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Addio a Pelé, il Brasile prepara ultimo saluto: Dona Celeste non sa

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Insediatosi il nuovo Presidente Lula, il Brasile si prepara a dare l’ultimo saluto al suo Re. Domani e martedì saranno due giornate dedicate a Pelé, per la cui scomparsa sono state decretati tre giorni di lutto nazionale, che a Santos, quindi a livello cittadino, verranno prolungati a sette, per decisione delle autorità locali. Domani, a partire dalle 10 ora locale, ci sarà la veglia funebre che, rispettando le volontà di O Rei, avverrà nello stadio Vila Belmiro (che in realtà si chiama Urbano Caldeira), quello del club della sua vita, il Santos che il suo n.10 ha fatto conoscere in tutto il mondo.

E a proposito, la società bianconera per la quale come dirigente lavora l’ex idolo dei romanisti Paulo Roberto Falcao ha fatto sapere tramite il suo presidente Andrés Rueda di aver deciso di non ritirare la maglia n.10. Rueda ha spiegato la decisione con un’intervista di Pelé del 2017, in cui l’ex fuoriclasse rispose con un secco “No” alla domanda se fosse favorevole all’idea che nessuno al Santos portasse più quel numero. Intanto sembra confermato che ci sarà anche Lula a dire addio a Pelé.

Il Presidente, grande appassionato di calcio e tifosissimo del Corinthians ha ripetuto più volte di “aver avuto la fortuna di veder giocare Pelé dal vivo, anche se ha dato parecchi dispiaceri alla mia squadra del cuore”, e domani dovrebbe essere, a meno di impedimenti dell’ultimo momento, tra le decine di migliaia di persone che, è prevedibile, saranno sul prato di Vila Belmiro, per ‘salutare’ O Rei. Sul campo sono state allestire due tensostrutture. In una, al centro del campo, verrà collocata la bara di O Rei vicino alla quale sono state collocate 80 sedie.

Potranno accedere solo i familiari del tre volte campione del mondo, e idoli di provata fede santista, ed ex compagni di Pelé, come Pepe e Mengalvio. Probabile la presenza anche di Jairzinho, che con Pelé ha giocato e vinto in nazionale. L’altra struttura accoglierà autorità e Vip vari, tra i quali dovrebbero esserci, secondo quanto riferiscono i media locali, altri grandi campioni come Ronaldo Fenomeno, Ronaldinho, Cafu, Romario e Falcao.

Il pubblico fatto di tifosi comuni accederà invece dagli ingressi 2 e 3 dello stadio, e sfilerà su una passerella a cinque metri dalla bara di Pelé. Prima di tutto ciò, la salma di O Rei partirà dall’ospedale Albert Einstein di San Paolo (dove anche oggi si sono radunati tifosi portando fiori e candele) e durante il viaggio verso il litorale, in direzione Santos, sarà scortata da un mezzo dei vigili del fuoco e da quelli di un corpo d’assalto, il ‘Batalhao de Choque’. Martedì sarà il giorno del corteo per le strade cittadine, con la sosta, in segno di condivisione del dolore e di rispetto, davanti alla casa dove vive la centenaria madre di Pelé, Maria Celeste Arantes, per tutti Dona Celeste, che ad oggi ancora non sa della morte del figlio. Lo ha rivelato la sorella di O Rei, Lela, a Espn: “parliamo molto con lei, ma ancora non lo sa. Sta bene, ma vive in un mondo suo. A volte non è cosciente ma quando apre gli occhi le dico ‘preghiamo per lui'”. Dona Celeste, viste le sue condizioni di fragilità, è tenuta sotto costante controllo medico e i familiari temono la sua reazione alla notizia della morte di O Rei. Per questo nessuno ancora se l’è sentita di informarla dell’accaduto.

