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Artemis 1, Orion saluta la Luna e torna verso Terra

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Torna a casa Orion: dopo aver salutato la Luna con un ‘arrivederci’, passando a soli 128 chilometri di distanza dalla sua superficie, la capsula della missione Artemis 1 ha completato l’ultima grande manovra per imboccare la strada di ritorno verso la Terra. Arriverà a destinazione il prossimo 11 dicembre, concludendo il suo viaggio con uno spettacolare ammaraggio nell’oceano Pacifico per dimostrare l’efficienza e la sicurezza delle tecnologie necessarie a riportare l’umanità sulla Luna. Quella del rientro sarà una prova particolarmente difficile, forse la più critica viste le elevatissime temperature che si svilupperanno durante il rientro in atmosfera, ma i successi già collezionati fin qui nei primi 20 giorni di missione danno una forte iniezione di ottimismo.

Se tutto andrà secondo i piani, i primi astronauti potrebbero partire nel 2024 con la missione Artemis 2 per andare nell’orbita lunare e successivamente, con la missione Artemis 3, potrebbero tornare a calpestare il suolo lunare. Proprio in quest’ottica, “oggi Orion non ha dato un addio alla Luna, ma solo un arrivederci”, ha detto Sandra Jones della Nasa commentando la diretta tv. E’ stato un saluto molto caloroso, perché la capsula è arrivata vicina come non mai alla superficie lunare: solo 128 chilometri di distanza, ancora meno dei 130 chilometri del precedente passaggio ravvicinato del 21 novembre.

Allo stesso tempo è stato anche un saluto molto intimo, perché Orion si è eclissata dietro la faccia nascosta della Luna e, come previsto, ha interrotto le comunicazioni con la Terra per circa mezz’ora, come a volersi gustare in solitudine quei momenti così preziosi. Il sorvolo ravvicinato è avvenuto nel bel mezzo di una manovra che ha visto ancora una volta protagonista il motore principale del Modulo di servizio europeo (Esm) realizzato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) con un importante contributo dell’Italia, con l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e l’industria. Alle 17:43 ora italiana, il motore è entrato in azione per tre minuti e 27 secondi, per l’accensione più prolungata di tutta la missione.

Grazie a questa spinta e a quella fornita dalla gravità lunare, la capsula di Artemis 1 è riuscita ad accelerare verso la Terra. La conferma è arrivata quando il veicolo spaziale ha raggiunto una posizione che ha permesso di riprendere contatto con le antenne del Deep Space Network, facendo tirare un sospiro di sollievo ai tecnici e agli ingegneri al lavoro al Johnson Space Center della Nasa e al centro di controllo dell’Esa.

Nei prossimi giorni, percorrendo la strada verso casa, Orion potrà effettuare piccole manovre per aggiustare la traiettoria e soprattutto farà ancora nuovi test delle tecnologie a bordo, ad esempio mettendo alla prova i propulsori del modulo pressurizzato sul quale viaggeranno in futuro gli astronauti. Il rientro sulla Terra è previsto per l’11 dicembre, quando il modulo dell’equipaggio si separerà da quello di servizio e rientrerà in atmosfera per un ammaraggio nell’oceano Pacifico intorno alle 18:40 (ora italiana).

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Le richieste di Mosca per uno stop ai combattimenti

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Dagli scambi commerciali nel mar Nero al rientro delle banche russe nel sistema Swift: tra le condizioni elencate dal Cremlino per l’attuazione della parziale tregua con l’Ucraina a spiccare è la revoca di diversi tipi di misure che l’Occidente, dall’inizio della guerra, ha messo in campo contro Mosca. Sanzioni decise da Washington ma anche dall’Europa. Sono sedici i pacchetti messi in campo finora da Bruxelles. E alcuni di questi rientrano pienamente nelle aree sulle quali Mosca vuole un ritorno allo stato pre-guerra. In totale, secondo gli ultimi dati della Commissione – 19 marzo 2025 – è di 48 miliardi il valore dell’export verso la Russia che Bruxelles ha vietato. Somma che sale a 91,2 miliardi se si guarda al valore dei beni importati da Mosca.

Il Cremlino, nei punti inseriti nello schema per una tregua, ha messo la clausola della libera circolazione delle navi nel mar Nero. Petroliere, innanzitutto. Il divieto di import del greggio russo è stato messo in campo dall’Ue in coabitazione con il G7 a partire dal giugno del 2022, sebbene con alcune eccezioni. Nei mesi successivi Bruxelles ha approvato numerose altre misure per evitare l’aggiramento dell’embargo al petrolio, possibile con la collaborazione di Paesi terzi extra-Ue. Il divieto ha riguardato il 90% dell’import di petrolio russo da parte dell’Ue.

