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Esteri

A Sharm El Sheik la tela di Conte per la stabilità della Libia, ma basta escalation

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Il primo vertice tra Unione Europea e Lega Araba avrà un seguito, fra tre anni, e si chiude con una dichiarazione comune. Non era scontato, fino a qualche giorno fa. Ma, al sontuoso International Congress Center di Sharm el-sheikh vanno in scena anche i nodi e i limiti della cooperazione euro-araba. Sui migranti le due parti hanno obiettivi comuni ma, con un’Europa profondamente divisa sul tema, nelle conclusioni del vertice, il dossier resta sullo sfondo. Mentre è davanti alle telecamere che le divergenze tra Ue e Lega Araba sui diritti umani emergono in tutta la loro evidenza. A dominare sono invece le 4 grandi crisi mediorientali – Siria, Yemen, Libia, israelo-palestinese – ed è sulla Libia che il premier Giuseppe Conte prova a rilanciare il ruolo dell’Italia. La pressione della Francia resta infatti alta e, se è probabile che nei prossimi giorni i due leader libici Fayez Sarraj e Khalifa Haftar si vedano ad Abu Dhabi è altrettanto probabile che, tra Roma e Parigi, sia scattata una corsa sotterranea a organizzare un trilaterale “in casa propria”. Per l’Italia, ormai il tempo stringe. E solo una de-escalation ordinata da Haftar nel sud del Paese potrebbe sbloccare l’impasse. Fonti libiche raccontano non a caso che ieri, nel corso del bilaterale Conte-Sarraj, i due interlocutori hanno fatto riferimento alla necessita’ di uno stop all’escalation di tensione per fare in modo che la road map Onu possa proseguire. A segnare la conferenza stampa finale e’ il botta e risposta tra il segretario della Lega Araba Ahmed Aboul Gheit e il presidente della commissione Ue Jean Claude Juncker. Al summit “nessuno ha detto che questo o quel paese non rispetta i diritti umani”, sottolinea Gheit replicando a chi, tra i giornalisti chiede dell’insoddisfazione dell’Ue sul tema. “Non e’ vero, io ho menzionato il problema e in tutti gli incontri bilaterali gli europei hanno evocato la questione con i loro amici arabi”, replica Juncker. In sala scende il gelo. Ed e’ Al Sisi, “star” di un vertice per il quale l’Egitto ha messo in campo misure di sicurezza imponentissime, a mettere un punto. “Lo dico in tutta franchezza, non ci detterete quale debba essere la nostra umanita’, vi chiediamo di voler rispettare i nostri principi e costumi, come noi rispettiamo i vostri”, scandisce il presidente egiziano che poco prima aveva sottolineato le differenti priorita’ tra mondo arabo e Ue: “impedire la sua distruzione” per il primo, “preservare la prosperita’ dei loro popoli” per la seconda. Eppure proprio di diritti umani parlano, a margine del vertice, il premier Giuseppe Conte e Al Sisi. Quello di Giulio Regeni e’ il primo tema toccato nel bilaterale. Conte porta al suo interlocutore “l’assoluta sensibilita’ del governo italiano e dell’opinione pubblica” e a lui Al Sisi assicura “il suo impegno”. Ma su una cosa il premier e’ sicuro: chiudere le relazioni con l’Egitto non porterebbe a nulla. “Attraverso il dialogo costruttivo si puo’ arrivare ad una soluzione per la verita’ giudiziaria”, spiega il premier che, con Al Sisi, parla anche di energia. Di gas, in particolare. Con l’Italia e tra i promotori del Forum del Mediterraneo Orientale (Emgf), destinato a trasformare l’Egitto in un hub del mercato regionale di gas.

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Il timore del Papa per la Siria e la ‘guerra riaccesa’

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La Siria si aggiunge all’elenco delle preoccupazioni e dei dolori del Papa. La guerra, che portò Francesco a proclamare nel 2013, pochi mesi dopo la sua elezione, una giornata di digiuno e preghiera, forse tra le prime del pontificato, torna come un incubo dal passato. “Preghiamo per la Siria dove purtroppo la guerra si è riaccesa causando molte vittime. Sono molto vicino alla Chiesa in Siria, preghiamo”, ha chiesto il Papa all’Angelus, nel corso del quale ha ribadito che “la guerra è un orrore, la guerra offende Dio e l’umanità, la guerra non risparmia nessuno, la guerra è sempre una sconfitta, una sconfitta per l’umanità intera”. Nelle parole del Papa scorrono le immagini dei conflitti che in questo momento stanno insanguinando il mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente. Ma “uno spiraglio di pace” c’è ed è la tregua siglata tra Israele e Libano.

