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Cultura

Addio alla scrittrice Michela Murgia, voce libera e antagonista

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Tra i suoi ultimi post, sui social, la ferma critica alla decisione della Rai di cancellare dai palinsesti il programma di Roberto Saviano, Insider. Poi, qualche giorno dopo, il messaggio dall’ospedale, il sorriso e le cannule nasali dell’ossigeno, per aggiornare amici e fan sulle sue condizioni – “posso stare meglio, ma non bene” – e “ringraziare” della possibilità di curarsi, “in barba a chi demonizza chi paga le tasse”. E ancora, il 5 agosto, l’affondo contro il sindaco leghista di Ventimiglia per aver impedito ai migranti che passano la frontiera di rifornirsi di acqua al cimitero.

Voleva “arrivare viva alla morte” Michela Murgia, lo aveva promesso nell’intervista del 6 maggio scorso al Corriere della Sera in cui aveva rivelato di soffrire di un carcinoma renale al quarto stadio. E così ha fatto, senza rinunciare, fino alla fine, a prendere posizione, a far sentire la sua voce libera e antagonista nei confronti del potere, a raccontare sul web tanti piccoli e grandi atti, di gioia, di dolore, di protesta, fino alle nozze del 15 luglio ‘in articulo mortis’ con Lorenzo Terenzi e alla festa il 23 con la sua famiglia allargata, una sorta di manifesto politico anti patriarcato con gli invitati tutti in bianco e la scritta God save the queer ricamata con perline rosso sul suo abito fatto per lei da Maria Grazia Chiuri, la stilista di Dior.

“Non è una festa”, aveva spiegato all’atto di sposare Terenzi, attore, regista, autore e anche musicista, conosciuto nel 2017 grazie a uno spettacolo teatrale in cui lei era la protagonista e lui lavorava alla regia. “Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere”. Circondata dalla sua queer family di dieci persone e dai suoi quattro figli “d’anima” (il più grande di 35 anni, il più piccolo di 20), Murgia ha affrontato le ultime fasi della malattia: “Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa”, aveva detto a maggio al Corriere, rivelando che, dopo il primo cancro al polmone di anni fa, il tumore era tornato al rene e le metastasi avevamo già raggiunto i polmoni, le ossa, il cervello. “Ma non chiamatemi guerriera, odio i militari”, aveva avvertito in un affollatissimo incontro pubblico all’ultimo Salone del Libro di Torino. “Se sono stanca di essere antagonista? In un Paese normale, civile, quello che faccio io lo fanno gli intellettuali e nessuno viene trascinato in tribunale. È l’unico Paese che si definisce democratico dove gli intellettuali sono perseguitati dal potere”, aveva detto con forza in quella occasione.

“In un mondo di vili tutto è un atto di coraggio. Io dico quello che penso”. Nata a Cabras nel 1972, alle spalle una formazione cattolica, prima di dedicarsi alla scrittura Michela Murgia ha svolto diverse attività: dalla sua esperienza come venditrice telefonica è nato Il mondo deve sapere (2006), romanzo tragicomico sul mondo dei call center, che ha ispirato l’opera teatrale omonima e il film Tutta la vita davanti (2008). Molto legata alla sua terra, nel 2006 ha dato vita al blog Il mio Sinis per raccontarne i luoghi meno noti, nel 2008 aveva firmato Viaggio in Sardegna (2008). Due anni dopo è uscito Accabadora, premio Super Mondello e premio Campiello, considerato il suo capolavoro, storia di un’anziana donna che in un villaggio sardo dà di nascosto la morte ai malati gravissimi che gliela chiedono, e di una bambina che la donna adotta e che scopre a poco a poco il vero scopo delle uscite notturne della madre adottiva. Nel 2011 Ave Mary, riflessione senza filtri sul ruolo della donna nel contesto cattolico. Tra le sue opere successive il saggio breve sul femminicidio L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!; e ancora Futuro interiore, L’inferno è una buona memoria, il saggio Istruzioni per diventare fascisti, Noi siamo tempesta. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo. Stai zitta, God save the queer. Catechismo femminista e infine l’ultimo Tre ciotole – Rituali per un anno di crisi, entrato subito in testa alle classifiche di vendita: un romanzo che si apriva sulla diagnosi di cancro, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva.

“Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita” A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d’orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. “Il cancro è il tempo migliore della mia vita” aveva detto qualche mese fa la scrittrice femminista, critica sul governo di centrodestra, paladina sempre pronta a far sentire la sua voce contro le ingiustizie del nostro tempo. Una voce che da questa sera si è spenta.

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Cronache

Addio a Giorgio Forattini, il re della satira: funerali a colori per lo spirito libero che ha raccontato l’Italia con una vignetta

Milano saluta Giorgio Forattini con un funerale “a colori”. Il re della satira, morto a 94 anni, ricordato da colleghi e amici come un uomo libero, ironico e gentile.

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Quando hai smesso di disegnare è finita un’epoca”. È una delle frasi lasciate sui registri all’ingresso della chiesa di Santa Francesca Romana, nel cuore di Porta Venezia a Milano, dove questa mattina si sono svolti i funerali di Giorgio Forattini, il più celebre vignettista e maestro della satira italiana, scomparso il 4 novembre a 94 anni.

La chiesa era gremita per un funerale “a colori”, come lo avrebbe voluto lui. Fiori vivaci, cappotti rossi, arancio, celesti, a ricordare la vitalità e l’ironia con cui per mezzo secolo Forattini ha raccontato l’Italia dalle pagine di La Repubblica e Il Giornale.

Il saluto di Ilaria Cerrina Ferroni: “Amava i colori e la gentilezza”

Oggi sono in rosso perché Giorgio amava i colori”, ha raccontato la moglie Ilaria Cerrina Ferroni, spiegando di aver prestato i suoi cappotti agli amici più cari. “Lo amavano tantissimo, c’è stata una partecipazione straordinaria, che si merita, perché era un uomo buono e gentile”.

Come in uno dei suoi giorni di lavoro, la salma è entrata in chiesa accompagnata da musica celtica, quella che Forattini ascoltava “a tutto volume” mentre disegnava.

Giornalisti, artisti e amici per l’ultimo saluto

Tanti i volti noti del giornalismo e della cultura presenti: Ferruccio de Bortoli, Lina Sotis, Stella Pende, Salvatore Carrubba, insieme alla stilista Chiara Boni, al musicista Mario Lavezzi e all’editore Urbano Cairo.

Era un grande pensatore libero, capace di sintetizzare un editoriale in una vignetta”, ha detto Cairo. “La sua indipendenza lo ha portato a lasciare anche giornali importanti: non si piegava, non aveva paura di dire ciò che pensava. Oggi c’è bisogno di persone come lui”.

Per Carrubba, Forattini è stato “uno spirito libero e anticonformista”, mentre don Aldo Monga, durante l’omelia, ha ricordato la sua onestà intellettuale.

Un uomo libero, un artista che ha fatto riflettere

Le sue vignette rimarranno nella memoria della gente come le canzoni”, ha detto Mario Lavezzi, amico di lunga data. “Con la sua penna Giorgio faceva riflettere e toccava corde umane profonde”.

La stilista Chiara Boni ha ricordato un episodio degli anni ’80: “Durante una mia sfilata, D’Agostino commentava in modo terribile: lui e Ilaria erano in prima fila, piegati in due dalle risate. Era la sua ironia, la sua leggerezza”.

L’ultimo viaggio a Monte Porzio Catone

Pur avendo trovato casa e serenità a Milano, le ceneri di Giorgio Forattini saranno tumulate nel cimitero di Monte Porzio Catone, vicino Roma, accanto ai genitori, al fratello e al figlio Fabio, prematuramente scomparso.

Così si chiude la vita di uno dei più grandi osservatori del potere e dei suoi paradossi, un artista che, con una vignetta, sapeva raccontare un intero Paese.

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Cultura

Addio a Giorgio Forattini, il re della satira italiana: una vita a disegnare il potere

È morto a 94 anni Giorgio Forattini, il più celebre vignettista italiano, autore di oltre diecimila disegni che hanno raccontato con ironia e coraggio mezzo secolo di politica italiana. Dalla Dc a D’Alema, il re della satira che fece ridere e infuriare il potere.

