L’hanno chiamato il D-Day della musica dal vivo e i promoter di concerti, che si sono sempre comportati “da bravi soldatini, rispettando le regole”, scelgono lo stadio milanese di San Siro, da sempre teatro di grandi eventi, per lanciare un ultimatum e una proposta al presidente del Consiglio Draghi e ai ministri competenti: la capienza degli impianti sia al 100% con Green pass, mascherina obbligatoria e controllo della temperatura corporea per gli show al chiuso. Chiedono anche una “data certa per la ripartenza con un piano condiviso da formalizzarsi entro il 31 ottobre”. “Abbiamo un calo di fatturato dal primo gennaio 2021 al 31 luglio dell’98% rispetto al 2019 – racconta Vicenzo Spera presidente di Assomusica che raccoglie gran parte dei promoter – nonostante questo, abbiamo cercato di mantenere in vita la filiera con tutte le indicazioni del caso”. I promoter vogliono una data per sapere come ripartire perche’ l’incertezza e’ logorante “non solo per chi deve mettere in moto la macchina ma anche sul pubblico – aggiunge Spera -. E’ difficile ritornare. Io qui mi sento di essere planato su un altro pianete dopo dopo 560 giorni e 13.400 ore di fermo”. A San Siro c’erano Red Canzian dei Pooh e Alessandra Amoroso per supportare l’appello. Non ha trovato accoglienza particolarmente calda l’ipotesi di una class action di spettatori qualora le cose si mettessero male (“rischiamo di rimanere 30 anni in Tribunale”) e, se le richieste non dovessero essere accettate, esiste un piano B a cui, pero’, gli organizzatori di ‘live’ non vogliono nemmeno pensare. Ferdinando Salzano di Friends & Partner ha una certa riluttanza a spiegarlo: “Si tratterebbe di una presenza al 100% ma solo per chi ha completato il piano vaccinale o sia immunizzato. Si tratterebbe in sostanza di una ‘casa per immunizzati'”. Sono derubricate a “provocazioni” (“la musica e’ per sua natura ribelle”, hanno detto) delle proposte postate da alcuni artisti, del tipo “Riprendiamoci le strade”. Chi, e non potrebbe essere altrimenti, si schiera a fianco dei promoter e’ la Siae la quale lancia una petizione che raccoglie le tante voci della cultura, dello spettacolo e della politica che sollecitano il Governo ad aumentare la capienza dei teatri, dei cinema, degli spazi per la musica dal vivo. “Abbiamo sempre rispettato le regole e le leggi e anteposto la salute dei cittadini a tutto il resto. Ora pero’ siamo veramente allo stremo”, dice il suo presidente Giulio Rapetti Mogol in una petizione a cui hanno aderito molti artisti. “Ristoranti, bar e molte altre attivita’ hanno ripreso quasi a pieno regime. Circa il 70% dei cittadini ha completato il ciclo vaccinale e il green pass costituisce un altro presidio importante a tutela della salute; moltissimi artisti si sono schierati in favore della campagna vaccinale”, sottolinea. Il ministro Dario Franceschini e’ fiducioso nell’esito della prossima riunione del Cts il 30 settembre, mentre per il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri “i tempi sono maturi per un aumento della capienza agli eventi. Ma dovra’ essere fatto in modo graduale e specifico”. “Non e’ prematuro aumentare i posti nei cinema, riaprire gli stadi, fare dei concerti – ha detto -. E’ chiaro che deve essere fatto con gradualita’ perche’ il cinema e’ una cosa, il teatro e’ un’altra cosa e il concerto e’ un’altra cosa ancora. E sul concerto, dove maggiore puo’ essere il rischio, servono ovviamente delle garanzie maggiori”.
“Siamo un caso speciale di complementarietà di caratteri e linguaggi musicali, un quadro composito più di musicisti che cantanti, così quando Silvestri e Gazzè cantano sul palco non sto lì a pensare, ma quando tocca a me?”. Così Niccolò Fabi sintetizza a Bari la longevità del rapporto e la mancanza di rivalità nel trio di musicisti e amici da trent’anni che al Bif&st hanno presentato: ‘Fabi Silvestri Gazzé. Un passo alla volta’, documentario di Francesco Cordio prodotto da Fandango con Otr Live e in collaborazione con Rai Documentari, in uscita evento il 7, 8 e 9 aprile. Il film racconta la storia personale e comune dei tre artisti e quella del legame che li ha portati nel 2013 in Sud Sudan, un viaggio nel corso del quale hanno cominciato a lavorare al loro disco collettivo, ‘Il padrone della festa’. Un progetto che ha visto appunto Fabi, Silvestri e Gazzè impegnati con un tour europeo e con due eventi all’Arena di Verona e a Rock in Roma. Una storia che è iniziata proprio nella Capitale negli anni Novanta e che li ha portati, nel luglio del 2024, di nuovo insieme sul palco del Circo Massimo, per festeggiare il decennale del disco.
