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A Paestum il “B day” tra festa e commemorazione

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Una grande festa commemorativa, nessuna nostalgia e nessun clima da funerale. E’ questa l’aria che si respira alla kermesse di tre giorni di Forza Italia a Paestum, nel giorno in cui il Cavaliere avrebbe compiuto 87 anni. Il Berlusconi Day ha preso il via con il coro del conservatorio di Salerno che ha intonato l’inno d’Italia e poi l’Inno europeo. Una serie di bandiere di Forza Italia, sventolate nella platea, nel ricordo del presidente da parte del popolo azzurro, e in ogni angolo della location in cui si svolge l’evento. A Milano gli viene dedicato il Belvedere del grattacielo sede la regione Lombardia. Ad Arcore i figli, Marta Fascina ed i fedelissmi, tra cui Gianni Letta, lo ricordano. La compagna dell’ex premier gli fa gli auguri sui social nella certezza che saranno “legati” per sempre. Il cuore delle celebrazioni è comunque a Paestum.

All’ingresso dell’hotel Ariston, che ospita la manifestazione – promossa dall’eurodeputato Fulvio Martusciello, coordinatore regionale in Campania – un grande murale tappezzato di foto con il Cavaliere sorridente accoglie i partecipanti. Di fronte a questo enorme collage di foto, su alcuni tavolini, alcune sculture del Cav di varie dimensioni, realizzate dall’artista bolognese Eugenio Lenzi. In una, in particolare, viene rappresentato insieme al suo fedele amico di vita, il cane Dudù. “Opera che prende spunto dal suo insegnamento di spingersi sempre oltre, sicuri dei propri passi, accompagnati dagli amici fedeli”, si legge su alcuni volantini messi accanto alle sculture.

Ci sono poi disegni, manifesti elettorali, riproduzioni di copertine di quotidiani e settimanali. Dal palco dell’evento, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, segretario del partito, ci ha tenuto a sottolineare che non c’è nessuna nostalgia, ma che sono “milioni di italiani che guardano avanti, e che hanno un grande maestro cha ha indicato loro la via”. Il segretario di Forza Italia ha poi precisato che “non c’è nessun clima da funerale” e “nessun lutto da elaborare”, ma “andiamo avanti e guardiamo al futuro”. Berlusconi è stato ricordato anche a Milano intitolandogli il belvedere che si trova al 39esimo piano di palazzo Lombardia, sede della Regione.

Alla commemorazione hanno partecipato, fra gli altri, la figlia Barbara, il fratello Paolo, gli amici di una vita Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, e Adriano Galliani che, in collegamento dal palco di Paestum ha detto di essersi commosso per l’unità dei cinque figli del Cavaliere ricordando un pranzo ad Arcore “meraviglioso” in memoria del presidente. Presenti all’intitolazione anche il vicepremier Matteo Salvini, la capogruppo di Forza Italia al Senato Licia Ronzulli, il sottosegretario all’editoria Alberto Barachini, il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo e il governatore Attilio Fontana a fare gli onori di casa. Dal palco della kermesse è arrivato anche il saluto dei figli del presidente di Forza Italia, in una lettera che è stata letta da Tajani: “Carissimi, Berlusconi per noi è stato il padre migliore che si potesse desiderare, per voi il fondatore e la guida politica, per tanti un grande imprenditore, e per moltissimi semplicemente Silvio.

La nostra famiglia è al vostro fianco in nome dell’amore che ci legherà per sempre al nostro papà e del rispetto per cui ha combattuto e in cui ha impegnato tutto se stesso. Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora, Luigi”. Una giornata all’insegna del ricordo ma anche della proiezione verso il futuro del partito, nel solco della linea disegnata dall’ex premier. Alla fine della prima delle tre giornate, chiude sempre Antonio Tajani ricordando la passione del presidente per la musica e per lo spettacolo: “straordinariamente appassionato, per questo abbiamo voluto chiamare questa sera due grandi artisti italiani come Albano e Katia Ricciarelli”.

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Il ritorno del centro della politica: nostalgie, progetti e nuove divisioni

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Il centro politico italiano, quel territorio che per decenni ha rappresentato la spina dorsale del sistema con la Democrazia Cristiana, torna sotto i riflettori. Ma più che un ritorno ordinato, sembra un affollato ingorgo. Sabato 18 gennaio sarà una giornata simbolica e intensa per i nostalgici del centrismo, con eventi e convegni che cercano di rilanciare un’idea politica che molti ritengono ormai relegata alla storia.