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È morto a 94 anni Giorgio Forattini, il vignettista che ha rivoluzionato la satira politica in Italia. Nato a Roma nel 1931, è stato il primo disegnatore satirico pubblicato quotidianamente in prima pagina sui giornali, guadagnandosi l’appellativo di “re della satira”.
La notizia della sua scomparsa è stata data da Il Giornale, una delle ultime testate con cui aveva collaborato.


Una carriera lunga mezzo secolo

Forattini ha firmato oltre diecimila vignette pubblicate su Paese Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, QN, L’Espresso e Panorama, disegnando con ironia pungente e spesso corrosiva vizi, virtù e ipocrisie della politica italiana.
Le sue prime vignette apparvero nel 1973 su Panorama e nel 1974 su Paese Sera, ma la consacrazione arrivò con la vignetta dedicata al referendum sul divorzio: una bottiglia di champagne con il tappo dalle sembianze di Amintore Fanfani che vola via.

Quel disegno fece epoca e segnò l’inizio di una carriera che avrebbe unito arte, giornalismo e satira civile.

GIORGIO FORATTINI  


Da “La Repubblica” a “La Stampa”: l’artista che sfidò il potere

Nel 1976 Forattini fu tra i fondatori de La Repubblica di Eugenio Scalfari, dove creò la storica rubrica “Satyricon”, primo inserto italiano interamente dedicato alla satira. Lì collaborò con autori come Sergio Staino ed Ellekappa, definendo un nuovo modo di raccontare la politica.
Nel 1982 passò a La Stampa, dove firmò ogni giorno la vignetta in prima pagina e rinnovò l’impianto grafico del giornale. Tornò poi a Repubblica nel 1984 e vi restò fino al clamoroso addio del 1999, dopo la querela per una vignetta su Massimo D’Alema relativa al caso Mitrokhin.


Polemiche, processi e libertà di satira

Forattini non fu mai tenero con nessuno: Craxi, D’Alema, Berlinguer, Spadolini, Prodi, Berlusconi, Bossi, Fanfani — tutti finirono sotto la sua matita tagliente.
Le sue caricature restano memorabili: Craxi come un piccolo duce, D’Alema come un Hitler comunista, Amato come Topolino, Veltroni come un bruco, Prodi come un prete, e così via in una galleria che racconta cinquant’anni di storia italiana.

La sua satira fu spesso oggetto di querelle politiche e giudiziarie. Solo da esponenti della sinistra ricevette una ventina di querele, mentre nel 1982 subì persino critiche dal Vaticano per una vignetta su Giovanni Paolo II e Lech Walesa.

Celebre anche il caso del 1999, quando D’Alema lo querelò chiedendo tre miliardi di lire di risarcimento. Forattini, per protesta, disegnò per mesi il premier “senza volto”.

GIORGIO FORATTINI


Un innovatore della comunicazione

Prima di diventare vignettista, Forattini aveva lavorato come pubblicitario e copywriter per Fiat e Alitalia, firmando campagne di successo. Questo background lo rese uno dei primi a coniugare linguaggio visivo e giornalismo con modernità e ritmo.

Tra i suoi oltre 55 libri pubblicati, molti editi da Mondadori, figurano raccolte di successo come Referendum Reverendum (1975), Il Forattone. 1973-2015 e Arièccoci. La Storia si ripete. L’ultimo, Abbecedario della politica (2017), spiegava con ironia “come nasce una vignetta”.


Premi, riconoscimenti e un’eredità immensa

Nel corso della sua carriera ha ricevuto il Premiolino, il Premio Hemingway, il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, il Pannunzio e l’Ambrogino d’Oro dal Comune di Milano nel 1997.
È stato giurato del Premio di satira di Forte dei Marmi e ha ottenuto la cittadinanza onoraria ad Asti e la benemerenza civica di Trieste.

SILVIO BERLUSCONI e GIORGIO FORATTINI


Il disegnatore che fece pensare gli italiani

Giorgio Forattini non è stato solo un vignettista, ma un cronista del potere, capace di raccontare la politica con la forza dell’ironia e del segno.
Le sue vignette non si limitavano a far ridere: smascheravano ipocrisie, provocavano riflessioni, accendevano dibattiti.