Nel 2021 il valore di queste importazioni era di 71 miliardi di euro. Diverso il discorso per i fertilizzanti. Le prime sanzioni ad uno dei prodotti russi e bielorussi più venduti in Europa risalgono al quinto pacchetto di misure, varato nell’aprile del 2022. Bruxelles, negli ultimi mesi, ha provato a rafforzare il muro, con la strada dei dazi. Ma le resistenze del comparto agricolo sono state diverse. Tra le richieste di Putin c’è anche il re-ingresso delle banche russe nel sistema Swift per le transazioni internazionali. Il divieto è stato tra le prime sanzioni imposte dall’Occidente. Nel marzo del 2022 l’Ue escluse i primi 7 istituti da Swift. Tra questi, tuttavia, non figurava Gazprombank, il principale canale con cui Mosca riceve gli introiti del petrolio.

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Un italiano su quattro rischia povertà o esclusione

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Sempre più italiani a rischio povertà e salari sempre più bassi a causa dell’inflazione che erode il potere d’acquisto: la fotografia scattata dall’Istat sulle condizioni di vita e il reddito delle famiglie negli ultimi due anni non lascia spazio all’ottimismo. Anzi, certifica quel record negativo sulle retribuzioni, toccato dall’Italia nel G20, che l’Organizzazione internazionale del lavoro ha fatto emergere solo qualche giorno fa. Anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, torna a lanciare l’allarme sui salari e attacca Confindustria sui rinnovi contrattuali inadeguati e il governo che continua a non tassare la rendita.

E l’opposizione, dal Pd ai 5 Stelle, ne approfitta per accusare la premier Meloni e i suoi ministri di aver messo in campo politiche sociali fallimentari. Secondo l’Istat, nel 2024 la percentuale di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è salita al 23,1% dal 22,8% del 2023, per un totale di circa 13 milioni e 525 mila persone. Ovvero, quasi un italiano su quattro ha serie difficoltà a tirare avanti, pur lavorando. Dai dati emerge infatti che, se da una parte resta invariata la quota di individui a rischio di povertà (18,9%) e quella di chi è in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,6%), dall’altra preoccupa l’aumento da 8,9% a 9,2% di individui in famiglie a bassa intensità di lavoro.

Ovvero circa 3 milioni e 873 mila persone tra i 18 e i 64 anni che nel corso del 2023 hanno lavorato meno di un quinto del tempo. Una quota aumentata tra le persone sole con meno di 35 anni (15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e, soprattutto, tra i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023). Inoltre, dall’analisi territoriale il Nord-est si conferma l’area con la minore incidenza di povertà o esclusione sociale (11,2%), mentre il Mezzogiorno rimane la zona più colpita, con il 39,2%. Ad aggravare il quadro c’è poi l’aspetto dei redditi. L’Istat segnala come il reddito medio delle famiglie italiane nel 2023 sia stato pari a 37.511 euro, con un aumento del 4,2% in termini nominali ma una riduzione dell’1,6% in termini reali. Questo significa che, nonostante gli incrementi apparenti, l’inflazione ha continuato ad erodere la capacità di spesa dei cittadini.

In questo caso il calo è particolarmente marcato nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), mentre il Mezzogiorno registra una lieve flessione (-0,6%) e il Nord-ovest addirittura un lieve incremento (+0,6%). “In Italia si è precari e si è poveri. Il governo continua a non tassare la rendita, i profitti, non prende i soldi dove ci sono”, ha detto Landini, sottolineando come la questione salariale sia fondamentale e Confindustria la stia affrontando nel modo sbagliato, senza tutelare davvero il potere d’acquisto.

Dal Pd la vicepresidente Chiara Gribaudo parla di “fallimento delle politiche economiche e sociali portate avanti da questa destra”, mentre per la vicepresidente del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino, la premier “ruba ai poveri per dare ai ricchi”. In sostanza, ricostruisce l’Istat, dalla grande crisi economica di quasi 20 anni fa i salari non si sono mai ripresi: dal 2007 a oggi, i redditi delle famiglie italiane sono diminuiti in media dell’8,7% in termini reali, con il Centro che ha subito la perdita più marcata (-13,2%).

Le più penalizzate sono state le famiglie la cui principale fonte di reddito è il lavoro autonomo, che hanno visto una contrazione del 17,5%, seguite da quelle che contano sul lavoro dipendente (-11%). Unico dato positivo è l’incremento del 5,5% per le famiglie che vivono principalmente di pensioni e trasferimenti pubblici. Un piccolo sollievo considerato che, stando ai dati Inps, il 53,5% delle pensioni private ha un importo inferiore a 750 euro, una percentuale che per le donne raggiunge il 64,1%.

