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Cronache

Accusato di molestie sessuali su due sue alunne, il professore del Liceo Vico s’è ucciso nella cantina di casa

Eppure il suicidio, così come è avvenuto, sembra preparato nei dettagli. Non un atto di follia, un raptus. No, una scelta. I carabinieri accorsi sul luogo della tragedia hanno cristallizzato la scena del crimine, avvisato i magistrati, raccolto testimonianze, trovato la lettera di addio del docente suicida e  fatto portare via la salma. Ci sarà una perizia necroscopica, ma è chiaro quanto accaduto. La lettera è chiara. Come sono chiare le sue ultime volontà lasciate alla moglie e ai suoi due figli.

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Il liceo classico Vico di Napoli

L’onta dell’arresto. La vergogna per le accuse terribili che gli erano state contestate. La sua vita privata finita sui giornali. Particolari intimi diventati di dominio pubblico. Il giudizio della gente che lo additava. Il professore del liceo accusato dalla procura di Napoli di aver avuto rapporti intimi con alcune sue studentesse è stato travolto da uno tsunami psicologico oltre che dalle accuse. Non ha retto psicologicamente a questo groviglio inesauribile di sentimenti e alla fine Vincenzo Auricchio, 53 anni, ha deciso di farla finita. Si è ammazzato con un colpo di pistola. Ha preso un’arma che deteneva  legalmente  un suo parente, e che per motivi che dovranno essere indagato è finita in suo possesso, e si è ucciso con un solo colpo. Forse  alla testa, forse all’addome. Non importa come s’è ucciso, importa che è morto. Fino a dieci giorni fa il docente di matematica del liceo classico Vico, in via Salvator Rosa a Napoli, era un uomo normale, conduceva una vita normale. Sembrava sereno. Poi è finito sulle prime pagine dei giornali per accuse pesanti di violenza sessuale e da quel momento nella sua testa dev’essersi insinuato quel tarlo che l’ha condotto a fare una scelta che oggi noi definiremmo folle. Vincenzo Auricchio non era colpevole, era indagato.

Le sue responsabilità penali non erano né chiare né accertate. Ma aver appreso tutto dai media, vedersi già condannato dal ludibrio pubblico al quale era stato esposto, l’ha ucciso. Non se n’è andato però senza difendersi. Ha lasciato una lettera di scuse ai propri cari per il suo gesto. Una lettera che parla della vicenda che l’ha travolto.

Il contenuto è a sua volta un atto di accusa per quanto gli è stato fatto e di difesa da quelle accuse che avrebbe potuto esercitare in una aula di tribunale. Ma chissà che cosa è accaduto nella sua testa quando ha deciso di impugnare quell’arma e uccidersi. Si è chiuso nella cantina dell’appartamento della sua casa di Quarto, dove da mercoledì passato era soggetto agli arresti domiciliari per una storia di presunti  rapporti intimi con due sue studentesse. Due ragazze non ancora 16enni che lo avevano inchiodato, secondo quanto acclarato dalle accuse della procura di Napoli. Le testimonianze delle studentesse ci dicevano di rapporti sessuali consensuali. Le testimonianze finite nel frullatore mediatico assieme ai contenuti pruriginosi di chat e mail erano ritenute vere, genuine, secondo quanto evidenziato anche da una perizia informatica. La vicenda aveva scosso dal mese di aprile il docente. Auricchio era amato e rispettato da colleghi e alunni. Poi la storia è emersa, le denunce, le inchieste, l’arresto e il dramma nel pomeriggio da cani di ieri. Poco dopo le 14, Vincenzo Auricchio, sposato e padre di due ragazzi,  al quarto giorno di detenzione domiciliare era assieme ad alcuni parenti quando ha lasciato tutti, è sceso in cantina,  preso  l’arma e si è ucciso. Nessuno aveva capito le sue intenzioni. Era scosso, ma nessuno poteva mai presagire quel gesto. Sembrava fosse posseduto,  richiamato da una  forza oscura che albergava nella sua mente.