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Mamma a 68 anni con la surrogata, in Spagna è polemica

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Dalla copertina di una rivista di gossip a un dibattito sulla bocca di tutti, compresa la politica. Nel giro di qualche ora, il caso dell’attrice spagnola Ana Obregón, affidatasi alla gestazione per altri in Florida per diventare madre a 68 anni, ha scatenato un grande dibattito in Spagna. Con il governo di centrosinistra pronto a ribadire la propria posizione nettamente contraria agli “uteri in affitto” e “l’illegalità” della “maternità per sostituzione” in patria (le registrazioni di bimbi nati in questo modo all’estero sono però generalmente consentite) e una parte del centrodestra e delle famiglie che vi hanno fatto ricorso invocano “una discussione seria” sul tema. Lo scoop sulla decisione di Obregón, volto arcinoto della tv spagnola e che in passato ha collezionato partecipazioni anche in film e serie italiane, è arrivato dall’ultimo numero del magazine Hola!. La prima pagina mostra l’attrice e presentatrice su una sedia a rotelle, all’uscita di un ospedale di Miami e con la figlia neonata in braccio.

“È arrivata una luce piena di amore nella mia oscurità”, ha poi confermato su Instagram la diretta interessata, colpita tre anni fa dal grave lutto della scomparsa del figlio 27enne Aless per un tumore. In Spagna, adozioni e prese in affidamento di minori da parte di coppie gay sono legali dal 2005. Ma il caso della presentatrice ha aperto il dibattito su un tema che fa molto discutere anche in Italia. Nel mondo politico la discussione ha toccato i risvolti bioetici e sociali della gestazione per altri. “Come sapete, è una pratica illegale in Spagna – ha ricordato ad esempio la ministra delle Pari Opportunità Irene Montero (Podemos) – non dimentichiamoci delle donne che ci sono dietro questi casi, vittime di una chiara discriminazione per povertà”. Sulla stessa linea il ministro della Presidenza Félix Bolaños (Partito Socialista), considerato braccio destro del premier Pedro Sánchez.

“Non commento circostanze personali – ha dichiarato – ma ricordo che i corpi delle donne non possono essere né comprati né affittati”. Da parte sua, il Partito Popolare (centrodestra) ha chiesto di rivedere la normativa. “Ma il dibattito esiste e sulla questione va messo ordine, perché se da un lato la pratica è illegale, ci sono spagnoli che vi stanno facendo ricorso in altri Paesi”, ha osservato il leader della formazione, Alberto Núñez Feijóo. Apertamente favorevole invece a una maternità “altruista” il partito liberale Ciudadanos.

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Putin richiama altri 147.000 coscritti per primavera

La Russia in guerra chiama alle armi altri 147 mila cittadini in una coscrizione di primavera, Kiev prepara la controffensiva per riconquistare i territori occupati.

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La Russia in guerra chiama alle armi altri 147 mila cittadini in una coscrizione di primavera, mentre Kiev prepara la controffensiva per riconquistare i territori ucraini occupati da avviare prima dell’estate. Con il conflitto che non vede tregua all’orizzonte, rimpinguare le truppe significa più forza offensiva russa in una guerra troppo importante per il futuro di Vladimir Putin. E della quale, secondo Kiev, ha totale responsabilità il leader russo: l’intelligence di Difesa ucraina sostiene infatti che solo tre o quattro persone nella sua cerchia ristretta erano a conoscenza dei preparativi per l’invasione. Insieme al leader russo, a prendere in particolare la decisione di iniziare la guerra fu il segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolai Patrushev. “Effettuare dall’1 aprile al 15 luglio 2023 la coscrizione dei cittadini russi di età compresa tra i 18 e i 27 anni che non fanno parte della riserva e sono soggetti al servizio militare, per un ammontare di 147 mila persone”, si legge nel decreto firmato da Putin.

