Un morto, uno stadio che vomita insulti razzisti, le violenze, le offese e anche un po’ di infiltrazioni mafiose negli stadi sono argomenti noti alla Juventus del giovane presidente Andrea Agnelli. In Italia ci si interroga su cosa fare e non si capisce una mazza, tutti sono contro tutti. Ci si divide se chiudere il campionato, se fermare il calcio. L’unico che mantiene una calma olimpica è il presidente della Juventus. Quello più giovane. Quello più sanguigno. Quello che più ha da perdere se si fanno le cose sul serio. Ieri l’immarcescibile Andrea Agnelli, dovendo per forza dichiarare qualcosa nel giorno in cui tutti si schieravano (eccetto Allegri e Chiellini, per puro caso dipendenti della Juventus) dalla parte di Kalidou Koulibaly e contro il razzismo e le violenze, spiega in un comunicato stampa come sarebbe bello aderire o meglio ratificare la “Relazione sulla lotta contro la discriminazione e il razzismo nel calcio”, presentata nell’autunno del 2015 dalla Juventus nella sede parigina dell’Unesco, di cui il club di Andrea Agnelli è partner in tema, appunto, di lotta al razzismo.
Kalidou Koulibaly. In alcuni stadi i cori razzisti contro questo atleta cominciano prima del match e finiscono dopo il triplice fischio
L’Unesco, avete letto bene, ha come partner la Juventus. Per Agnelli è inutile sanzionare i tifosi che ululano contro Koulibaly? Forse sì, sono inutili per lui le sanzioni. Punire i club? Manco a parlarne: la gente non capirebbe. Agnelli predica tolleranza. Perchè per lui tollerare i cori razzisti è come tollerare di avere alle sue dipendenze indirette il signor Alessandro D’Angelo, quello che tra questioni di sicurezza per la famiglia Agnelli e un po’ di guardia ai calciatori bianchi e neri, si occupava al telefono di dare indicazioni agli ultras bianconeri (con amicizie ‘ndranghetiste) su come scrivere gli striscioni, come offendere i morti di Superga e come invocare magari Vesuvio e altre porcherie che degli idioti razzisti intonano allo Stadium. Ribadiamo, non i tifosi della Juventus ma trogloditi che arrivano allo Stadium e tifano Juve. Per quanto incredibili, le conclusioni della ricerca “Colour? What colour? Relazione sulla lotta contro la discriminazione e il razzismo nel calcio”, presentata nell’autunno del 2015 dalla Juventus nella sede parigina dell’Unesco, in tema, appunto, di lotta al razzismo, è bella. È da leggere. Fa scompisciare dalle risate, se non fosse un argomento serio. Anzi ve la alleghiamo, così, tanto perchè possiate leggerla anche voi.
Questa relazione, a sentire l’entusiasmo con cui la presenta Agnelli, se non risolve la questione razzismo nel calcio, certo potrebbe essere determinante nel contesto del contrasto che lui prefigura. In ogni caso è “interessante da leggere” ma “ampiamente ignorata da molti!”, si lamentava ieri il numero uno bianconero.
Andrea Agnelli. Assieme ai suoi collaboratori più “stretti” discute di strategie
Questo studio della Juventus (84 pagine), tuttora in rete, a pagina 73 affronta il problema delle sanzioni. “Un approccio pragmatico – si legge – suggerisce che l’insulto collettivo basato sull’origine territoriale sia difficilmente sradicabile con l’applicazione di veti e sanzioni. Secondo il timore espresso da un noto esperto (non si sa chi, forse Mughini?, Forse Cruciani? Non si sa, si sa che è noto e che è esperto e noi ci fidiamo), i tifosi non capiranno e diventeranno meno ricettivi sulla necessità di disciplinarsi nell’uso di un vocabolario discriminatorio, sessista o razzista. In conclusione, la decisione più saggia sulla discriminazione territoriale è tollerare, temporaneamente, queste forme tradizionali di insulto catartico (). Le sanzioni collettive non sono ammesse nei sistemi giudiziari ed educativi delle democrazie progredite. È quindi difficile capire perché dovrebbero rivelarsi efficaci nel mondo del calcio”. Dunque, se vogliamo continuare a restare in una democrazia progredita dobbiamo tenerci questo campionato di calcio: con i morti, con i cori razzisti contro il negro del Napoli, con Mazzoleni, Nicchi e tutto il resto del circoletto Barnum.
In pratica, il club italiano più importante, la locomotiva del calcio italiano (non è ironia), davanti allo squallore del calcio in cui costringe a giocare i suoi calciatori, per combattere tutto questo ci raccomanda di leggere “Colour? What colour? Relazione sulla lotta contro la discriminazione e il razzismo nel calcio” . Una relazione scritta da lui (o meglio da chi lui ha pagato) che raccomanda di tollerare i cori razzisti, gli insulti razziali o discriminatori. E sapete perchè? Sono momenti “catartici”, liberatori.
E tutto questo Agnelli lo dice con un morto caldo ancora da mettere sotto terra (l’interista catartico Belardinelli) e con l’ennesima partita lordata da insulti razzisti verso il negro del Napoli, Kalidou Koulibaly. Questo è un mondo del calcio italico asservito alle logiche mafiose nelle curve degli stadi (non solo della Juventus) e con l’affare dei diritti Tv che nessun magistrato ancora riesce a indagare.
La Juventus di Agnelli di queste ore, faccia come ha fatto la Juventus di Agnelli di qualche giorno fa, che quando si è vista squalificare 25 ragazzini (ripeto, ragazzini ma catartici) dell’Under 15 che a giugno, dopo aver battuto il Napoli, intonarono e diffusero in rete il coro “Abbiamo un sogno nel cuore: Napoli usa il sapone” ha usato il pugno duro contro i suoi bambini minkia.