“Mi rallegro per il cessate il fuoco che è stato raggiunto nei giorni scorsi in Libano e auspico che esso possa essere rispettato da tutte le parti, permettendo così alle popolazioni interessate al conflitto, sia libanese sia israeliana, di tornare presto e in sicurezza a casa, anche con l’aiuto prezioso – sottolinea Papa Francesco – dell’esercito libanese e delle forze di pace delle Nazioni Unite”. Uno spiraglio che può spingere le parti e la comunità internazionale ad andare oltre. “La mia speranza – dice esplicitamente il Pontefice, alla fine della preghiera mariana a Piazza San Pietro – è che lo spiraglio di pace che si è aperto possa portare al cessate il fuoco su tutti gli altri fronti, soprattutto a Gaza”.

“Ho molto a cuore la liberazione degli israeliani che ancora sono tenuti in ostaggio”, assicura Francesco che in questi mesi non ha sempre avuto un rapporto sereno con il mondo ebraico. Ma il Papa contestualmente dice quanto sia fondamentale “l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese stremata”. Restando al Medio Oriente, il Papa invita il Libano ad alzare la teste, ad eleggere il Presidente della Repubblica e ad attuare le riforme necessarie al Paese per uscire da una crisi che dura da troppi anni.

Lo sguardo del Pontefice poi torna alla “martoriata Ucraina” con l’inverno, freddissimo in quella parte d’Europa, ormai alle porte. “Saranno mesi difficilissimi”, commenta il Papa, perché “la concomitanza di guerra e freddo è tragica”. “Mentre ci prepariamo al Natale e mentre attendiamo la nascita del Re della Pace si dia a queste popolazioni una speranza concreta”. Il Papa ha quindi ribadito che “la ricerca della pace è una responsabilità non di pochi ma di tutti. Se prevalgono l’assuefazione e l’indifferenza agli orrori della guerra tutta la famiglia umana è sconfitta”.

“Non stanchiamoci di pregare per quella popolazione così duramente provata ed imploriamo a Dio il dono della pace”, ha concluso. La storia mostra che una via diversa è possibile. Per questo il Papa ha ricordato i 40 anni del Trattato di pace ed amicizia tra Argentina e Cile, firmato anche grazie alla mediazione della Santa Sede. “Quando si rinuncia all’uso delle armi e si fa il dialogo, si fa un buon cammino”, ha concluso Papa Francesco.

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Colombia: narco-sottomarino rivela nuova rotta verso l’Australia

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La marina colombiana ha scoperto una nuova rotta di traffico di droga dall’America del Sud all’Australia dopo aver intercettato un “narco sottomarino” con a bordo 5 tonnellate di cocaina nell’Oceano Pacifico. È il terzo “narco sub” intercettato in poche settimane su “questa nuova rotta che hanno aperto in trafficanti” ha detto Manuel Rodríguez, capo dell’unità anti-narcotici della marina colombiana. La scoperta della nuova rotta è avvenuta durante “Orion”, un’operazione antidroga durata 6 settimane condotta congiuntamente dalle autorità colombiane e dagli ufficiali di sicurezza di decine di altri paesi, che ha portato al sequestro di 225 tonnellate di cocaina.

“Questa è forse la più grande cattura di cocaina in transito effettuata dalla Colombia nella storia,” ha detto il presidente colombiano Gustavo Petro poco fa in un post sul suo account ufficiale di X, aggiungendo “hanno sequestrato 224 tonnellate di cocaina nel mondo sotto la guida delle forze pubbliche di Colombia e Stati Uniti. È meglio fumigare gli agricoltori o sequestrare e arrestare i trafficanti di droga?”. L’Operazione Orion ha coinvolto 62 paesi ed ha sequestrato più di 1.400 tonnellate di droga (soprattutto marijuana) e armi illegali tra il primo ottobre e il 14 novembre, ha detto il vice ammiraglio Orlando Enrique Grisales, capo dello stato maggiore delle operazioni navali della Marina colombiana, portando all’arresto di oltre 400 persone tra cui anche trafficanti di migranti.

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Kallas: inaccettabile l’uso della violenza in Georgia

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“L’Unione Europea è ovviamente al fianco del popolo georgiano nella scelta del suo futuro: è chiaro che l’uso della violenza contro i manifestanti pacifici non è accettabile”. Lo ha detto l’alto rappresentante Ue Kaja Kallas (foto Imagoeconomica in evidenza) a margine della sua visita a Kiev, precisando che “questo ha chiaramente delle conseguenze sulle nostre relazioni con la Georgia”. Kallas ha parlato di diverse opzioni allo studio, dalle “sanzioni” a un intervento sul “regime dei visiti”.

Ciò che dobbiamo discutere è come procedere da qui in poi perché è chiaro che il governo georgiano non sta rispettando la volontà del popolo quando si tratta del futuro europeo.
E credo che non dovremmo permetterglielo”, ha aggiunto.

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