In Russia, la coscrizione è periodica: nell’autunno del 2022 erano state chiamate 120 mila persone, mentre la scorsa primavera 134,5 mila. Ma l’annuncio della nuova coscrizione desta preoccupazione, tanto più che giunge tra le notizie dei media russi – riportate dall’intelligence britannica – secondo cui le autorità di Mosca si stanno preparando ad avviare una grande campagna di reclutamento per arruolare 400.000 soldati. E’ chiaro che Mosca si muove, mentre le bombe cadono in tutta l’Ucraina e crescono i timori sulla centrale di Zaporizhzhia: l’impianto “non può essere protetto” perché “l’attività militare sta aumentando in tutta la regione”, ha avvertito il capo dell’Aiea Rafael Grossi dopo aver visitato la struttura.

Ancora non c’è un accordo per una zona cuscinetto per la centrale: secondo Mosca, la colpa è degli ucraini e degli Usa, che hanno “una posizione distruttiva” in merito. Kiev continua a chiedere gli F-16 mentre i Mig-29 slovacchi stanno già proteggendo Kharkiv. Nel frattempo, pensa alla ricostruzione per la quale chiede il contributo dell’Italia: dopo la telefonata tra Meloni e Zelensky, il capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, ha sentito il ministro delle Imprese Adolfo Urso trasmettendogli grandi aspettative per la conferenza sulla ricostruzione del 26 aprile a Roma e l’interesse a “coinvolgere le imprese italiane nella ripresa” del Paese. Sul fronte diplomatico, la tensione è alle stelle dopo l’arresto in Russia del giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, accusato di spionaggio.

E ha suscitato polemiche l’annuncio che il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov presiederà una riunione del Consiglio di sicurezza Onu a New York, la cui presidenza russa inizia il primo aprile. “E’ un brutto scherzo”, ha commentato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Infine, anche gli intoccabili banchieri svizzeri fanno i conti con la guerra e pagano per i legami con Sergey Roldugin, il violoncellista soprannominato “portafoglio di Putin”, stretto amico dello zar. Un tribunale distrettuale di Zurigo ha condannato quattro dirigenti di un istituto elvetico per aver aiutato Roldugin a depositare milioni di franchi in conti bancari svizzeri tra il 2014 e il 2016. I banchieri – tre russi e uno svizzero – sono stati giudicati colpevoli per mancanza di diligenza nelle transazioni finanziarie, e sono state inflitte loro condanne sospese di sette mesi ciascuno.

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Alvin Bragg, il procuratore che sfida Trump

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Laureato a Harvard e il primo afroamericano procuratore di Manhattan, Alvin Bragg è l’uomo che sfida Donald Trump, colui che lo ha incriminato per il pagamento da 130.000 dollari alla pornostar Stormy Daniels in cambio del suo silenzio sulla loro relazione. Eletto nel 2021, Bragg è nato a Harlem ed è cresciuto a New York, la città che è anche dell’ex presidente. Nel corso della sua carriera si è occupato di casi di primo piano. Nel 2014 ha rappresentato la madre di Eric Garner, l’afroamericano ucciso dalla polizia, contro il New York Police Department. Oltre a essere stato il responsabile della supervisione del caso di Harvey Weinstein, l’ex re di Hollywood travolto dalle accuse di molestie.

Alla guida della procura di Manhattan Bragg ha preso il posto di Cyrus Vance, aspramente criticato per non aver avuto successo nel perseguire Trump, tema su cui Bragg si è impegnato personalmente da quando è stato eletto. Al ruolo di procuratore è stato scelto al termine di una campagna elettorale giocata sulla necessità di rendere le forze di polizia più responsabili delle loro azioni. Una battaglia per lui personale visto che, ha raccontato più volte, quando aveva solo 15 anni un agente gli ha puntato una pistola alla testa. Un episodio che ha condizionato tutte le sue scelte, spingendolo a studiare giurisprudenza e a divenire un legale per la difesa dei diritti civili. Da procuratore di Manhattan ha creato una ‘Special Victims Division’ dedicata ai reati sessuali e alla violenza domestica e ha rafforzato la ‘Hate Crimes Unit’ nel tentativo di riportare fiducia nelle forze dell’ordine.

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