Chi vince? Chi perde? Un giochino molto praticato in queste ore, ma poco appassionante. Quel che proverei a fare, è un ragionamento sulle condizioni di agency della politica: lo script dei prossimi mesi, diciamo da qui alle grandi elezioni comunali del 2021.
Come dunque si muoverà la politica, che cosa faranno i vari soggetti, soprattutto i Partiti: e come, e perché?
Il centro dell’attenzione si sposta sul Pd: di nuovo! Era ora, dopo tanto tempo. La leadership esce rafforzata da questa consultazione plurima. Disperazione elettorale per mancanza di alternative credibili? Un atto di fiducia verso il Partito? Entrambe le cose, sicuramente. Certo è che per il Segretario che vince, come ci si va convincendo, anche se non trionfa, scompare ogni alibi e si impone l’obbligo di agire. Due mosse mi paiono decisive:
i. scrivere il Programma per i 209 famosi miliardi del Recovery Fund, costruendovi attorno un consenso convinto delle forze di Governo senza rinunciare al dialogo “con tutti quelli che ci stanno”;
ii. procedere con il rimpasto di Governo in funzione, appunto, del Programma, ossia affidando a persone capaci il compito di realizzarlo in concreto. Sapendo che la partita vera si gioca non già sull’enunciazione ma sull’attuazione, deve essere responsabilità del Pd non soltanto scegliere i suoi più opportuni rappresentanti, ma esigere che i compiti esecutivi siano affidati dai Partiti della maggioranza a persone competenti.
Governo Conte bis. Possibile che il Pd chieda al premier un rimpasto per rafforzare l’esecutivo
Insomma deve essere chiaro a tutti che il “Governo del rimpasto” serve per portare a compimento, nei tempi convenuti e nei modi più efficienti, il Programma per il quale l’Europa ha dato le risorse. E che, quindi, Ministri e Sottosegretari vanno lì principalmente per quello, se così si può dire.
Altre linee di azione non differibili vanno appuntate sull’agenda di Nicola Zingaretti. Nell’immediato, lo smantellamento delle norme anti-immigratorie salviniane del precedente Governo Conte, da sostituire con un abbozzo di programmi che escano dal loop securitario-umanitario ed affrontino questa sterminata questione secondo un’ottica finalmente “politica”. Prendendo di petto l’integrazione per coloro che sono qui e, più ancora, la cooperazione migratoria per coloro che sono nei loro Paesi, ora, ma che qui verranno, anche per la spinta impressa dai cambiamenti climatici. Le inondazioni saheliane di questi giorni debbono pur dire qualcosa ai nostri governanti.
Più complessa e di respiro più lungo, ma egualmente urgente, rimane la questione del Pd “partito della sinistra”. Attraverso il recupero non solo ideologico ma politico e governamentale di un profilo che negli ultimi anni è parso smarrito a molti elettori. E mi riferisco sì ad una “questione De Luca”, a partire dalla dichiarazione che non a caso il Governatore campano si è affrettata a fare sulla sua esperienza, che andrebbe “oltre la destra e la sinistra”. Intendiamoci: molto di quel che si dice su De Luca, riguarda il personaggio De Luca. A me pare che il problema vero sia invece quello della costruzione di macchine del consenso locale imperniate sulla persona, ma sganciate dal Partito: dai suoi valori, dalla sua disciplina, dal suo quadro ideologico. Abbiamo già conosciuto, in altri tempi, altre declinazioni di una presunta “eccezione campana”: vorremmo che ce ne fossero risparmiate di ulteriori. Del resto, il problema è più generale anche se con profili variegati: si presenta, su fronti opposti, in Veneto come in Puglia.
Vincenzo De Luca. Ha stravinto in Campania ma ha anche precisato che la sua vittoria non è “di sinistra…”
Ma oltre a una questione regionale, si profila una più ampia questione di ricomposizione della sinistra, date le riflessioni che necessariamente andranno fatte sia alla destra di Zingaretti che alla sua sinistra: da Matteo Renzi e Carlo Calenda, per dire, a Pierluigi Bersani. E’ qui che l’intelligenza politica del Segretario, la sua capacità di leadership, dovranno essere giocate non tanto sui compromessi, quanto sull’avanzamento delle poste in gioco. Insomma, meno tatticismi e più strategia, nella chiarezza dei linguaggi che non devono più servire ad occultare, ma ad assumersi delle responsabilità di fronte al Paese.
