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Aids: nuovo caso di possibile guarigione da Hiv a Berlino, è il settimo al mondo

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L’inizio di tutto è stato il caso di Timothy Ray Brown, passato alla storia come il ‘paziente di Berlino’: la prima persona al mondo a essere guarita dall’Hiv, dopo un trapianto di cellule staminali. Da allora altre 5 sono finite sotto i riflettori per lo stesso motivo (l’ultima della lista ha però un follow-up ancora breve). E adesso la Charité – Universitätsmedizin Berlin, lo stesso ospedale tedesco che trattò Brown, poi morto negli Stati Uniti nel 2020 all’età di 54 anni a seguito di una recidiva della sua leucemia, annuncia di aver curato un secondo paziente, affetto sia da leucemia mieloide acuta che da Hiv: il team che lo ha trattato sembra essere riuscito di nuovo a eliminare, all’apparenza completamente, il virus dell’Hiv dal suo organismo. Sarebbe dunque il settimo caso al mondo.

Questo paziente, spiegano gli esperti della struttura in una nota, non ha avuto alcun virus rilevabile per più di 5 anni, nonostante non stia assumendo farmaci antivirali, avendoli interrotti autonomamente nel 2018. Quello che rende questo caso speciale, evidenziano dal centro, è che il team ha utilizzato un metodo di trattamento diverso dai precedenti. Il trapianto di staminali è un’opzione solo per i pazienti che, oltre a convivere con l’Hiv, sviluppano anche alcune forme di leucemia o linfoma che non rispondono a radiazioni o chemio. In questa procedura, le staminali di una persona sana vengono trasferite al paziente, sostituendone il sistema immunitario. Ciò rende possibile combattere non solo il cancro, ma anche l’Hiv.Ma in precedenza, gli scienziati avevano ritenuto fosse necessario trovare un donatore di cellule staminali con caratteristiche genetiche molto specifiche.

Questo perché, per moltiplicarsi, l’Hiv entra in varie cellule immunitarie e per farlo ha bisogno di un certo tipo di recettore, Ccr5. Circa l’1% della popolazione europea ha un recettore Ccr5 con una mutazione nota come mutazione delta 32, che impedisce al virus di entrare, rendendo queste persone naturalmente immuni all’Hiv. Serve dunque trovare un donatore con la mutazione, quindi immune, e compatibile con il paziente ricevente. Per il secondo paziente di Berlino, però, questo non è stato necessario. “Non siamo riusciti a trovare un donatore di cellule staminali compatibile che fosse immune all’Hiv, ma siamo riusciti a trovarne uno le cui cellule hanno due versioni del recettore Ccr5: quella normale e poi una in più, mutata”, riferisce Olaf Penack, medico senior del reparto che ha in cura il paziente. “Questo accade quando una persona eredita la mutazione delta 32 da un solo genitore – continua Penack – Tuttavia, avere entrambe le versioni del recettore non conferisce immunità all’Hiv”.

Il paziente trattato con questa strategia è un 60enne, positivo all’Hiv dal 2009, che ha ricevuto la diagnosi di leucemia nel 2015. Il caso verrà presentato al mondo medico alla Conferenza internazionale sull’AIDS a Monaco il 24 luglio. Sebbene la donatrice non fosse immune, dunque, è diventato evidente che il trapianto di cellule staminali aveva avuto successo nel curare il paziente dall’Hiv dopo l’interruzione degli antivirali. Il paziente è stato monitorato molto attentamente e, fino a oggi, il team che lo segue non è stato in grado di trovare alcuna indicazione che il virus persista. Il sistema immunitario del paziente è funzionante e non ci sono cellule tumorali rilevabili.