Non faccia come la Juventus che presentò ricorso contro la squalifica inflitta alla sua curva per gli insulti razzisti rivolti anche allo Stadium al negro del Napoli Koulibaly, spiegando che il comportamento dei tifosi, per quanto “indifendibile”, era dopotutto quello di tutte le tifoserie. Che motivo c’ era di adottare sanzioni? Risultato: punizione raddoppiata.
Intratteneva rapporti, attraverso i social, con tre suoi connazionali legati all’Isis, un tunisino di 24 anni, figlio di un’italiana, espulso dall’Italia per motivi di sicurezza nazionale e di prevenzione del terrorismo. Il giovane è stato ritracciato dagli uomini della digos e il questore di Torino ha ordinato l’accompagnamento immediato alla frontiera, con un provvedimento convalidato dal tribunale torinese. Il 24enne è stato scortato dagli agenti di polizia della questura del capoluogo piemontese fino all’aeroporto di Roma Fiumicino ed è stato rimpatriato a Tunisi. Regolare in Italia, secondo gli investigatori aveva nel tempo assunto comportamenti indicativi di radicalizzazione religiosa e manteneva contatti con i suoi connazionali che erano considerati una potenziale minaccia per la sicurezza dello Stato e per l’incolumità delle persone.
La Procura di Milano ha chiuso le indagini, in vista della richiesta di processo, nei confronti di Chiara Ferragni e di altre persone per l’accusa di truffa aggravata Al centro dell’inchiesta, coordinata dal pm Cristian Barilli e dall’aggiunto Eugenio Fusco e condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, ci sono i casi di presunta pubblicità ingannevole legata alle vendite, a prezzi maggiorati e mascherate con iniziative benefiche, avvenute tra il 2021 e il 2022, del pandoro ‘Pink Christmas’ Balocco e delle uova di Pasqua-Dolci Preziosi.
Oltre a Chiara Ferragni, l’atto di chiusura dell’inchiesta, notificato stamane, riguarda il suo ex stretto collaboratore Fabio Damato, Alessandra Balocco, titolare dell’azienda piemontese produttrice del Pandoro, Franco Cannillo della Dolci Preziosi. Come si legge in una nota della Procura sono stati ipotizzati i reati di truffa continuata e aggravata in relazione alle operazioni commerciali ‘Pandoro Balocco Pink Christmas, Limited Edition Chiara Ferragni’ (Natale 2022) e ‘Uova di Pasqua Chiara Ferragni -sosteniamo i Bambini delle Fate’ (Pasqua 2021 e 2022). “Le indagini – è scritto nel comunicato firmato dal procuratore Narcello Viola – hanno permesso di ricostruire la pianificazione diffusione di comunicazioni di natura decettiva, volte a indurre in errore i consumatori in ordine al collegamento tra l’acquisto dei prodotti pubblicizzati e iniziative benefiche”.
“Riteniamo che questa vicenda non abbia alcuna rilevanza penale e che i profili controversi siano già stati affrontati e risolti in sede di Agcom. Avvieremo al più presto un confronto con i Pubblici Ministeri e confidiamo in una conclusione positiva della vicenda. Chiara Ferragni ha fiducia nel lavoro della magistratura e che la sua innocenza venga acclarata quanto prima.”. Così gli avvocati di Chiara Ferragni hanno commentato la chiusura delle indagini per truffa aggravata nei confronti dell’influencer e di altre quattro persone per i casi del pandoro e delle uova di Pasqua.
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L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui vengono diagnosticate le malattie genetiche. Secondo quanto emerso dal XXVII Congresso nazionale di genetica umana a Padova, è ora possibile rilevare indizi di malattie genetiche attraverso una semplice foto del paziente. Grazie a nuove applicazioni installabili su smartphone, i medici possono utilizzare questa tecnologia per analizzare le caratteristiche facciali e ottenere indicazioni utili per la diagnosi.
Diagnosi genetica con una foto: come funziona?
Il processo è semplice: puntando lo smartphone sulla foto del paziente o scattando direttamente una foto, l’algoritmo dell’intelligenza artificiale analizza i tratti facciali e fornisce al medico un elenco di possibili malattie genetiche. Questa innovazione risulta particolarmente utile per malattie rare, che spesso sono difficili da diagnosticare. Si stima infatti che circa un bambino su 200-250 possa essere affetto da una malattia genetica.
Un supporto prezioso per i genetisti clinici
Luigi Memo, pediatra e genetista dell’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, ha evidenziato l’importanza di questo strumento nel supportare i medici. “Anche per le sindromi più rare e difficili da diagnosticare,” ha spiegato, “il genetista clinico può ora disporre di tecnologie avanzate come il cariotipo molecolare e il sequenziamento di nuova generazione, oltre a potenti motori di ricerca online. Questa app, inoltre, può essere utilizzata come una sorta di secondo parere per confermare una diagnosi o come punto di partenza nei casi più complessi.”
L’importanza della valutazione clinica
Nonostante il grande potenziale dell’intelligenza artificiale nella diagnosi genetica, i medici sottolineano che essa non può sostituire la valutazione clinica accurata del paziente. È infatti fondamentale che il genetista clinico continui a cercare quei segni diagnostici particolari, noti come “maniglie diagnostiche”, che indirizzano verso una diagnosi corretta.
Verso un futuro di diagnosi più rapide e precise
L’intelligenza artificiale è destinata a rivoluzionare il modo in cui vengono diagnosticate le malattie genetiche rare, offrendo ai medici strumenti preziosi per migliorare l’accuratezza delle diagnosi. Tuttavia, è essenziale che questa tecnologia venga utilizzata in combinazione con l’esperienza clinica per garantire i migliori risultati possibili.
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