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Albanese espulsa dall’Italia, reclutava per l’Isis donne da mandare al fronte a soddisfare i jihadisti

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“A Parigi fatto bene, Allah li protegga”. Arta “Anila” Kakabuni commentava così le stragi Isis a Parigi. Era un pericolo per la sicurezza dello Stato, è stata messa su un aereo per l’Albania ed espulsa con un decreto firmato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. E segnalata, ovviamente, alle autorità di Tirana. Anila, aveva ikl compito di reclutare le donne: prima le invitava ad abbracciare l’ideologia dell’Isis, poi le portava su posizioni sempre più radicali, infine le convinceva a partite per la Siria o l’Iraq e ad unirsi al jihad che i loro uomini già stavano combattendo contro gli infedeli.
Che l’ albanese di 44 anni non fosse una figura marginale nel panorama dell’estremismo islamico in Italia, gli investigatori lo sapevano da tempo. La seguivano per questo motivo. E per altri. I contatti che aveva, in Italia e nei territori occupati dallo Stato islamico, il lavoro svolto per radicalizzare e instradare verso la Siria diversi soggetti, la rendevano un soggetto potenzialmente capace di passare da una fase teorica di reclutamento a diventare una jihadista operativa. .

La donna era in Italia dal 2003 e viveva a Grosseto con il fratello. Ma il suo nome e soprattutto il suo ruolo vennero fuori, almeno ufficialmente, il 1 luglio del 2015 quando le Digos di Milano e Grosseto chiusero l’indagine che portò all’esecuzione di 10 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti estremisti, tutta gente che aveva aderito allo Stato islamico. 

Secondo le indagini il suo compito era quello di reclutare adepti per l’Isis. E Anila lo ha fatto bene: prima con Maria Giulia Sergio, la prima foreign fighter italiana che ha preso il nome di battaglia di Fatima e che dal settembre del 2014 è in Siria dove assieme al marito Aldo Kobuzi si è unita all’Isis. Sarebbe stata proprio Anila Kacabuni, assieme a Baki Coku – anche lui condannato e già espulso – ad organizzare il «matrimonio ‘combinatò» tra Fatima e Kobuzi e anche la loro partenza «verso il territorio dello stato islamico», come si legge negli atti dell’inchiesta coordinata dall’allora aggiunto milanese Maurizio Romanelli, ora alla Dna.

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Accoltella la moglie e chiama il 118, ‘l’ho uccisa’

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L’ha colpita più volte all’addome e al torace con un coltello. Poi ha chiamato il 118 e ha detto: “Ho ucciso mia moglie”. L’ennesimo omicidio di una donna per mano del marito si è consumato ad Andria, nel nord Barese, nella casa in cui la coppia viveva con i due figli di 6 e 11 anni, all’interno di un rimessaggio. I figli avrebbero assistito all’omicidio. La vittima, Vincenza Angrisano, aveva 42 anni e lavorava nelle vendite di prodotti per la casa. Suo marito, Luigi Leonetti, poco più grande di lei, lavorava come guardiano nel rimessaggio che si trova a ridosso della strada provinciale 231, a tre chilometri dal centro cittadino.

Quando gli operatori sanitari hanno risposto alla telefonata del marito, hanno sentito anche urla di bambini e hanno avvertito subito i carabinieri che indagano sull’accaduto coordinati dalla Procura di Trani. Lenoetti è stato trattenuto in caserma. Secondo quanto riferito da una collega della vittima, Vincenza “voleva cambiare casa perché lui la trattava male: ultimamente tra loro due le cose non andavano bene”. “Era la mia responsabile – aggiunge – e quando ho saputo che era stata accoltellata a morte sono voluta venire qui”, a casa di Vincenza, “per capire se davvero fosse lei”.

Uno dei fratelli di Leonetti ha raggiunto l’abitazione con un altro fratello e la moglie, per prendersi cura dei figli di Vincenza e Luigi. “Ci ha fatto vergognare – ha detto, precisando di non parlare con Luigi da un anno – ha rovinato la famiglia”. “Quanto accaduto ad Andria – commenta l’assessora al Welfare della Regione Puglia, Rosa Barone – con l’ennesima donna uccisa dal marito all’interno della sua abitazione, ci addolora immensamente. Una famiglia distrutta e un’altra vita spezzata. Un femminicidio compiuto a tre giorni dalla giornata internazionale per il contrasto alla violenza sulle donne, in cui tanta è stata l’attenzione su questo fenomeno e alta è stata la partecipazione a cortei e manifestazioni. Tutto questo non basta. Continueremo a confrontarci con le responsabili dei centri antiviolenza per capire come poter agire per essere ancora più incisivi”.

