Il tribunale di Napoli, al contrario di quello di Caltanissetta, condannando addirittura alle spese chi osa chieder giustizia sul diritto al finanziamento promesso dal governo Conte, rigetta alcuni ricorsi ex art. 700 presentati da imprenditori in crisi a fronte del rifiuto di erogazione degli aiuti di Stato previsti e disciplinati dal decreto legge n. 23/2020.
Per fronteggiare la carenza di liquidità delle imprese causata dalla imposizione del lockdown il Governo ha emanato e pubblicizzato lo scorso mese di aprile il predetto decreto con cui, tra l’altro, ha disposto all’art. 13 gli aiuti di Stato attraverso l’erogazione di finanziamenti “garantiti” alle imprese in crisi da parte di banche ed intermediari finanziari. In tutte le lingue il presidente Conte ha disposto che tali finanziamenti godono della garanzia statale derogando a qualsiasi valutazione del merito creditizio, attraverso una procedura automatica e semplificata adottabile dagli imprenditori in crisi.
Sta di fatto che le banche eroganti, pur potendo fruire della garanzia statale in caso di inadempimento dell’impresa beneficiaria, in molti casi a loro discrezione hanno declinato le richieste benché ad esse sia stata comunque accordata la massima garanzia statale atraverso il fondo di garanzia.
Le banche, pur non essendo esplicitamente tenute alla valutazione del merito creditizio, in molti casi hanno negato l’erogazione del credito sulla base di non precisati motivi nonostante sussistessero i presupposti di legge.
In tale contesto degne di nota, per la loro gravità e severità, sono i risvolti di alcune procedure d’urgenza instaurate da professionisti ed imprenditori napoletani con il patrocinio del sottoscritto e della collega Antonella Esposito nel tentativo di poter sopravvivere alla crisi fiduciosi delle promesse di Conte dratiscamente smentito dal tribunale. I ricorsi, benché motivati e corredati di tutti gli allegati relativi allo stato di salute dei richiedenti, sono stato severamente rigettati dal Tribunale sulla base dell’assenza dell’obbligo di erogare i predetti aiuti di stato, nonché sulla base di una dichiarata non solvibilità dello Stato italiano.
Gli avvocati sono rimasti senza parole nel leggere le dure motivazioni del tribunale e il capovolgimento della ratio di una norma che in tale emergenza doveva esser d’aiuto alle vittime della crisi invece addirittura condannate per aver osato chiedere giustizia credendo nelle promesse del Governo.
Ora la parola passerà ai Giudici competenti per il reclamo e agli organi deputati a valutare tutti gli atti di causa cui gli avvocati senza alcun timore hanno deciso di ricorrere . La motivazione del giudice napoletano non è condivisibile in quanto, ai fini della ordinaria valutazione del merito creditizio, il Governo ha inteso e dichiarato a reti unificate , e non potrebbe essere diversamente, derogare per quanto straordinario alla normale prassi bancaria non prevedendo una valutazione del merito creditizio, disponendo il rilascio della garanzia sulla base della sola autocertificazione del richiedente, sulla base della quale le banche eroganti avrebbero dovuto erogare il credito senza assunzione di rischio.
Sta di fatto che molte banche (nel caso di napoli un noto istituto nazionale), ha ritenuto di non poter erogare il finanziamento richiesto (€. 25.000) senza motivazione ed a causa di una non meglio precisata mancanza di merito creditizio nonostante l’assenza di qualsivoglia sofferenza del richiedente. Adite le vie legali il giudice istruttore ha ritenuto legittima la condotta della banca, sulla base di due valutazioni: la prima concernente la deroga della valutazione del merito creditizio, a suo dire,disposta solo per il rilascio della garanzia pubblica,non anche per l’erogazione dei finanziamenti; la seconda relativa ad un “rischio di insolvenza statale , ormai non più ipotetico”.