“Siamo molto contenti che il paziente sia in buona salute e stia bene”, afferma Penack. “Il fatto che sia stato sotto osservazione per più di 5 anni e che sia stato privo di virus per tutto il tempo indica che siamo effettivamente riusciti a eradicare completamente l’Hiv dal suo organismo. Quindi lo consideriamo guarito”. E’ “estremamente sorprendente che il paziente sia guarito nonostante il donatore di cellule staminali non fosse immune all’Hiv”, afferma Christian Gaebler, esperto di Hiv e responsabile del gruppo di ricerca presso il Dipartimento di malattie infettive e medicina intensiva della Charité e Berlin Institute of Health. “In precedenti casi di trapianto di cellule staminali che coinvolgevano donatori non immuni, il virus ha ripreso a replicarsi dopo alcuni mesi”. Il secondo paziente di Berlino dimostra che è possibile curare l’Hiv anche se esiste un recettore funzionale che il virus può usare. “Ciò significa che il fatto che il virus sia stato curato è apparentemente attribuibile al fatto che le cellule immunitarie trapiantate hanno eliminato tutte le cellule infette da Hiv del paziente”, spiega Gaebler. “Sostituendo il suo sistema immunitario, abbiamo apparentemente distrutto tutti i posti in cui il virus si nascondeva”.

Non è ancora chiaro perché il trapianto di cellule staminali abbia portato alla guarigione del paziente in questo caso, mentre il virus ha ripreso a replicarsi in casi simili. I ricercatori stanno prendendo in considerazione molteplici potenziali fattori. “La velocità con cui il nuovo sistema immunitario sostituisce quello vecchio potrebbe svolgere un ruolo”, afferma Gaebler. “Nel secondo paziente di Berlino, ciò è avvenuto relativamente in fretta, in meno di 30 giorni. Ma il sistema immunitario del donatore potrebbe anche avere caratteristiche speciali, come cellule natural killer altamente attive”. Gli esperti continueranno a indagare.

“Il nostro obiettivo rimane quello di curare l’Hiv non solo nei singoli pazienti, ma su una base più ampia in futuro”, prospetta Gaebler. Prima di sottoporsi al trapianto, il secondo paziente di Berlino, esattamente come la sua donatrice, faceva parte del circa 16% di persone di origine europea che portano sia la versione normale che una versione mutata del recettore Ccr5 nelle loro cellule (rendendole ‘eterozigoti’ per la mutazione delta 32). Non è chiaro se questo dettaglio abbia contribuito alla guarigione. Oltre a Brown, il cui caso è stato reso pubblico nel 2008, le altre persone ritenute guarite dall’Hiv sono Adam Castillejo (il ‘paziente di Londra’, data di pubblicazione del suo caso 2019), Marc Franke (il ‘paziente di Düsseldorf’, 2023), il caso noto come ‘paziente di New York’ (nel 2023, una donna), Paul Edmonds (il ‘paziente di City of Hope’, 2023) e infine c’è il ‘paziente di Ginevra’, su cui al momento però ci sono valutazioni diverse riguardo alla sua completa guarigione dall’Hiv. Franke, Edmonds e Castillejo, diventati amici, dovrebbero partecipare alla conferenza sull’Hiv a Monaco, secondo quanto riferisce ‘Nbc News’.

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Cronache

Condono edilizio 2003, perché in Campania la sanatoria non è mai partita: numeri, ritardi e nuove tensioni politiche

In Campania il condono edilizio del 2003 non è mai stato applicato per intero. Tra conflitti istituzionali, sentenze della Consulta e migliaia di pratiche inevase, il tema torna ora nella campagna elettorale.

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La questione del condono edilizio del 2003 torna al centro del dibattito politico in Campania, complice la campagna elettorale e un emendamento del centrodestra alla legge di bilancio che propone la riapertura dei termini.

Per capire le tensioni attuali bisogna risalire alla legge nazionale varata dal governo Berlusconi, che avrebbe dovuto regolarizzare gli abusi realizzati entro il 31 marzo 2003. In Campania, però, la norma non fu recepita nei tempi previsti: la Regione approvò nel 2004 una disciplina autonoma, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale.

Le tre sanatorie e una montagna di pratiche inevase

La mancata applicazione del 2003 si sovrappose ai ritardi accumulati nei condoni del 1985 e del 1994. Migliaia di cittadini pagarono l’oblazione senza ricevere risposta, mentre verande, ampliamenti e manufatti minori restavano sospesi tra atti non definiti e ordinanze di demolizione.
Dopo il 2003, in 84 comuni campani si registrarono circa 20mila richieste, con oltre 8.700 solo a Napoli. Nell’area vesuviana si stima che siano rimaste senza esito almeno 50mila istanze riferite ai condoni precedenti.
Parallelamente, nel perimetro del Parco del Vesuvio sono state emesse circa 2.500 ordinanze di demolizione in trent’anni.