Eppure il suicidio, così come è avvenuto, sembra preparato nei dettagli. Non un atto di follia, un raptus. No, una scelta. I carabinieri accorsi sul luogo della tragedia hanno cristallizzato la scena del crimine, avvisato i magistrati, raccolto testimonianze, trovato la lettera di addio del docente suicida e  fatto portare via la salma. Ci sarà una perizia necroscopica, ma è chiaro quanto accaduto. La lettera è chiara. Come sono chiare le sue ultime volontà lasciate alla moglie e ai suoi due figli.

Vincenzo Auricchio dai primi giorni di aprile ad oggi è stato stroncato non dalla veridicità delle accuse contestategli, non dal processo penale che subiva ma dal dominio pubblico del processo, dai particolari intimi della storia che, a prescindere dalle verifiche, era diventate già sentenze di condanna. Condanna emessa dal tribunale pubblico mediatico, non dai giudici. Le urla e le accuse di una studentessa che si sente tradita dal suo prof con la sua amica. Le chat con le conversazioni intime finite sui giornali. Quello di Auricchio era diventato un dramma umano, non era più solo un caso giudiziario. Accuse, conferme, difesa, vita privata finite nel frullatore mediatico, avevano già assorbito la curiosità e la pervicace morbosità di certo giornalismo che consuma vite senza rispetto, senza pudore, che scambia accuse per sentenze, si erge a giudice e censore della moralità pubblica, che straccia ogni principio di civiltà giuridica e fa a pezzi la privacy. Forse la vita di Vincenzo Auricchio è stata spenta anche da chi ha scritto di quest’uomo. E questo va detto a prescindere dalla gravità delle accuse che venivano contestate a quest’uomo che forse aveva avuto rapporti sessuali con due ragazzine non ancora sedicenni e che questi rapporti sessuali, ammesso che ci siano davvero stati, quand’anche consensuali erano immorali e penalmente rilevanti perchè l’età rende nullo il consenso eventuale.

Tanti colleghi lo hanno difeso prima e dopo l’arresto. Lo avevano difeso anche pubblicamente. Avevano spedito una lettera ai magistrati per difendere l’integrità di Vincenzo Auricchio.La “gogna mediatica” aveva già sepolto sotto il fango questo docente  irreprensibile sul lavoro che era stato già travolto al punto da lasciare la scuola dove insegnava da anni.

Ieri pomeriggio i carabinieri, a caldo, hanno ascoltato moglie, figli,  e parenti del prof suicida. Di queso suicidio c’è solo una cosa da chiarire e un colpevole da svelare: chi ha dato la pistola a quest’uomo che ha deciso di uccidersi? Eh sì, manca solo questo. Movente e mandanti del suicidio li conosciamo.

La rabbia e le lacrime di centinaia di studenti e genitori all’ingresso del Liceo Vico

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Maxi tamponamento in galleria a Napoli, tre feriti

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Spaventoso incidente per fortuna senza gravi conseguenze la notte scorsa nella Galleria Vittoria a Napoli: erano le 3.30 circa quando sulle auto incolonnate nel traffico diretto da piazza Vittoria a via Acton è andata a schiantarsi una Fiat Panda di colore rosso che sopraggiungeva a velocità sostenuta. Quattro in totale le auto coinvolte nel tamponamento multiplo. Tre i feriti, tutti in modo lieve: si tratta del conducente di 22 anni della Panda e del passeggero al suo fianco, oltre al conducente di una delle auto tamponate. La Fiat Panda dopo aver tamponato la prima auto, una Fiat Punto, si è sollevata da terra arrampicandosi in buona parte oltre il new jersey che delimita la corsie.

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Don Patriciello a Saviano: falso che modello Caivano ha fallito

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“Roberto Saviano scrive che ‘gli omicidi dimostrano il fallimento completo del modello Caivano’. Falso. Caro Roberto, sono passati quasi 20 anni da quando – sconosciuto giornalista – venisti al ‘Parco Verde’ per scrivere dell’omicidio di un nostro ragazzo di 15 anni. Quel racconto finì nel tuo libro Gomorra. Da allora – lo sai bene – ti ho invitato tante volte a ritornare. A dare voce alle nostre voci. Non lo hai mai fatto. Non sei mai venuto”.

