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Cronache

Ancora troppi migranti positivi,nei centri di accoglienza arriva l’Esercito

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Sale a 73 il numero di migranti positivi al coronavirus nell’hotspot di Pozzallo (Ragusa) e per presidiare il centro il prefetto ha chiesto e ottenuto l’intervento dell’Esercito. I militari arriveranno lunedi’ prossimo, mentre in tutta la Sicilia – e non solo – la questione immigrati continua a provocare tensioni. Anche a Milano e’ stato disposto un presidio dell’Esercito per controllare (insieme alla Polizia) il rispetto dell’isolamento da parte di 44 migranti ospiti del centro di accoglienza di via Quintiliano, dove un immigrato e’ risultato positivo e subito trasferito in una apposita struttura. Il Cas e’ ora in isolamento, vigilato dai militari: ieri sera ci sono state proteste, ma oggi e’ tornata la calma. Gli sbarchi continuano, con piccole imbarcazioni che approdano alla spicciolata con a bordo intere famiglie, con donne e bambini. L’Oim lancia l’allarme sui 7mila profughi rimpatriati dall’inizio dell’anno nei centri di detenzione libici e chiede l’intervento dell’Europa. A Lampedusa – dove nelle ultime ore sono arrivati otto barchini, con a bordo oltre 120 persone – ha preso fuoco un furgone della societa’ che gestisce l’hotspot e che fa la spola con il molo per trasportare i migranti: l’ipotesi piu’ accreditata e’ che l’incendio sia stato doloso. Nel centro di accoglienza ci sono attualmente circa il doppio degli ospiti previsti. Sbarchi si registrano anche nel sud della Sardegna, dove 66 persone provenienti dall’Algeria, arrivate in ordine sparso, sono state trasferite nel centro di Monastir per la quarantena. E a proposito di quarantena, entro 24 ore arrivera’ nel porto calabrese di Gioia Tauro il traghetto ‘Gnv Aurelia’, la seconda nave noleggiata dal ministero dell’Interno che si affianca alla piu’ capiente ‘Gnv Azzurra’, collocata in acque siciliane, dove saranno ospitati fino a 300 migranti per l’isolamento sanitario. Per far fronte al nuovo flusso di profughi, aggravato dai rischio del Covid, sta per essere varato dal governo il nuovo decreto immigrazione. “I centri dovranno essere gestiti dai Comuni”, ha spiegato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, aggiungendo che i richiedenti asilo entreranno in un circuito “identico a quello riservato ai titolari di protezione umanitaria, ritornando un po’ come era prima”. Rinasce insomma il sistema di accoglienza ‘diffusa’, imperniato sulla collaborazione tra centro ed enti locali, un modello di wellfare smantellato da Matteo Salvini quando guidava il Viminale. Che ora attacca: “Mentre gli sbarchi continuano senza sosta ed emergono altri immigrati positivi, il ministro Lamorgese annuncia le modifiche ai Decreti sicurezza. Tra le tante sciagure, torna l’equiparazione tra i clandestini e i veri rifugiati: riceveranno lo stesso tipo di assistenza. Risultato: piu’ sprechi, servizi meno efficaci per chi ha la protezione internazionale, grasso che cola per le coop e i professionisti dell’accoglienza. Un pessimo segnale che incentivera’ le partenze, una vergogna a cui ci opporremo con tutte le forze”. Parlando dell’intensificarsi dei flussi, Lamorgese ha spiegato che “circa 14mila migranti sono arrivati dall’inizio dell’anno: il numero che ha fatto alzare l’asticella e’ quello che deriva dal mese di luglio, quando c’e’ stata una fortissima crisi politica ed economica in Tunisia” e molte persone “si sono avventurate verso le nostre coste”. Adesso, ha proseguito Lamorgese, “possiamo gestire la situazione con maggiore lucidita’”, oltre che con l’aiuto delle stesse autorita’ tunisine, che nelle ultime ore hanno intercettato e portato indietro tre imbarcazioni con 15 a bordo. Ma che la situazione non migliorera’ e’ convinto Salvini che, dopo aver affermato di voler chiedere “i danni al governo e alla Lamorgese per un’altra ‘nave da crociera-soggiorno’ destinata ai clandestini che sbarcano”, offre la sua “solidarieta’ alla Sicilia, che il governo Conte-Pd-5Stelle vuole trasformare in un campo profughi e in un lazzaretto”. E mentre le polemiche, come gli sbarchi, non si fermano, una inchiesta della Procura di Palmi ha messo nel mirino la gestione “costosa, discrezionale e poco trasparente” del centro di accoglienza per migranti di Varapodio, nel Reggino. E’ stato notificato l’avviso di conclusione indagini a sei persone tra le quali il sindaco di Varapodio, Orlando Fazzolari, candidato non eletto alle regionali del gennaio scorso con Fratelli d’Italia.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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