Il nodo delle zone vincolate

Il condono del 2003 escludeva le aree sottoposte a vincolo paesaggistico, idrogeologico o ambientale: le cosiddette “zone rosse”. In molti territori della provincia di Napoli, come l’area vesuviana, questi vincoli coprono porzioni significative del territorio.
Senza il recepimento regionale, la sanatoria è rimasta bloccata, generando un cortocircuito tra cittadini, Comuni e uffici tecnici.

Tentativi legislativi falliti

Negli anni si sono succeduti diversi tentativi parlamentari di introdurre criteri uniformi per demolizioni e regolarizzazioni. Un disegno di legge del 2014, che distingueva tra abusi speculativi e abitazioni “di necessità”, fu approvato dal Senato ma modificato radicalmente dalla Camera, fino a scomparire dal calendario parlamentare.
La Regione Campania tentò poi di trasformare gli immobili abusivi in patrimonio pubblico da destinare in affitto agli occupanti, ma la legge fu impugnata dal governo e la Consulta nel 2018 la dichiarò incostituzionale, ribadendo che lo Stato ha competenza esclusiva sul condono e che la demolizione resta la sanzione ordinaria.

Un tema che torna con la campagna elettorale

Oggi, in piena campagna elettorale, la proposta di riapertura dei termini del condono del 2003 riaccende lo scontro tra chi invoca certezza giuridica per migliaia di famiglie e chi teme un indebolimento della tutela del territorio.
La Campania è l’unica regione a non aver beneficiato del condono del 2003, ma il problema reale è strutturale: una massa enorme di pratiche inevase, un contenzioso sedimentato e un rapporto irrisolto con le demolizioni.

Tra legalità e attese sociali

Il dibattito si concentra sul difficile equilibrio tra la necessità di contrastare l’abusivismo e quella di fornire risposte a situazioni abitative pendenti da decenni.
La cronistoria mostra un ritardo accumulato in oltre vent’anni, dove conflitti istituzionali, norme disattese e decisioni politiche mancate hanno prodotto ciò che oggi molti definiscono “la perenne emergenza edilizia” della Campania.

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In Evidenza

L’Italia ribadisce il sostegno all’Ucraina: dal Consiglio Supremo di Difesa via libera al 12° pacchetto militare

Il Consiglio Supremo di Difesa conferma il pieno sostegno all’Ucraina e la preparazione del dodicesimo pacchetto militare. Allarme su Mosca, cyber-attacchi, Medio Oriente, Libano e Mediterraneo.

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Il Consiglio Supremo di Difesa ha ribadito il “pieno sostegno” all’Ucraina, confermando il lavoro sul dodicesimo pacchetto di aiuti militari e la partecipazione italiana alle iniziative di Ue e Nato. Una linea definita necessaria alla luce dell’atteggiamento di Mosca, che secondo la nota finale “non mostra segnali di distensione” e continua a utilizzare droni violando lo spazio aereo Nato e Ue, oltre a mettere a rischio i processi democratici con minacce ibride e attacchi cyber.

Le ragioni della posizione italiana

La presa di posizione arriva dopo i dubbi sollevati nella Lega sui casi di corruzione a Kiev. Per il Quirinale e il governo resta però prioritario mantenere alta la vigilanza e sostenere la difesa ucraina, anche lavorando alla ricostruzione futura del Paese. La riunione al Quirinale, durata tre ore, ha visto la presenza del presidente Sergio Mattarella, della premier Giorgia Meloni e dei ministri Tajani, Piantedosi, Giorgetti, Urso, insieme ai vertici militari.

I dossier sulla sicurezza europea

Il Consiglio sottolinea la necessità di uno scudo europeo e di sviluppare progetti di innovazione della difesa, come previsti dal Libro Bianco 2030. Roma condivide la preoccupazione per “l’accanimento della Russia”, mentre Bruxelles chiede un ulteriore sforzo finanziario per Kiev. Critiche e ironie arrivano dalla Lega, che mette in dubbio l’efficacia dell’aiuto europeo all’Ucraina.

