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Ancora morti in carcere, due suicidi ad Avellino e Roma

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Ancora suicidi in cella, stavolta due nell’arco di poche ore. Si allunga la lista di persone che si sono tolte la vita in carcere: sono 72 dall’inizio dell’anno secondo i sindacati di polizia penitenziaria. Gli ultimi casi riguardano quello di un detenuto nigeriano di 32 anni, John Ogais, morto nell’istituto di Ariano Irpino, in provincia di Avellino: l’uomo era stato arrestato nel 2017 a Crotone sulla base delle testimonianze dei migranti che lo incolpavano tra l’altro, di essere un torturatore. Ogais, detto Rambo, già domenica scorsa dopo aver aggredito e mandato in ospedale quattro agenti della penitenziaria, aveva tentato di impiccarsi alla grata della cella facendo un cappio con le lenzuola: era stato salvato in extremis da un poliziotto. Nel carcere irpino era giunto il mese scorso e per tutta la giornata di ieri era stato sottoposto a sorveglianza attiva ma in serata è riuscito a mettere in atto i suoi propositi. È il nono episodio in un carcere campano da gennaio. Poche ore dopo nell’istituto romano di Regina Coeli è stato trovato impiccato all’alba un cinquantenne, arrestato il 25 agosto scorso per maltrattamenti in famiglia.

“A queste morti, vanno aggiunte quelle dei sette agenti della polizia penitenziaria che si sono tolti la vita nel 2024. Una strage senza fine e senza precedenti che certifica, ancora una volta, il fallimento più totale del sistema carcerario”, sostiene il segretario generale della Uilpa, polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio. A segnalare “l’emergenza rispetto alla presenza di detenuti psichiatrici e l’assenza di personale specializzato che non può più essere negata” è il garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà Samuele Ciambriello, che al di là dei decessi, riferisce di “moltissimi atti di autolesionismo e manifestazioni di gesti estremi”. Intanto il ministero continua a lavorare per mettere a punto i nuovi provvedimenti previsti dal decreto carcere approvato nel luglio scorso.

“In un paio di mesi sarà pronto l’elenco del’albo delle comunità”, annuncia il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, parlando delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale dei detenuti che hanno i requisiti per accedere alla detenzione domiciliare e alle misure penali di comunità, ma che non sono in possesso di un domicilio. Ostellari ha ricordato che sono settemila i detenuti che non escono dal carcere solo perché non hanno un domicilio. In Parlamento la Camera ha invece approvato l’articolo 26 del ddl sicurezza, emendato dal governo, che introduce nel codice penale anche la “resistenza passiva” in carcere. Chi “partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi in tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”. In tale contesto “costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva”.

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Morte Luca Palmegiani, due filoni per indagini Procura L’Aquila

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La Procura della Repubblica dell’Aquila amplia il raggio delle indagini sulla morte di Luca Palmegiani, il 25enne di Latina, militante di Forza Italia, trasportato sabato scorso all’ospedale ‘San Salvatore’ del capoluogo abruzzese da Roccaraso, dove era stato soccorso dopo una caduta dal quarto piano dell’hotel “Suisse”.

Il pm Guido Cocco indaga su due fronti: l’istigazione al suicidio e l’omicidio colposo, ovvero sulla macchina dei soccorsi. La Procura, infatti, vuole accertare eventuali imperizie nella gestione sanitaria del paziente. Palmegiani era arrivato in Abruzzo insieme ad altri militanti del partito per prendere parte all’evento ‘Azzurri in vetta’, l’11 gennaio a Rivisondoli e il 12 a Roccaraso.

Si trovava nella sua stanza d’albergo quando, poco prima del gesto estremo, ha pubblicato sul suo profilo social un post che lasciava trasparire il suo stato d’animo e includeva parole d’addio.

Pochi istanti dopo, il giovane è precipitato dal quarto piano della struttura ricettiva. Soccorso, è stato trasportato da un’ambulanza del 118 prima all’ospedale della vicina Castel di Sangro (L’Aquila), poi all’Aquila dove è deceduto. Impossibile l’utilizzo dell’elisoccorso a causa del maltempo. Intanto nel pomeriggio il medico legale, Giuseppe Sciarra, ha effettuato l’esame autoptico, attraverso il quale è stato accertato il decesso per un politrauma fatale e un’emorragia diffusa.

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Lavoro extra fuori da Ssn, richiesta degli infermieri

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Infermiere in ospedale ma, fuori dall’orario di lavoro e previa autorizzazione, poter vestire i panni di un’altra professione, con l’obiettivo di avere una ulteriore entrata economica. Una possibilità che gli infermieri chiedono di introdurre nel contratto di lavoro del comparto Sanità, la cui definizione è alle ultime battute con i sindacati di categoria impegnati proprio in queste ore all’Aran per un rush finale in vista della chiusura dell’accordo. Quella di un ‘lavoro extra’ è, in realtà, un’opzione già prevista dalla legge ma non ancora dal contratto di lavoro. Inoltre, vi sono diverse interpretazioni della norma legislativa e per questo se ne chiede una definizione chiara nel contratto. A dar voce alla richiesta è il segretario del sindacato degli infermieri Nursind, Andrea Bottega: “Chiediamo che il contratto riconosca quanto già la legge dice. Attualmente – spiega – esiste infatti una legge che consente agli infermieri e al personale sanitario di fare attività al di fuori dell’orario di lavoro presso altri istituti e datori o come libera professione, previa autorizzazione”.

