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Allerta Usa: la Serbia ammassa truppe ai confini del Kosovo

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Gli Stati Uniti lanciano l’allerta: la Serbia sta ammassando truppe al confine con il Kosovo, teatro di sanguinosi scontri nello scorso weekend. Washington ha chiesto a Belgrado di “ritirarle immediatamente”, mentre la Nato ha dato il via libera al dispiegamento di nuove forze nel nord della repubblica kosovara “per poter continuare a garantire un ambiente sicuro a tutte le persone che ci vivono”. Il portavoce della del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, John Kirby, ha infatti reso noto che Washington “vede un importante dispiegamento militare serbo lungo il confine”, compresa – ha precisato – l’istallazione “senza precedenti” di artiglieria, carri armati e unità di fanteria.

Nel briefing, Kirby non ha voluto evocare il rischio di un’eventuale invasione serba nella sua ex provincia – che Belgrado non riconosce come indipendente – dove da giorni si sono riaccese tensioni mai veramente sopite. Tensioni che sono sfociate, appena una settimana fa a Banjska, in violenti scontri tra serbi e polizia locale, terminati con la morte di un agente kosovaro e tre assalitori. In questo quadro, la Nato ha disposto l’invio di “ulteriori forze” della Kfor, la missione dell’Alleanza atlantica in Kosovo, “per far fronte alla situazione attuale” dopo aver già rafforzato la sua presenza lo scorso maggio.

La Kfor, ha poi precisato un funzionario, “sta aumentando la sua presenza e attività nel nord del Kosovo e nelle aree attorno alla linea del confine amministrativo (con la Serbia, ndr) per continuare a portare a termine il suo mandato di fornire un ambiente sicuro e protetto a tutte le persone che vivono in Kosovo”. A rimpolpare le file delle truppe Nato saranno, “se necessario”, militari britannici: il ministero della Difesa di Londra ha infatti messo a disposizione della Kfor un battaglione tra i 500 e i 650 soldati. In un colloquio con il presidente serbo Aleksandar Vucic, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha ribadito “la necessità immediata di allentare le tensioni con il Kosovo e di chiedere conto ai responsabili dei recenti attacchi violenti”. “Ho inoltre sottolineato l’importanza di attuare pienamente gli impegni assunti nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue”, ha scritto lo stesso Blinken su X. Dal canto suo il presidente serbo Vucic ha smentito di aver firmato l’ordine di “più alto livello di preparazione al combattimento”, assicurando che, nella zona a ridosso del confine con il Kosovo, Belgrado “non ha nemmeno la metà delle truppe che aveva due o tre mesi fa”.

 

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Cittadini stanchi di pagare il pizzo uccidono 11 uomini della gang di narcos nel campo da calcio

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Nel paese di Texcaltitlan, nel centro del Messico, dei cittadini stanchi di pagare il pizzo al cartello locale hanno ucciso a colpi di machete un gruppo di otto narcotrafficanti nel campo da calcio del municipio. L’esito dello scontro ha lasciato 11 morti, otto dei quali vincolati al cartello Familia Michoacana. Secondo quanto riportato dalla stampa messicana, gli abitanti del paese erano stati convocati nel campo sportivo per pagare la quota settimanale alla criminalità del posto. Dopo esser scesi dai loro pick-up i narcos sono stati attaccati dalla folla con pietre, colpi di machete e pugni. La polizia è arrivata poco dopo sulla scena del massacro e sta ricostruendo l’accaduto attraverso dei video postati sui social.

 

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Guatemala, Arévalo denuncia “un colpo di stato assurdo”

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Il presidente eletto guatemalteco Bernardo Arévalo ha denunciato che le indagini svolte dall’Ufficio del Pubblico ministero della Procura, secondo cui le elezioni generali tenute quest’anno, e da lui vinte, dovrebbero essere annullate, non sono altro che un “colpo di stato assurdo, ridicolo e perverso”.


Nel corso di una conferenza stampa ieri sera Arévalo, che dovrebbe insediarsi nella massima carica dello Stato il 14 gennaio 2024 succedendo a Alejandro Giammattei, ha assicurato che le accuse formulate contro il Tribunale supremo elettorale (Tse) e contro lui stesso, sono infondate, aggiungendo che per quanto lo riguarda, ha prove che dissipano anche il presunto riciclaggio di denaro. Alludendo infine ai settori della magistratura che stanno cercando di bloccare il processo di transizione democratica presidenziale, ha sostenuto che “i golpisti fanno i gesti disperati di chi sta per affogare, e provano a portare a termine un improbabile colpo di stato”.