Sull’assenza di rivalità tra loro dice Daniele Silvestri con grande modestia: “È vero, ci sono stati nomi giganteschi della canzone italiana oggetto di forti rivalità, ma contavano da soli più di quanto noi adesso in tre”. Sottolinea invece Max Gazzè: “Certo, oggi musicalmente i tempi sono cambiati e non è certo facile distinguere quello che succede. Ho notato però che ci sono molti giovani cantautori che fanno cose interessanti. C’è come la voglia di un rinascimento musicale rispetto a certa musica posticcia, c’è voglia di maggiore autenticità. Noi comunque suoniamo senza tracce click, senza un metronomo, rischiando così di fare errori, mentre l’uso del digitale fa sì che la musica sia perfetta, ma si assomigli tutta perché perfettamente quantizzata. A questo punto – conclude – siamo a un passo dal fare dischi con le nostre voci clonate”.
E per chi diventa subito famoso sui social? “Mi tocca molto la fragilità dei ragazzi che passano, grazie ai social, dalla loro cameretta agli stadi – dice Fabi -. Non è facile da digerire un successo così veloce se non hai qualcuno molto bravo che ti supporta”. Dopo il Bif&st fra le anteprime annunciate con la presenza dei tre artisti ci saranno quella del 2 aprile a Roma al Barberini; del 3 aprile a Milano all’Anteo Palazzo del Cinema; a Bologna il 6 aprile al Modernissimo e il 7 aprile a Milano al cinema Anteo City Life. Infine anche il concerto al Circo Massimo dello scorso 6 luglio rivivrà in una versione discografica: il 25 marzo verrà pubblicato ‘Fabi Silvestri Gazzè – Live al Circo Massimo’ (Sony Music Italy), 33 tracce che ripercorreranno tutta la scaletta della serata. Davanti ad oltre 50.000 persone, e a dieci anni dall’album che segnò la loro collaborazione, i tre artisti hanno riproposto l’intera tracklist de ‘Il Padrone della Festa’, alternandola ai brani più rappresentativi delle loro carriere. Il risultato è un disco live di oltre tre ore, disponibile ora in versione digitale.
«Un testamento? Ah ah, non direi proprio! Sono viva e vegeta». Esordisce così Patty Pravo(Foto Imagoeconomica in evidenza)– erre arrotata e ironia tagliente – nella lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera. A 76 anni, la regina ribelle della musica italiana non smette di stupire: in questi giorni è tornata con un nuovo singolo a sorpresa, dal titolo inequivocabile: Ho provato tutto. Un brano intenso, autobiografico, prodotto da Taketo Gohara e scritto da Francesco Bianconi, leader dei Baustelle.
«È un bilancio, non un addio»
«Il brano è un bilancio – spiega Patty – racconta realmente tutto ciò che ho vissuto, sempre nel segno della libertà». Libertà che ha guidato ogni sua scelta, anche musicale: «Non mi sono mai fermata a un solo genere. Ho fatto di tutto, dal pop all’elettronica, dal rock al blues. E anche quando la critica storceva il naso, me ne fregavo altamente».
«Le droghe? Sì agli acidi, ma niente cocaina o eroina»
Nel brano cita l’Lsd, e alla domanda se abbia davvero “provato tutto”, risponde senza filtri: «Tutte no, non sono scema. Mi sono divertita con hashish e acidi, ma non ho mai avuto il gusto dell’autodistruzione. La cocaina e l’eroina le ho sempre evitate. L’eroina ha fatto danni incalcolabili alla mia generazione».
PATTY PRAVO CANTANTE
«Amori, orgie, e cinque matrimoni felici»
Sulla vita sentimentale non si nasconde: «Mi sono sposata cinque volte, ma sono stata innamorata di tutti gli uomini con cui sono stata. Erano quasi tutti musicisti, con loro avevo una sintonia speciale». E smentisce il gossip di essere stata la “Yoko Ono dei Pooh”: «Io non c’entravo nulla con l’addio di Riccardo Fogli, avevano problemi interni».
«Jimi Hendrix in 500, gli Stones da Schifano. E ora chatto con Madonna»
Patty rievoca aneddoti impagabili: da un giro per Roma in 500 con Jimi Hendrix “pieni di fumo” («ci salvò il fatto che mi riconobbero») agli incontri al Piper con Pink Floyd e Who, fino all’intimità con Keith Richards e Anita Pallenberg: «Lui ha davvero provato tutto e gli è andata bene».
Oggi? «Chatto spesso con Madonna. Mi ha cercato lei su Instagram. Ci raccontiamo le nostre vite, sarebbe bellissimo incontrarci di persona».