Nelle precedenti bozze del contratto, precisa, “si prevedeva l’introduzione di questa norma ma in una formulazione restrittiva: cioè si prevedeva la possibilità di svolgere una attività extra ma attinente al proprio profilo professionale; ovvero, un infermiere che lavora in ospedale potrebbe svolgere solo l’attività di infermiere anche fuori dall’orario di lavoro sempre se autorizzato”. La legge, però, chiarisce il leader sindacale, “dice che si può svolgere qualsiasi attività lavorativa, perchè fa venire meno l’incompatibilità. Tuttavia nella versione considerata in precedenza, sulla base della interpretazione delle Regioni, la possibilità di un lavoro extra era limitata appunto solo all’attività professionale esercitata, ovvero l’attività infermieristica”.

Questo, secondo Bottega, “è limitativo, perchè se un infermiere ha ad esempio competenze di carattere informatico e vuole lavorare in una ditta di informatica, o se volesse lavorare in una attività di famiglia, ciò non sarebbe consentito secondo la versione arrivata alla bozza di contratto”. Il Nursind ha chiesto, quindi, che la norma sia reintrodotta, ma nella interpretazione prevista dalla legge. Nella bozza attuale del contratto, “tale articolo non è più presente, ma ci batteremo perchè sia reintrodotto. Stiamo infatti cercando di mettere anche nella contrattazione dei contenuti che magari sono stati già anticipati dalla legge ma che ora vanno disciplinati al fine di evitare diversità interpretative da parte delle singole aziende sanitarie regionali”.

Il lavoro extra, sottolinea, “consentirebbe a chi ha maggiori difficoltà economiche di poter avere un’altra fonte di entrata”. Ma ovviamente, precisa Bottega, “per noi l’aspetto sostanziale resta quello di migliorare la situazione economica del rapporto di lavoro remunerando meglio il lavoro infermieristico che già si fa e le prestazioni aggiuntive, ad esempio per smaltire le liste di attesa. Ma sappiamo che un miglioramento degli stipendi in alcuni casi potrebbe non bastare, e questa sarebbe una possibilità in più se venisse correttamente recepita dal contratto”. Così, conclude, “si potrebbe contrastare il fenomeno dell’abbandono della professione, perchè poco remunerativa, oltre a porre un fremo al lavoro in nero”.

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Mostro Firenze, chiesta revisione del processo per Vanni

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“Mario Vanni non è il mostro di Firenze. In base a nuove prove abbiamo depositato istanza di revisione per l’annullamento della sentenza di condanna ai ‘compagni di merende’ per gli ultimi quattro duplici omicidi del killer delle coppiette”. Ad annunciarlo l’avvocato Valter Biscotti che insieme al collega Antonio Mazzeo assiste Paolo Vanni, il nipote del postino di San Casciano, morto a 81 anni nel 2009. Insieme a Giancarlo Lotti, il pentito, Vanni fu condannato al processo bis sul mostro per gli ultimi quattro duplici delitti: Montespertoli 1982, Giogoli 1983, Vicchio 1984, Scopeti 1985. In appello nel 1999 Vanni – per il quale il pg Daniele Propato aveva comunque chiesto l’assoluzione – ebbe l’ergastolo, Lotti 26 anni di carcere, condanne rese definitive nel 2000 dalla Cassazione.

“Sono emerse nuove prove” – secondo i due legali – anche grazie alla collaborazione dei consulenti Francesco Cappelletti, il professor Stefano Vanini e la dottoressa Fabiola Giusti”. Tra i nuovi elementi, spiegano i legali, emergono due testimonianze che non sarebbero state valutate nel corso del processo e smentirebbero Giancarlo Lotti in merito alla sua presenza sulla scena del delitto a Scopeti, in cui furono uccisi Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili, e su quella del secondo omicidio attribuito al mostro. Inoltre, lo studio scientifico sulle larve rilevate sui cadaveri impone di anticipare di quarantotto ore la data dell’omicidio a Scopeti, stabilita in sentenza l’8 settembre 1985.

“Un dato rilevante – spiega l’avvocato Biscotti – perché in contrasto con il racconto del testimone oculare Giancarlo Lotti. E’ un dato scientifico: dimostra che non era presente. Così viene giù l’accusa”. “E’ una battaglia di civiltà giuridica – spiega Biscotti – qualcuno si deve assumere il compito di eliminare quei detriti che anche in un processo penale impediscono la ricerca della verità. Dopo 30 anni certi processi si vedono con una luce più chiara, anche grazie alla scienza”.

La Corte d’appello di Genova, dopo aver ottenuto gli atti del procedimento dalla Corte d’appello di Firenze, valuterà in via preliminare l’ammissibilità dell’istanza. “Mio zio era una persona docile, non ho mai creduto che potesse essere il mostro di Firenze. E’ un atto di fede nei suoi confronti che mi ha spinto a sollecitare la revisione dell’ergastolo – spiega Paolo Vanni -. Con me era sempre gentile: quando da piccolo andavo in collegio mi lasciava sempre 150 lire. In paese lo chiamavano il ‘torsolo’ per indicare una persona ignorante, incapace di delitti efferati”. E dei compagni di merende? “Non ho mai visto Lotti, solo qualche volta per strada Pacciani e mio zio non mi ha mai parlato di loro. Credo invece che il mostro sia ancora in vita e conoscesse mio zio. È solo una mia ipotesi e non faccio nomi”.

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