Due eventi, due visioni del centro

A Milano, Graziano Delrio con la sua “Comunità democratica” darà vita al convegno “Creare legami, guarire la democrazia”. Qui, personalità di spicco del cattolicesimo democratico come Romano Prodi e Pierluigi Castagnetti discuteranno del futuro del centrosinistra, con un occhio di riguardo per quelle “esperienze civiche” che oggi tendono verso l’astensionismo.

A Orvieto, invece, l’assemblea nazionale di “Libertà Eguale” vedrà protagonisti esponenti della cultura politica liberale e riformista come Paolo Gentiloni, possibile leader di una “Margherita 2.0”, e Stefano Ceccanti. Due approcci paralleli che mirano a ricostruire il centro del centrosinistra, ma con rischi evidenti di dispersione.

La nostalgia della Balena Bianca

Nel frattempo, sul fronte del centrodestra, Gianfranco Rotondi rilancerà la Democrazia Cristiana con tanto di simbolo storico. “Siamo pronti per una nuova Balena Bianca”, ha dichiarato, sottolineando che la porta è aperta a chiunque voglia unirsi al progetto.

Il nodo dei voti e l’incertezza del centro

Il grande ostacolo per questi movimenti rimane la frammentazione del bacino elettorale. Secondo Livio Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli, solo l’8% degli italiani si identifica come centrista, e la metà di questi auspica un grande partito cattolico. Tuttavia, l’attrazione verso una “terza via” appare limitata, schiacciata dalla logica bipolare.

Progetti come quello di Vincenzo Spadafora, che si appresta a lanciare il movimento Primavera, si sommano alle già consolidate presenze di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Un’offerta politica affollata che rischia di frammentare ulteriormente il consenso.

Il parere degli scettici

Tra i tanti promotori di iniziative, spicca l’assenza di Clemente Mastella, figura storica del centrismo italiano. Con un pizzico di disillusione, Mastella ha commentato: “Vedrete che alla fine tutto resterà così com’è. Purtroppo.”

Uno spazio incerto

Il fermento intorno al centro dimostra che il desiderio di una politica moderata e riformista esiste ancora. Tuttavia, la difficoltà di creare un’unità d’intenti e la pressione di un sistema politico sempre più polarizzato lasciano dubbi sull’effettiva possibilità di un nuovo inizio per il centrismo italiano.

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Giustizia, primo sì del Parlamento alla separazione delle carriere

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Via libera della Camera alla separazione delle carriere. Si tratta del primo dei quattro passaggi parlamentari richiesti per l’ok al disegno di legge che modifica il titolo IV della Costituzione prevedendo carriere separate di magistrati requirenti e giudicanti, due Csm distinti, l’estrazione a sorte dei loro componenti e l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare. Un sì a “maggioranza schiacciante”, ha rivendicato il ministro Carlo Nordio auspicando l’approvazione finale entro l’estate. Quasi inevitabile il successivo referendum, auspicato peraltro dallo stesso titolare della Giustizia.

E, con il voto, torna altissima la tensione con l’Anm secondo cui la riforma mette a rischio “l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”, isola i pm, ne “mortifica la funzione di garanzia” e toglie garanzie a tutti i cittadini. Alzano gli scudi anche i candidati e le candidate di Magistratura democratica che propongono forme di protesta più visibili: durante le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario, “i magistrati, con toga indosso e copia della Costituzione alla mano, abbandonino l’aula nel momento in cui il rappresentante del ministro prenderà la parola”. Nordio tira dritto, promette che sarà “spezzato il legame patologico delle correnti” in magistratura e dice no ai “processi alle intenzioni” di chi sostiene che “la riforma prima o dopo sottoporrà il pm all’esecutivo, cosa che – garantisce – è esclusa”.

Nell’emiciclo della Camera i sì sono stati 174, i no 92 e gli astenuti 5: Azione e +Europa hanno votato a favore (i calendiani ricordano che la separazione delle carriere era nel loro programma elettorale) e Iv si è astenuta pur condividendo la ratio della riforma. Sulle barricate Pd, M5s e Avs. Approvato anche un odg dell’azzurro Enrico Costa che impegna il governo “a valutare l’opportunità di garantire concorsi separati per l’accesso alla magistratura requirente e giudicante”. L’esecutivo ha proposto una riformulazione anche di diversi odg sulla parità di genere, ma la riscrittura non è stata accolta dalle opposizioni in quanto definita troppo aleatoria: “Inaccettabile che la maggioranza non riconosca la centralità di questo tema”, l’accusa. E’ passato, invece, quello di Paolo Emilio Russo (FI) con l’impegno a “valutare ogni più opportuno intervento diretto a consentire il rispetto della parità di genere”. In Aula il dibattito si è infuocato tra i sostenitori e i detrattori della riforma.