«Sanremo? Pazza di Lucio Corsi. L’amore? Ora basta così»
Del Festival ha ascoltato poco, impegnata in tv, ma ha un nome nel cuore: Lucio Corsi. «Ha un’inventiva meravigliosa. Farà una carriera formidabile». Quanto all’amore, è single per scelta: «A quest’età non ho più nulla da chiedere. Sono a posto così».
«La vita mi sorprenda. Io l’aspetto a braccia aperte»
E cosa manca da fare a chi ha davvero provato tutto? Patty risponde come solo lei sa fare: «Voglio che la vita mi sorprenda. Mi prenderò tutto quello che viene, così come viene».
L’ultimo disco, Alaska Baby, è un successo. Il tour previsto per l’estate registra stadi già pieni. Eppure Cesare Cremonini, 45 anni, guarda al presente con uno sguardo che mischia orgoglio, malinconia e consapevolezza. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’artista bolognese si apre con sincerità, raccontando la sua storia, il suo percorso e le sue ferite.
«Ho sofferto, ho vissuto, ma oggi voglio assaporare il tempo»
«Non mi sento in credito, ma neanche in debito. Ho lottato e vissuto per questo», confessa Cremonini. Il successo, per lui, è un punto di partenza, non di arrivo. Oggi desidera “la campanella dell’intervallo”, il tempo per assaporare ciò che ha costruito: «La mia mente si espande solo nel confronto con chi è diverso da me. Le cose più belle nascono dal contatto o dallo scontro».
«La musica? Radici profonde. E non temo di invecchiare»
Sono passati venticinque anni dal debutto con i Lùnapop, e Cesare li celebra con uno sguardo lucido: «Volevo fare questo da sempre. Guardavo Fantastico, Quelli della notte e sognavo il palcoscenico. Oggi mi alzo all’alba, scrivo, cammino. Bologna mi protegge. L’ultima volta ho incontrato Vasco Rossi sotto i portici: mi ha detto che camminare è fondamentale. Aveva ragione».
«La malinconia nei miei occhi? È il cuore il mio centro»
Tra le righe dell’intervista emerge una profonda consapevolezza emotiva. «Nella mia vita ho conosciuto il dolore», dice. «Invece di incattivirmi, sono diventato cardiocentrico. Il cuore è il punto di incontro con la vita e con gli altri». Ma non tutto può o deve essere svelato: «Il pubblico è parte dell’opera, ascolta anche con gli occhi. E sa proteggerti».
«L’amore? Un trono ancora vacante»
Alla domanda sull’amore risponde con delicatezza: «Il mio trono è ancora libero. Vivo l’amore come una forma d’arte, ma non sono superficiale. Le sovrastrutture ci proteggono, ma non ci definiscono». Il dolore, per lui, è “elemento di connessione”, una materia con cui ha imparato a cucire l’anima.
«Il mio viaggio? Dai Lùnapop a Bob Dylan, passando per Pasolini»
L’infanzia, racconta, è stata felice, «ma non semplice». Cresciuto in una famiglia particolare, con un padre anziano e una madre molto più giovane, Cesare custodisce ricordi intimi e profondi, come le notti sotto le coperte con il fratello, a sbirciare il buio. E poi la musica: a 13 anni decide che va cantata in italiano, come i suoi miti: Battisti, Dalla, De Gregori, Vasco.
Il vero punto di svolta arriva però dopo il successo dei Lùnapop. «Mi tagliai i capelli rossi e partii: Argentina, New York, Bob Dylan, Pasolini, Gaber. Quando tornai, portavo con me “Maggese”». Un disco ignorato all’epoca, ma che oggi molti considerano una pietra miliare della sua maturità artistica.
«Mi hanno detto: “Non ti paghiamo per questo”. Ma sono andato avanti»
Dopo il grande successo giovanile, Cremonini affronta un decennio difficile. «Quattro album e tour con pochissimi paganti». Ma non si è mai arreso. «Con La teoria dei colori, nel 2012, ho ritrovato il mio pubblico. E insieme abbiamo ricominciato». Un percorso che lo ha portato a riempire gli stadi, come sognava. «Nessuno ce la fa due volte? Io sì, con i miei sogni ancora intatti».
«I numeri non contano. Conta l’anima delle canzoni»
Sui numeri, Cesare è netto: «Oggi i clic hanno svuotato il significato delle certificazioni». La musica, per lui, è ben altro. Una connessione umana, non un algoritmo. Per questo non teme la nuova generazione: «Li seguo e li ammiro. Ma non li invidio. Devono capire il valore del tempo e imparare a farsi le domande giuste».
«Il Cesare dei Lùnapop c’è ancora. Esce solo sul palco»
E quel ragazzino dai capelli rossi? «È chiuso in una gattabuia della mia anima. Ma lo faccio uscire quando salgo sul palco. Quando sento il boato del pubblico, lui è con me».