Invita ad “andare al di là degli slogan e degli stereotipi” don Maurizio Patriciello, il parroco del Parco verde di Caivano, rivolgendosi allo scrittore dopo l’omicidio del giovane Arcangelo Correra. “In questi 20 anni – aggiunge Patriciello – le cose sono andate di male in peggio. Non poteva che essere così. Lasciato a se stesso il degrado peggiora; l’ammalato si aggrava e muore. Ho chiesto aiuto a tutti. I colori politici non mi hanno mai impressionato. Sono un prete. Un uomo libero. I rischi di essere frainteso e deriso ci sono. Pazienza. Il presidente del Consiglio dei ministri della nostra Repubblica, l’ anno scorso, ha accolto il mio invito. È venuta. È ritornata. Quel che è accaduto a Caivano è sotto gli occhi di tutti. Di tutte le persone oneste che vogliono vedere. Certo, è poca cosa rispetto al gran lavoro che dovrà essere fatto. I miracoli li fa Dio. La bacchetta magica ce l’ha la fata. Nessuno ha mai creduto che in un solo anno, un luogo dove, parola di Vincenzo De Luca, ‘lo Stato non c’è. Punto’, sarebbe diventato il paradiso terrestre. Si sta lavorando. Con fatica”.

“Avrai saputo – prosegue il sacerdote, rivolto a Saviano – che ‘Parco Verde’ non è più una delle più grandi piazze di spaccio d’ Europa. Qualcosa si muove. Giorgia Meloni ha risposto al mio appello. Un merito che altri, prima di lei, non hanno voluto o potuto prendersi. La verità è limpida come l’acqua di sorgente. Se vuoi bene al tuo popolo, non remare contro. Si perde solamente tempo. Lascia che lo facciano i politici di professione. Noi, preti, giornalisti, scrittori, intellettuali, dobbiamo essere capaci di stare al di sopra delle parti. Essere coscienza critica. Sempre con le mani pulite. Viceversa, non saremmo credibili. No, Roberto – conclude il sacerdote – gli ultimi omicidi non dimostrano affatto il completo fallimento del modello Caivano, ma sono il frutto avvelenato e velenoso di decenni di disattenzione verso il dramma della camorra, della terra dei fuochi, delle problematiche giovanili, delle nostre bistrattate periferie. Ti auguro ogni bene. E ti invito ancora una volta a ritornare al “Parco Verde”. Dio ti benedica”.

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Morte del 18enne Correra, fermato Renato Benedetto Caiafa per detenzione e uso di arma clandestina

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Su delega del Procuratore della Repubblica di Napoli, la Polizia di Stato ha eseguito un decreto di fermo nei confronti di Renato Benedetto Caiafa, gravemente indiziato dei reati di porto e detenzione di arma clandestina e ricettazione. Il fermo è stato disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in relazione alla tragica morte di un giovane di 18 anni, avvenuta nelle prime ore della giornata di ieri in Piazza Sedil Capuano, nella zona di Vicaria.

La dinamica dell’incidente e l’intervento della Squadra Mobile

Secondo quanto emerso dalle indagini della Squadra Mobile di Napoli, l’indagato si trovava in Piazza Sedil Capuano con alcuni amici e, mentre maneggiava un’arma da fuoco, ha ferito mortalmente il giovane colpendolo al capo. La vittima è stata immediatamente trasportata presso l’Ospedale dei Pellegrini, ma è deceduta poco dopo a causa della gravità delle ferite riportate.

Il ritrovamento dell’arma del delitto e lo stato delle indagini

A seguito delle attività investigative, è stata rinvenuta anche l’arma del delitto, una pistola Beretta calibro 9×21, che sarebbe stata utilizzata nel tragico evento. Le indagini sono tuttora in corso per chiarire ulteriormente la dinamica dell’omicidio e verificare eventuali responsabilità aggiuntive.

Provvedimento di fermo e presunzione di innocenza

Il decreto di fermo è un provvedimento precautelare, disposto nell’ambito delle indagini preliminari. Si tratta di una misura soggetta a impugnazione e il destinatario è, al momento, una persona sottoposta a indagine, che gode della presunzione di innocenza fino a eventuale sentenza definitiva.

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