Quanto alla destra, diciamo intanto che la “nazionalizzazione” salviniana, che pure sembrava così promettente, non ha portato a casa risultati di qualche rilievo.Di là dalla grancassa migratoria, inchiodata a una sloganistica senza costrutto, il discorso leghista appare un gigantesco bikeshedding, un vuoto di idee con preoccupanti risvolti sul piano europeo ed internazionale. E’ così che si ferma al buongoverno locale: plebiscitato in Veneto, è vero, ma non proprio scontato, viste le vicende lombarde.
Il M5S, infine, si può certo intitolare gli esiti del referendum, anche se non è sicuro che saprà dare un contributo per affrontarne le conseguenze. Da quel che si può intravedere, anche considerando i numeri influenzati non si sa bene quanto dal voto disgiunto in Toscana e Puglia, il problema non è tanto quello di arginare la frana elettorale, quanto piuttosto quello della sopravvivenza politica. Ora come non mai, competenza fa rima con coerenza, e da qui alla fine della legislatura le occasioni non mancheranno per saldare le buone volontà in un partito ostinatamente inconcludente, che oltretutto continua a negare la propria esistenza.
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Da un lato le istituzioni, che con l’IA Act hanno regolamentato il settore dell’intelligenza artificiale a livello europeo, dall’altro le aziende, che continuano a rendere disponibili applicazioni e software di Intelligenza Artificiale generativa per gli utenti. Il rischio? Quello di bruciare i tempi e di creare un’autostrada a due velocità, che rende confuso un panorama già di per sé complesso e in continuo divenire. Nonostante la disponibilità da mesi di app come ChatGpt e Copilot, il grande pubblico si è approcciato all’IA generativa grazie agli smartphone, soprattutto la serie dei Galaxy S24 presentata da Samsung a gennaio.
Nelle ultime ore, il pubblico di riferimento di Galaxy AI è aumentato ulteriormente, con l’approdo delle funzionalità di intelligenza artificiale generativa anche sui “vecchi” Galaxy S23, Galaxy Z Fold 5 e Galaxy Z Flip. Tradotto in numeri, secondo le stime degli analisti di Counterpoint Research, vuol dire poco meno di 40 milioni di dispositivi al mondo capaci di tradurre telefonate e testi con l’IA, scrivere messaggi supportati da un chatbot, persino modificare le foto, scambiando persone e oggetti, per risultati nuovi e, teoricamente, fuorvianti. “Visto l’ampliamento, serve maggiore consapevolezza da parte delle persone. L’IA è oramai ovunque”, osserva Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano.
“Anche perché – prosegue – applicazioni del genere, destinate alla massa, sono del tutto legittime e non in conflitto con l’IA Act dell’Unione Europea che è in prima linea sull’argomento. La norma prevede quattro livelli di rischio da tener presente nell’adozione su larga scala della tecnologia, e la stragrande maggioranza dei sistemi attualmente in uso rientra nella categoria a ‘rischio minimo’, che include videogiochi e app di libero utilizzo”. Non vuol dire abbassare la guardia, soprattutto quando in gioco c’è la veridicità di un contenuto. Galaxy AI permette di cambiare il modo di usare molte app, tra cui le chiamate e la scrittura di messaggi. Con “traduzione live”, ad esempio, è possibile tradurre una telefonata audio in tempo reale, visualizzando sullo schermo il testo di un interlocutore, già nella propria lingua. Funzionamento simile per la traduzione di chat e file di testo.
La possibilità di cambiare senso a una foto, spostando soggetti da una parte all’altra, persino inserendone di nuovi prima assenti, potrebbe spingere la creazione di fake. Samsung, nei metadati delle singole immagini, inserisce l’indicazione del contenuto generato da Galaxy AI ma non è detto che basti. “In Italia abbiamo un Garante che è molto attento a questi temi, forse più che altrove. Seguendo l’approccio dell’Unione Europea sull’IA Act, che ha richiesto mesi di approvazioni e dibattiti, qualsiasi perplessità dovuta dall’apertura di una piattaforma di IA al grande pubblico non passerà inosservata – rileva ancora Piva – e sarà oggetto di valutazione e analisi. Resta la sfida delle tempistiche: si fa prima a usare una tecnologia che a regolarla ma c’è molta più proattività oggi che in passato. Si sta discutendo proprio in questi giorni, con associazioni di categoria e istituzioni, di copyright e generazione di contenuti digitali. Aspettiamoci una regolamentazione anche in tal senso, che sappia bilanciare creatività e trasparenza”.
