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Cronache

Assalto armato al portavalori sulla A1, Italia tagliata a metà

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Un assalto a un portavalori, con spari, esplosioni, incendi alle auto, che pero’ e’ fallito e che non ha provocato feriti. Ma che ha tagliato, di fatto, in due l’Italia, con la chiusura, in entrambe le direzioni, del tratto dell’A1 fra Modena e Bologna, che raccorda molte delle principali arterie del centro-nord. I rapinatori sono in fuga. L’assalto e’ avvenuto attorno alle 20.20, all’altezza di San Cesario, fra i caselli di Valsamoggia e di Modena sud. Secondo la prima parziale ricostruzione dei fatti, l’assalto sarebbe avvenuto secondo uno schema gia’ messo in pratica in altre occasioni. La banda, composta da diversi uomini armati, prima ha messo dei chiodi sulla carreggiata per fermare il traffico e il furgone portavalori. Quindi, per creare un diversivo e impedire l’accesso al tratto interessato dalla rapina, ha minacciato con le armi almeno due automobilisti, costretti a scendere dalle loro auto alle quali e’ stato appiccato il fuoco.

Quindi hanno costretto due camionisti a intraversare i loro mezzi per bloccare definitivamente gli accessi. Testimoni hanno sentito alcune esplosioni e alcuni spari, ma nonostante la concitazione del momento non ci sono stati feriti. Si e’ levata una colonna di fumo visibile da alcuni chilometri di distanza, il tratto di autostrada e’ stato chiuso in entrambe le direzioni per consentire i soccorsi, la bonifica e i rilievi della polizia stradale. Il traffico e’ stato deviato lungo la via Emilia. Qualcosa nel piano dei rapinatori, pero’ e’ andato storto e il colpo sarebbe sostanzialmente andato a vuoto e i rapinatori sarebbero fuggiti prima di mettere le mani sul bottino che avevano puntato. I banditi sono scappati in direzione Bologna e sono in corso le ricerche, anche sulla base delle prime testimonianze di chi ha assistito alle terrificanti scene dell’assalto. Immediatamente, anche per il timore che fosse successo qualcosa di piu’ grave, e’ stato fatto levare in volo anche l’elicottero del 118, con le ambulanze di supporto, ma nessuna delle persone coinvolte e’ rimasta ferita durante l’assalto. I rilievi della Polizia stradale e le testimonianze sia dei vigilanti che erano a bordo del furgone, sia degli automobilisti e dei camionisti che sono stati minacciati dalla banda, saranno determinanti per ricostruire nel dettaglio la dinamica dell’assalto e per raccogliere elementi per individuare i colpevoli.

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Cronache

Roberto Salis, non faccio politica, faccio il papà

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Non vuole parlare di politica, se non per denunciare gli sbagli che ha fatto e continua a fare. E soprattutto non vuole fare politica, anche se sua figlia sarà candidata alle Europee con Avs. Roberto Salis, a Napoli, racconta che lui vuole ‘solo fare il papà’. Un papà addolorato, preoccupato, che ha smesso pure di fare l’ingegnere per diventare un attivista dei diritti umani 24 ore su 24. Ilaria Salis, 39 anni, insegnante, è in carcere in Ungheria da 13 mesi. Militante antifascista è accusata di lesioni aggravate ai danni di due nazisti. Un regime carcerario, il suo, che ha fatto discutere per le condizioni in cui da mesi è costretta a vivere; le sue immagini con mani e piedi incatenati hanno fatto il giro del mondo. “Le sue condizioni carcerarie sono un po’ migliorate – racconta il padre Roberto nel corso di un incontro, a Napoli, a La Repubblica delle idee -. Ilaria sta abbastanza bene è una donna molto forte, ha avuto un periodo molto duro, soprattutto i primi 35 giorni di detenzione sono stati difficili. Noi non avevamo contezza di quello che stava passando e questo per me è stato un grave cruccio.

Adesso sta meglio. Con l’ultimo pacco consegnato dall’ambasciata finalmente è riuscita a ricevere un phon e dopo 14 mesi è riuscita ad asciugarsi i capelli con uno strumento evoluto”. Salis racconta della candidatura di Ilaria “un processo difficile visto che con lei riesco a parlare solo dieci minuti al giorno”. Parla del presidente Mattarella, della sua “inattesa disponibilità” e di come in primis Ilaria (per la quale è come un “nonno affettuoso”) abbia voluto fargli sapere della sua candidatura, “per non creare problemi e imbarazzi”. In tanti, ammette Roberto Salis, gli hanno “sbattuto la porta in faccia” e non ci sta che l’Italia non sia “in grado di far rispettare anche in altri paesi la Costituzione”: “Noi abbiamo l’articolo 3 della Costituzione che dice che tutti i cittadini devono avere lo stesso trattamento davanti alla legge, non si dice in quale Paese. Chi ha scritto la Costituzione era un pochino più saggio della media politica che abbiamo attualmente”, sbotta.