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Economia

Crediti fiscali a 1.300 miliardi. Dubbi su rottamazione

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Quasi 1.300 miliardi di crediti fiscali non riscossi. Di cui poco meno della metà considerati ormai persi perché inesigibili. E’ la situazione in cui versa il magazzino della Riscossione, che dà la misura della difficoltà del fisco di incassare un arretrato più che ventennale. Ad alimentare la tendenza dei contribuenti a non pagare poi sono anche le ripetute misure di rottamazione – l’ultima nel disegno di legge della Lega all’esame del Senato – che, lanciano l’allarme i tecnici del Mef, l’Upb e la Corte dei Conti, rischiano non solo di alimentare l’attesa di nuovi condoni ma anche di avere un impatto sui conti pubblici.

Il ciclo di audizioni avviato dalla commissione Finanze del Senato sulla gestione del magazzino e sulla nuova rateizzazione sono l’occasione per fare il punto. Al 31 gennaio, spiega il presidente della commissione di analisi sul magazzino Roberto Benedetti, il valore residuo dei carichi affidati dal 2000 al 2024 all’Agenzia delle entrate Riscossione ammonta a circa 1.272,90 miliardi: ovvero quel rimane sottraendo dai 1.874,62 miliardi di carichi affidati i 421,39 miliardi di sgravi e carichi annullati e i 180,32 miliardi di crediti riscossi.

Si tratta di oltre 290 milioni di singoli crediti ancora da riscuotere, contenuti in circa 173 milioni di cartelle, avvisi di addebito e avvisi di accertamento esecutivo, che interessano circa 21,8 milioni di contribuenti. Una mole abnorme di crediti non sempre facilmente riscuotibili. Ci sono i tantissimi crediti di modesto valore (1 su 4 è di importo inferiore a 100 euro), la cui riscossione non è economicamente conveniente. Ci sono poi i crediti di fatto inesigibili, perché si tratta di soggetti interessati da procedure concorsuali, persone decedute o imprese cessate, nullatenenti o contribuenti già sottoposti ad azione cautelare: sono 537,75 miliardi i crediti con “profilo di non riscuotibilità”, praticamente carta straccia.

La mole aggredibile, invece, è costituita dai 567,85 miliardi di crediti riscuotibili, cui si potrebbero aggiungere altri 167,31 miliardi di crediti incerti, “con profilo di riscuotibilità non determinabile”. Ma l’Agenzia delle entrate Riscossione “stima il magazzino residuo lordo (ovvero le cartelle con un più elevato grado di esigibilità) in soli 100,8 miliardi, il 55,4% del carico totale affidato e l’8% di quello residuo contabile”, osserva l’Ufficio parlamentare dei bilancio, facendo notare che l’Italia è in fondo alle classifiche Ocse per lo stock dei debiti non riscossi sul totale delle entrate (181%) e ultima per i debiti non riscossi esigibili sul totale di quelli non riscossi (circa il 5%). Alla base delle problematiche che hanno determinato l’accumularsi del magazzino crediti c’è “l’accrescersi dei fenomeni di inadempimento, potenzialmente alimentati dalle ripetute rottamazioni, annullamenti, stralci e dilazioni”, che “rafforzano le aspettative di futuri abbattimenti o cancellazioni o rateazioni”, avverte la Corte dei Conti. Che nello specifico della nuova rottamazione ricorda le “ricadute negative” delle precedenti, ma anche il rischio di una “sottostima dei livelli di adesione”, con effetti negativi in termini di perdita di gettito.

L’ennesima proposta di rottamazione finisce anche nel mirino del Mef: la rateazione in dieci anni e il fatto che si applichi anche ai carichi dal 2000 al 2022 (quelli della rottamazione quater tuttora in corso) “comportano inevitabili riflessi sui conti pubblici”, avverte il direttore delle Finanze del Mef Giovanni Spalletta che suggerisce di “omogeneizzare le regole del gioco”. Inoltre le “ripetute e stratificate misure di definizione agevolata e annullamento dei debiti pregressi” contribuiscono ad alimentare nei contribuenti “aspettative di future agevolazioni e condoni”, avverte l’Authority dei conti pubblici. Questo, è il monito dell’Upb, potrebbe avere “ripercussioni negative sui versamenti per adeguamento spontaneo, sulla riscossione ordinaria e su quella coattiva ordinaria e, in generale, sul livello di tax compliance”.

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