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Putin si ricandida alla guida della Russia fino al 2030

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La simbologia non poteva essere più potente e significativa. Rispondendo alla domanda di un pluridecorato combattente filorusso del Donbass, padre di un caduto, nella giornata degli Eroi della Madrepatria, Vladimir Putin ha annunciato che il prossimo 17 marzo correrà per un quinto mandato da presidente della Russia, deciso a rimanere almeno fino al 2030 al comando del Paese in quella che vede come una sfida esistenziale con l’Occidente, sicuramente la più grave dalla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Il tutto è avvenuto, all’improvviso, nella sontuosa cornice della sala Georgievsky del Cremlino, dove Putin aveva appena consegnato alcune onorificenze.

Artyom Zhoga, già a capo di una milizia della Repubblica di Donetsk, che nel 2022 ha perso un figlio nella guerra e quest’anno è diventato capo del Parlamento della regione annessa alla Russia in seguito alle elezioni dello scorso settembre, si è rivolto al presidente sotto gli occhi delle telecamere. “Grazie alle sue azioni abbiamo ottenuto la libertà e il diritto di scegliere, ma c’è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo procedere con l’integrazione, e vorremmo farlo sotto la sua guida”, ha affermato Zhoga. Per poi concludere: “Abbiamo bisogno di lei, la Russia ha bisogno di lei”.

Al che Putin ha ringraziato e ha risposto: “Ho avuto diversi pensieri su questo argomento, ma oggi capisco che non c’è altra scelta. Ecco perché mi candiderò a presidente della Russia”. Una candidatura che equivale alla certezza della rielezione, non solo per la repressione del dissenso, accentuatasi dall’inizio dell’intervento militare in Ucraina, ma pure per il vasto sostegno di cui, anche secondo sondaggi indipendenti, il comandante in capo continua a godere oltre 21 mesi dopo l’inizio del conflitto. La narrazione che vuole la Russia impegnata in una guerra per la sopravvivenza contro un Occidente intento a smembrarla funziona. E’ vero che da una recente ricerca effettuata dal Centro statistico Levada emerge che oltre il 50% dei russi vorrebbe una soluzione negoziata al conflitto, ma senza concessioni umilianti.

Molti osservatori si aspettano inoltre che a sfidare Putin saranno ammessi, pro forma, soltanto candidati di movimenti politici considerati di sistema, come il Partito liberaldemocratico e quello comunista. Ma il team di Alexei Navalny, il più noto oppositore, in carcere da quasi tre anni, non si è dato per vinto e ha indetto una campagna denominata ‘Una Russia senza Putin’ in cui si invita ogni cittadino a votare per i candidati avversari del presidente e a convincere almeno altre dieci persone a fare altrettanto. Sebbene la data ufficiale delle presidenziali sia il 17 marzo, la responsabile della Commissione elettorale centrale Ella Pamfilova ha detto che le votazioni cominceranno in realtà fin da venerdì 15 e dureranno tre giorni. Un’usanza introdotta con la pandemia da Covid e diventata ormai comune, ma che secondo gli oppositori del Cremlino rende più difficili i controlli su eventuali brogli.

Se tutto sembra ormai deciso, qualche dubbio resta sulle modalità dell’annuncio odierno. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha assicurato che il tutto si è svolto in modo spontaneo e non programmato. Ma anche il sito dell’opposizione Meduza afferma di aver saputo da proprie fonti che Putin avrebbe dovuto comunicare la notizia in occasione della conferenza di fine anno e della linea diretta con i cittadini in programma il 14 dicembre. Secondo il sito, dunque, il presidente sarebbe stato colto alla sprovvista e avrebbe risposto senza pensarci troppo, cosa che sarebbe confermata dalla voce sommessa che gli è uscita. La cosa che conta, comunque, è che Putin diventerà con solo un anno di svantaggio rispetto a Stalin il secondo leader più longevo della Russia moderna: 30 anni, contro i 31 del predecessore sovietico, e ben di più dei 18 anni di Leonid Brezhnev.

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