirebbero completamente”. Sebbene non abbia nemmeno menzionato il raid iraniano, Khamenei nel suo discorso ha comunque omaggiato il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, la cui uccisione è stata citata dalle Guardie della rivoluzione come uno dei motivi del lancio di missili contro lo Stato ebraico, assieme all’assassinio a Teheran il 31 luglio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh.

“Sono profondamente addolorato, la perdita di Nasrallah è un evento significativo. Tuttavia, questo lutto deve fungere da forza che ci spinge in avanti”, ha detto la Guida suprema, che secondo alcune fonti iraniane sarebbe stata a conoscenza del piano israeliano per uccidere il leader di Hezbollah e lo avrebbe invitato a rifugiarsi in Iran pochi giorni prima del raid che lo ha ucciso. È possibile che lo scontro tra Iran e Israele troverà spazio nel sermone durante la preghiera del venerdì che Khamenei ha in programma di tenere questa settimana.

“Presto parlerò delle questioni di Gaza e del Libano”, ha annunciato il leader, che interviene durante la preghiera del venerdì soltanto in rare occasioni, ritenute momenti critici. L’ultima volta risale al 2020, quando celebrò l’attacco di Teheran contro una base americana in Iraq, in segno di ritorsione per l’uccisione a Baghdad da parte degli Stati Uniti del comandante delle forze Quds delle Guardie rivoluzionarie, Qassem Soleimani, colpito da un drone qualche settimana prima.

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