La posizione sull’area mediorientale

La crisi in Medio Oriente resta un tema centrale. Alla vigilia del voto Onu sul piano Trump, il Consiglio ribadisce che una pace duratura può arrivare solo attraverso la soluzione “due popoli, due Stati”. L’Italia conferma il suo ruolo nell’assistenza umanitaria a Gaza e si impegna nell’addestramento delle forze di polizia palestinesi, riconoscendo l’Autorità Nazionale Palestinese come interlocutore fondamentale.

Il ruolo dell’Italia in Libano e nell’Onu

Preoccupa il ripetersi di attacchi “inaccettabili” contro il contingente Unifil, guidato dall’Italia. Il Consiglio esprime vicinanza alle Forze Armate e ribadisce la necessità di garantire la sicurezza della Linea Blu oltre il 2026, quando terminerà il mandato della missione.

Mediterraneo, Balcani, Africa e Sahel

La nota finale richiama l’attenzione anche sulla crescente presenza ostile nel Mediterraneo, da monitorare con il supporto della Nato. Preoccupano inoltre le tensioni nei Balcani, la situazione critica in Libia, le instabilità nel Sahel e la guerra civile in Sudan, definita motivo di “forte allarme”.

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Esteri

Gaza, il Consiglio di Sicurezza approva il piano di pace di Trump: via libera alla forza internazionale di stabilizzazione

Con 13 voti a favore e l’astensione di Russia e Cina, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva la risoluzione Usa sul piano di pace di Trump e sulla forza internazionale incaricata di smilitarizzare Gaza.

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Fumata bianca al Palazzo di Vetro: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu (foto Imagoeconomica) ha approvato la risoluzione statunitense che sostiene il piano di pace di Donald Trump per Gaza e autorizza una forza internazionale di stabilizzazione incaricata anche del disarmo di Hamas. Il voto è passato con 13 sì e due astensioni, quelle di Cina e Russia.

La soddisfazione di Washington

L’ambasciatore americano Mike Waltz ha definito la risoluzione “storica”, sottolineando che sotto la presidenza Trump gli Stati Uniti intendono “continuare a portare risultati” insieme ai partner internazionali. L’approvazione del documento apre la fase due del piano: dopo tregua, scambio dei prigionieri e parziale ritiro dell’Idf dalla Striscia, parte il percorso politico e di sicurezza.

Le trattative e il nodo Mosca-Pechino

Il voto era incerto fino all’ultimo: Russia e Cina avevano criticato la bozza statunitense e presentato un testo alternativo che non prevedeva la smilitarizzazione di Gaza né il ruolo del Board of Peace, presieduto da Trump. La rinegoziazione del documento, unita al sostegno arrivato da numerosi Paesi arabo-musulmani e dall’Autorità Palestinese, ha reso difficile per Mosca e Pechino opporsi apertamente.

I contenuti della risoluzione

Il testo approvato stabilisce che gli Stati membri possono partecipare al Board of Peace fino al 31 dicembre 2027 e sostiene che potrebbero esserci le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione palestinese, a condizione che l’Autorità Palestinese avvii riforme e che la ricostruzione di Gaza faccia progressi.
La forza internazionale, composta soprattutto da Paesi musulmani, avrà il mandato di disarmare Hamas e smantellarne le infrastrutture militari.

Le reazioni più dure: Hamas e Israele

Hamas e un gruppo di fazioni palestinesi hanno denunciato il provvedimento, definendolo un passo verso una tutela straniera sulla Striscia e respingendo ogni clausola di disarmo.
Dall’altro lato, il premier israeliano Benyamin Netanyahu, pressato dall’ala più a destra del suo governo, ha ribadito il rifiuto di uno Stato palestinese e promesso la smilitarizzazione di Gaza “con le buone o con le cattive”.

Tensioni anche in Cisgiordania

Sul terreno la situazione resta infiammata. In Cisgiordania, l’evacuazione dell’avamposto illegale di Tzur Misgavi ha scatenato violenti scontri tra coloni e polizia, con diversi agenti feriti e tentativi di resistenza da parte dei coloni. Disordini anche nel villaggio di Jaba’a, vicino Betlemme, con incendi a veicoli e abitazioni.

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