“È per me un grandissimo onore essere accolto nella Maison Valentino. Sento l’immensa gioia e l’enorme responsabilità nel fare ingresso in una maison de couture che ha inciso la parola bellezza in una storia collettiva fatta di ricercatezza ed estrema grazia. A questa storia va il mio primo pensiero: alla ricchezza del suo patrimonio culturale e simbolico, al senso di meraviglia che ha saputo costantemente generare, all’identità preziosissima che i suoi padri fondatori, Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, le hanno donato con amore sfrenato. Si tratta di riferimenti che hanno sempre rappresentato per me un’ irrinunciabile fonte di ispirazione e a cui intendo rendere omaggio rileggendoli attraverso la mia visione creativa”.
Così Alessandro Michele, che a pochi giorni dall’addio alla Valentino di Pierpaolo Piccioli, cresciuto per 25 anni nella maison romana, ne assume il ruolo di direttore creativo. Il suo nome in verità era circolato subito tra i papabili, suscitando però qualche perplessità negli addetti ai lavori. Questo perché il nuovo responsabile del team creativo della maison aveva lasciato Gucci, di cui è stato designer per quasi otto anni, nel novembre 2022. Ma nel suo regno da Gucci si era distinto per la sua moda anticonvenzionale e innovativa, per l’imposizione dello stile genderless e per l’abilità nel commercializzare pezzi sciolti e accessori. Doti che avevano portato il fatturato di Gucci da 3 miliardi di euro appena arrivato nel 2015 a 10 miliardi nel 2022. Ma la sua estetica è molto distante da quella imposta invece dalle rigide regole sartoriali delle maison di haute couture.
Del resto però, con Michele rimane tutto in famiglia, perchè Gucci è entrato a far parte dei marchi del Gruppo Kering, che ha acquisito il 30% della Valentino nel luglio scorso, dal gruppo del Qatar Mayhoola, attuale proprietario, con l’opzione di arrivare al controllo del 100% entro il 2028. Per quanto riguarda il rodaggio del neo direttore creativo, che assume comunque un’eredità pesante dalla perfezione raggiunta da Piccioli, servono i tempi tecnici per il debutto. Quindi, dopo aver annunciato che Valentino salterà le collezioni uomo e alta moda che avrebbero dovuto sfilare a giugno, la prima collezione firmata da Michele sarà in pedana il prossimo ottobre, durante la fashion week parigina dedicata alle collezioni donna Primavera/Estate 2025. Ma lo stilista comincerà a lavorare per la maison da martedì 2 aprile, chiarisce la nota ufficiale, “nella sede storica di Roma, dove la maison fu fondata nel 1960” da Valentino Garavani. Il nome di Alessandro Michele in questi mesi era stato fatto ipotizzando il suo arrivo da Fendi e da Walter Albini. Ma si trattava di pure congetture. L’unico dato certo era che dal 2022 l’ex di Gucci era libero.
“Il mio grazie, immenso e sconfinato – scrive ora lo stilista – va a Jacopo Venturini (ceo della Valentino con un passato in Prada e in Gucci, ndr). Tornare a lavorare con lui è per me un sogno meraviglioso che si avvera. Oggi cerco le parole più adatte per dire la gioia, per renderle omaggio: i sorrisi che scalciano in petto, il senso di profonda gratitudine che accende gli occhi, quel momento prezioso in cui necessità e bellezza si tendono la mano. La gioia è però cosa talmente viva che temo di ferirla, dicendola. Che basti quindi il mio inchino a braccia spalancate per celebrare in questo inizio di primavera, la vita che si rigenera e la promessa di nuove fioriture”. “Sono molto contento ed emozionato di tornare a lavorare con Alessandro Michele – ribatte Venturini – dopo anni di lavoro insieme. Il suo talento, la sua creatività, la sua intelligenza sempre legata ad una meravigliosa leggerezza, scriveranno un altro capitolo della Maison Valentino. Sono certo che la rilettura dei codici della maison e dell’heritage creati dal signor Valentino Garavani uniti alla straordinaria visione di Alessandro ci faranno vivere momenti di grande emozione e si tradurranno in oggetti irresistibilmente desiderabili”.