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La parrocchia di Capri, “non sfrattiamo i bisognosi”

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La parrocchia Santo Stefano Protomartire di Capri non ha sfrattato dai propri immobili persone bisognose e associazioni di volontariato per liberare gli immobili e destinarli a B&B: è quanto precisa, “in relazione agli articoli e ai servizi radiotelevisivi” dei giorni scorsi, il reverendo Pasquale Irolla, “in accordo con la Curia di Sorrento-Castellammare di Stabia”. In particolare, spiega il sacerdote, la Parrocchia “non ha sfrattato l’Unitalsi, ma con questa ha concordato il trasferimento della sede caprese nella più ampia struttura della Cappella di S. Anna che anni addietro ospitava la sede storica della stessa Unitalsi”.

Un trasferimento, peraltro, “agevolato anche mediante l’elargizione da parte di un terzo di un significativo contributo economico per le spese di trasloco”. Il reverendo Irolla, poi, non ha sfrattato il Consorzio Luna, un ente incaricato della gestione di servizi sociali, ma ha “chiesto ed ottenuto il recupero dei canoni pregressi in un clima di cordialità e collaborazione”. Mentre la Parrocchia, “ha provveduto al pagamento di una pregressa morosito presso la Gori Spa (la società che fornisce il servizio idrico – ndr) che impediva di fatto allo stesso Consorzio Luna di fruire della struttura per la mancanza” dell’acqua.

C’è infine il caso reso noto di recente dall’Unione consumatori di Capri, che sta assistendo una giovane donna, separata e con figli minori, che avrebbe ricevuto lo sfratto per finita locazione. A questo riguardo, il reverendo precisa che “non ha sfrattato la signora, ma chiesto ed ottenuto un’ordinanza anticipatoria della cessazione del contratto di locazione. Tale iniziativa processuale – afferma – si è resa necessaria per le attività edilizie abusivamente poste in essere dalla signora per le quali il Comune di Capri ha adottato un’ordinanza di ripristino che, qualora non eseguita nei 90 giorni, determinerà l’acquisizione al patrimonio comunale dell’appartamento posto a 20 metri dalla famosa piazzetta di Capri”.

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Treno travolge camion fermo sui binari, due morti

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Due morti rappresentano il bilancio di un incidente in cui sono rimasti coinvolti stasera a Corigliano Rossano, in provincia di Cosenza, un treno ed un camion. Le vittime sono la capotreno del convoglio, il regionale che collega la frazione Sibari di Cassano allo Ionio e Corigliano Rossano, ed il conducente del camion, che viaggiava da solo. La Procura della Repubblica di Castrovillari ha aperto un’inchiesta per ricostruire la dinamica dell’incidente ed accertare eventuali responsabilità. Le indagini vengono condotte dalla polizia ferroviaria insieme ai carabinieri.

Sul posto dell’incidente anche i vigili del fuoco ed il personale del 118. Sia il locomotore del treno investitore che il camion, dopo lo scontro, avvenuto all’altezza di un passaggio a livello, hanno preso fuoco. Le fiamme si sono levate subito altissime, illuminando a giorno tutta la zona interessata dall’incidente. Ciò che al momento appare assodato è che il camion, nel momento in cui è stato investito dal treno, fosse fermo sui binari.

L’ipotesi che viene fatta, anche se vanno effettuati i necessari riscontri, é che il conducente del camion abbia attraversato i binari poco prima che il passaggio a livello si abbassasse e che si sia ritrovato così intrappolato sui binari. Pochi secondi dopo é sopraggiunto il treno, ad una velocità di circa 130 chilometri orari, che ha travolto in pieno il mezzo pesante. Rfi e Trenitalia hanno diffuso una nota in cui, nel ricostruire la dinamica dell’incidente, si afferma che “il camion ha occupato la sede di un passaggio a livello che, dai primi riscontri, risulta regolarmente funzionante e chiuso”.

Nella nota si fa anche riferimento alla presenza sul treno, oltre che della capotreno e del conducente, di dieci passeggeri, che risultano comunque tutti illesi. Nel comunicato si rende, noto, inoltre, che la circolazione ferroviaria è attualmente sospesa fra Sibari e Corigliano Rossano e si esprime “il dolore ed il cordoglio di Rfi e Trenitalia per le vittime”.

La capotreno delle Ferrovie dello Stato morta nell’incidente accaduto a Corigliano Rossano si chiamava Maria Pansini. Aveva 61 anni ed era di Catanzaro. L’altra vittima, che era alla guida del camion travolto dal treno, é Said Hannaoui, di 24 anni, di nazionalità marocchina.

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