E poi: “Sono convinto che non siamo noi a dover lavorare per le istituzioni, sono le istituzioni che devono lavorare per noi, perché siamo cittadini e non siamo sudditi”. “Nel momento in cui c’è una cittadina italiana chiusa in cella, che non può parlare con i genitori, che parla solo con gli avvocati ungheresi, se la famiglia non può intervenire ci vuole un’azione importante delle istituzioni italiane – ribadisce -. In quel caso doveva essere l’Ambasciata a non stare lì passivamente a guardare, ma doveva segnalare”. Gli viene chiesto come sia cambiata la sua vita. Roberto Salis resta per un attimo in silenzio. Poi, commosso, dice: “Insieme con me c’è mia moglie, la mia famiglia, tutti siamo pieni di dolore. Vorrei pensare al mio orto in Sardegna e invece…”. E guai a chiedergli, invece, di cosa ne pensa delle risoluzioni che l’Italia non rispetta: “Io non faccio politica, io faccio e voglio fare solo il papà”.

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Un operaio di 23 anni morto stritolato tra i rifiuti

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E’ stata una fine orribile quella di un operaio, di soli 23 anni, Hamed Mohamed Khalid Hassan, morto la scorsa notte in un incidente sul lavoro che si è verificato a Cusago, nel Milanese. Il giovane, di origine egiziana, addetto in un’azienda di lavorazione dei rifiuti, è infatti rimasto stritolato in un compattatore. Una tragedia che segue di sole 24 ore quella di un altro operaio, anch’egli 23enne, Manuel Cavanna, residente a Cortona (Arezzo), rimasto ucciso in un incidente sul lavoro a Montepulciano, in provincia di Siena. La disgrazia – almeno finché le indagini non individueranno eventuali responsabilità – avvenuta in Lombardia è accaduta durante un turno notturno, alle 23.30, nella ditta Convertini srl, un’impresa di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali che si occupa di selezione e riciclo di materiali, e che è situata in corso Europa.

Secondo le prime informazioni, riferite dai Vigili del Fuoco di Milano e Corbetta, intervenuti sul posto, “il 23enne stava lavorando sul ciglio del compattatore quando, per motivi ancora da chiarire appieno, è stato risucchiato dalla bocca di aspirazione del macchinario trita rifiuti”. I pompieri che hanno disincastrato i suoi resti dal macchinario si sono trovati davanti una scena orribile, con il corpo del ragazzo straziato e irriconoscibile. In azienda sono giunti anche i Carabinieri della compagnia di Corsico e l’Ats, per svolgere tutti gli accertamenti sulla misure aziendali di sicurezza e per ricostruire l’esatta dinamica. Il giovane egiziano, residente a Milano, pare fosse alle dipendenze di una cooperativa vicina alla stessa azienda di Cusago. Tra pochi giorni, il 2 maggio, avrebbe compiuto gli anni.

Sul caso è stato aperto un fascicolo in Procura, a Milano, e il macchinario è stato posto sotto sequestro. L’altrettanto drammatico caso di ieri, invece, si è verificato nel comune di Montepulciano, in località Tre Berte, in un’azienda che produce strutture in metallo e box per cavalli, la Elle Emme. Il giovane, che lavorava per una ditta esterna, è stato colpito al petto da un tubolare di ferro. Sull’infortunio il procuratore capo di Siena, Andrea Boni, ha aperto un fascicolo contro ignoti. E’ stata poi posta sotto sequestro l’area esterna dell’azienda dove è avvenuto l’incidente mortale. I funerali si svolgeranno domani, alle 16, presso la chiesa delle Chianacce di Cortona (Arezzo). La salma del giovane sarà tumulata presso il cimitero di Farneta di Cortona. E oggi un uomo di 76 anni è morto a San Raffaele Cimena, nel Torinese, travolto da un trattore che si è ribaltato. L’allarme è scattato poco prima delle 16 nei campi di via Carpanea. Inutili tutti i soccorsi.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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