“Indebolisce l’autonomia e l’indipendenza” della magistratura, ha attaccato Cafiero De Raho per il M5s. Il Pd ha puntato il dito contro “l’intento punitivo” e “il furore ideologico” del provvedimento, accusando la maggioranza di voler “smantellare la Costituzione”. Mentre Angelo Bonelli di Avs ha parlato di una “deriva autoritaria” che “mira a costruire un’Italia in cui la magistratura risponda al potere esecutivo”. In festa Forza Italia: “Dopo 35 anni realizziamo il sogno di Silvio Berlusconi”, ha esultato Tommaso Calderone. “È una riforma non scritta contro qualcuno, ma per avere una giustizia più giusta”, ha rivendicato il leader di partito Antonio Tajani. Per la leghista Simonetta Matone “la separazione delle carriere è un potente mezzo per la riforma della giustizia”.

“Un altro impegno rispettato da FdI”, ha sottolineato la meloniana Maria Carolina Varchi. Il ddl costituzionale prevede due distinti organi di autogoverno: il Csm della magistratura giudicante e quello della magistratura requirente: la presidenza in entrambi i casi è attribuita al capo dello Stato. I componenti sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento e, per i due terzi, rispettivamente, da un canestro di magistrati giudicanti e requirenti. L’Alta Corte avrà giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, tanto giudicanti che requirenti. Dopo i quattro passaggi parlamentari (a meno che il testo non venga approvato dai 2/3 dei componenti delle due Camere in entrambe le seconde votazioni) la riforma potrà essere sottoposta a referendum.

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Endorsement di Sala al terzo mandato per i governatori

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“Hanno ragione Zaia e De Luca”. Sul terzo mandato ai governatori e anche ai sindaci delle grandi città arriva l’endorsement del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che si schiera con il governatore della Lega e con quello del Pd favorevoli a candidarsi per un nuovo mandato tra le polemiche, le divisioni della politica e i limiti della legge. Il primo cittadino di Milano non sembra disdegnare un terzo mandato anche per lui, se la legge dovesse consentirlo, anche se rimane cauto e cita un film di 007, cioè di James Bond di cui lui è un cultore, “Never say never again, cioè mai dire mai”.

Sul tema del limite dei mandati per i governatori “sono d’accordo con Zaia e De Luca – spiega invece Sala in un’intervista radiofonica a Rtl – questo limite non dovrebbe esserci nemmeno per i sindaci”. L’Italia, questo il ragionamento, è l’unico Paese in Europa ad avere questo limite ad eccezione del Portogallo che ne ha tre, “noi dobbiamo sempre essere speciali?”, dice Sala. E a chi osserva che ci potrebbe essere una eccessiva concentrazione di poteri, replica che ci sono “i consigli comunali, quello regionale, gli organismi di controllo, i giudici, la Corte dei conti e poi c’è il supremo controllore che è l’elettore”.

Quindi “ha ragione Zaia quando dice che non prende lezioni da chi sta 30 anni in Parlamento, anche no”. Quello del terzo mandato ai governatori è un tema che infiamma il dibattito politico. Se il sindaco di Milano si schiera con i governatori, la segretaria del Pd, uno dei partiti che sostiene Sala a Milano, Elly Schelin, ha chiuso le porte al terzo mandato dicendo che il partito è contrario e che punta a costruire una alternativa in Campania. Sul fronte delle città nel 2024 è stato abolito il limite del numero dei mandati per i Comuni piccoli mentre è stato portato da due a tre per quelli tra 5 e 15mila abitanti. Quindi al momento per legge Beppe Sala non potrebbe ricandidarsi nel 2027, quando si voterà per le comunali, nonostante il suo assist al terzo mandato e il suo “mai dire mai” che lascia aperta una possibilità. Non tutti peró sono contenti all’idea di un terzo mandato del sindaco, anche nella sua maggioranza. Come il consigliere dei Verdi Carlo Monguzzi, spesso critico con la giunta: “Senza rancore e con leggerezza, nel caso di una terza ricandidatura io lavorerei con passione a una lista alternativa ambientalista e di sinistra”, conclude.

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