Tale motivazione, posta alla base del rigetto dell’istanza, pone seri interrogativi in merito alla disapplicazione di una norma (art. 13 d.l. 23/2020) voluta e concepita dal legislatoreanche nella legge di conversione, finalizzata a concedere aiuti di Stato a costo zero per il rilascio della garanzia nonché in merito all’avallo al diniego della richiesta di erogazione dei predetti aiuti.
Ma l’aspetto più grave si esplica con la dichiarata insolvibilità dello Stato, esplicitamente denunciando l’incapacità di garantire il soggetto finanziatore.
Evidentemente il G.I., attraverso un mero giudizio prognostico, ha condannato lo Stato italiano al default, di cui non ancora si sono accorti al Ministero dell’Economia.
La non ammissione degli aiuti di Stato richiesti da un’impresa finanziariamente sana, non può non aprire riflessioni in ordine alla contravvenzione della legge che ciascun giudice è chiamato ad applicare, nonché a denunciare la non credibilità dello Stato italiano per i soggetti finanziatori, le banche.
A fronte della disposta ammissibilità automatica della garanzia pubblica, il giudice, capovolgendone la ratio e negando l’emergenza, non solo non applica la legge di conversione del d.l. ma addirittura giustifica il diniego della banca ritenendo la garanzia dello Stato non affidabile, pur essendo lo Stato il datore di lavoro che non il denaro pubblico paga sempre gli stipendi e le spese del sistema .
Ora la parola ripassa agli Avvocati che stanno lavorando per esperire il reclamo al collegio ex art. 669 e ss c.c. a cui sarà sottoposta la motivazione alla base del diniego della chiesta tutela in via d’urgenza ed anche la richiesta di sollevare eventualmente abbia ragione il primo giudice doverosa eccezione di incostituzionalità della norma senza altri commenti e punizioni in danno di imprenditori innocenti fidatisi del governo . La disapplicazione della legge, soprattutto in una fase emergenziale, sará rimessa non solo al Collegio, ma anche al CSM e autorità competenti per gli eventuali provvedimenti possibili a causa dei gravi danni e dei pregiudizi, potenzialmente in grado di produrre una tale affermazione nei mercati e nella ripresa economica.
Un 49enne marocchino, condannato per l’omicidio della moglie, è stato espulso dall’Italia e accompagnato alla frontiera aerea di Venezia e rimpatriato in Marocco con un volo diretto a Casablanca. Il provvedimento è stato disposto dal questore di Padova Marco Odorisio. Entrato in Italia ad aprile 2010 per ricongiungimento familiare con la moglie, nel 2011 era stato arrestato dalla squadra Mobile per omicidio doloso in quanto, al culmine di un litigio con la coniuge, all’interno della propria abitazione, nonostante la presenza della figlia allora di 7 anni, l’uomo aveva ucciso la compagna con 12 colpi contundenti e 42 coltellate. Il marocchino era stato condannato dalla Corte d’Assile d’Appello di Venezia alla pena di 14 anni e 8 mesi di reclusione.
Scarcerato lo scorso agosto, irregolare sul territorio nazionale e ritenuto pericoloso socialmente, lo straniero è stato collocato e trattenuto, con provvedimento del questore, presso il Centro di Permanenza per i Rimpatri di Milano dove, dopo due giorni, ha formalizzato istanza di Protezione Internazionale.
A settembre del 2023 è stato dimesso dal Cpa milanese perché il Giudice del Tribunale di Milano non aveva convalidato il provvedimento di trattenimento per richiedenti asilo in quanto la domanda di protezione internazionale presentata dal 49enne non è stata ritenuta strumentale a fine di evitare o ritardare il provvedimento di espulsione. l 49enne è stato poi rintracciato nel padovano dopo la sua uscita dal Cpr, e portato al Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gorizia, dove è stato raggiunto dal provvedimento di espulsione dopo che la polizia si era consultata con il Console del Regno del Marocco presso il Consolato di Verona
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.