Con lui scompare una delle voci più libere e irriverenti del giornalismo italiano. Ma resta la sua eredità: una matita che non ebbe mai paura di disegnare la verità.

 (Tutte le foto del servizio sono di Imagoecononica)

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Cultura

Tre opere del Settecento arricchiscono Capodimonte: il mecenate Giovanni Lombardi riporta a Napoli il ritratto di Carlo III di Borbone

Grazie al mecenate Giovanni Lombardi e al sostegno del ministero della Cultura, tre opere del Settecento entrano nella collezione del museo di Capodimonte. Tra queste, il “Ritratto di Carlo III di Borbone” di Anton Raphael Mengs, simbolo del legame tra Napoli e Madrid.

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Nuovi tesori si aggiungono al patrimonio del Museo e Real Bosco di Capodimonte. Tre opere del Settecento entrano ufficialmente nella collezione, rafforzando la rappresentanza artistica del secolo borbonico e riaffermando l’importanza della collaborazione tra pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio culturale napoletano.

Protagonista dell’operazione è l’imprenditore e mecenate Giovanni Lombardi, presidente di Tecno, che attraverso lo strumento dell’Art Bonus ha permesso l’acquisizione di due opere. Il terzo dipinto è stato donato dal ministero della Cultura, segno di un mecenatismo diffuso che unisce istituzioni, privati e collezionisti.


Le opere acquisite

Le nuove acquisizioni, presentate ufficialmente a Capodimonte, comprendono il “Ritratto di Carlo III di Borbone” di Anton Raphael Mengs, uno dei maggiori esponenti del neoclassicismo europeo.
Il dipinto, realizzato intorno al 1774, raffigura il sovrano con un tono più intimo e umano rispetto ai tradizionali ritratti di corte: un sorriso accennato e la presenza delle decorazioni dell’Ordine del Toson d’Oro e dell’Ordine di Carlo III, fondato dal re stesso nel 1771.

Accanto al ritratto borbonico, entrano a far parte del museo anche lo “Studio per portale monumentale del monastero di San Gregorio Armeno” (1712) e il “San Domenico di Gesù Maria nella battaglia di Praga contro i protestanti”(1708), entrambi di Giacomo Del Po, pittore romano di nascita ma napoletano d’adozione, attivo tra Sei e Settecento.

Le prime due opere sono state donate da Lombardi, mentre la terza arriva grazie a una donazione del ministero della Cultura.


Giovanni Lombardi: “Volevo restituire queste opere alla città”

Nel corso della presentazione, Giovanni Lombardi ha spiegato la motivazione che lo ha spinto all’acquisto:
«Volevo donarli alla città. Il ritratto di Carlo III era a Madrid e mi sembrava giusto riportarlo a Napoli, a Capodimonte, cioè a casa».
L’imprenditore ha sottolineato come l’opera di Mengs lo abbia colpito «per la sua rappresentazione intima del sovrano, lontana dalla rigidità dei ritratti ufficiali».


Schmidt: “Una doppia vittoria per Capodimonte”

Molto soddisfatto il direttore del museo, Eike Schmidt, che ha definito le acquisizioni «due grandi colpi per Capodimonte».
«Nonostante la reggia contenga capolavori del Settecento, mancavano artisti fondamentali per Napoli come Mengs e Del Po. Ora il museo è più completo», ha detto.

Schmidt ha poi evidenziato il successo della sinergia tra Stato e impresa:
«Questa è la dimostrazione che la collaborazione tra pubblico e privato funziona. L’Art Bonus è un meccanismo virtuoso che conviene alle imprese e alla cultura del Paese».

In sala anche il console generale di Spagna a Napoli, Javier Triana Jiménez, che ha salutato il ritorno a Napoli del ritratto di Carlo III come un simbolo del legame artistico e storico tra Madrid e la città partenopea.


Cresce la collezione del Settecento

Alla cerimonia era presente anche Sonia Amadio, dirigente del ministero della Cultura, che ha ricordato il forte incremento delle acquisizioni negli ultimi anni: «Dal 2016 si è passati da poche unità a diverse decine all’anno».

Un dato che conferma il dinamismo del museo diretto da Schmidt e la volontà di fare di Capodimonte un punto di riferimento internazionale per la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico napoletano.

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