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Esteri

A Istanbul intesa solo sui prigionieri, non sulla tregua

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Russi e ucraini, dopo tre anni e mezzo di guerra, si sono ritrovati faccia a faccia per tentare di avvicinare le proprie posizioni. E’ questo il risultato più rilevante arrivato da Istanbul, nella misura in cui questo round di colloqui diretti rischiava addirittura di saltare dopo gli insulti reciproci volati alla vigilia. Quanto alla sostanza, le parti hanno concordato un nuovo scambio di mille prigionieri e si è cominciato a discutere di una possibile tregua, ma su questo fronte la strada resta in salita. Perché se la delegazione inviata dal Cremlino si è detta “soddisfatta” dei negoziati, lasciando aperto uno spiraglio anche ad un incontro Putin-Zelenky, Kiev ha accusato Mosca di “richieste territoriali irricevibili” come condizione per un cessate il fuoco.

Al palazzo presidenziale Dolmabahce i colloqui diretti russo-ucraini, i primi dal marzo del 2022, sono stati preceduti da una serie di incontri preparatori con i mediatori, la Turchia padrona di casa e gli Stati Uniti. Le aspettative non erano alte, soprattutto dopo il forfait di Vladimir Putin e la conseguente assenza al tavolo di Volodymyr Zelensky. Tanto che Donald Trump, che fino all’ultimo aveva sperato nell’incontro tra due leader rivali in Turchia, all’inizio della giornata ha rinunciato all’idea di volare a Istanbul per suggellare un faccia a faccia che sarebbe stato storico. Qualcosa nella città sul Bosforo si è comunque mosso. Le due delegazioni, guidate dal ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov e dal consigliere presidenziale russo Vladimir Medinsky, si sono confrontate per un’ora e 40 minuti, affiancati dai turchi. L’accordo è arrivato su uno scambio di prigionieri “mille per mille” nei “prossimi giorni”, hanno fatto sapere i russi.

“Un ottimo risultato”, anche secondo gli ucraini. Riguardo invece all’altra priorità di Kiev, quella della tregua, c’è stata una fumata nera. Umerov ha spiegato che le parti “hanno scambiato” idee su “alcune modalità” per arrivare all’interruzione delle ostilità, mentre Medinsky ha confermato che ora i due team dovranno “presentare” e “descrivere nei dettagli” la loro “visione”. In concreto tuttavia la sensazione è che Mosca continui a prendere tempo: fonti ucraine hanno riferito che i delegati russi hanno insistito sul ritiro delle forze di Kiev da “gran parte del territorio” occupato. Fumo negli occhi per i mediatori di Zelensky, che hanno gestito la situazione “con calma” e hanno illustrato le loro posizioni, è stato riferito.

Altro punto chiave per gli ucraini era quello di organizzare quanto prima un incontro tra i due capi di Stato, che sarebbe il primo dall’inizio dell’invasione. Umerov a Istanbul ha ribadito che questo meeting “dovrebbe essere il prossimo passo” nel percorso verso la pace. I negoziatori del Cremlino hanno fatto sapere di aver “preso nota di questa richiesta”. Il governo turco, tirando le fila del negoziato, ha voluto guardare al bicchiere mezzo pieno. Anche perché, secondo quanto reso noto dal ministro degli Esteri Hakan Fidan, i due team hanno concordato “in linea di principio” di incontrarsi di nuovo.

Poco più lontano da Istanbul, invece, gli alleati occidentali di Kiev hanno smorzato gli entusiasmi: “La posizione russa non può essere definita in alcun modo costruttiva”, hanno denunciato da Tirana i leader dei volenterosi (Starmer, Macron, Tusk e Merz) in una dichiarazione congiunta dopo una riunione a cui ha partecipato anche Zelensky, con Trump in videocollegamento. Mentre per l’Ue Ursula von der Leyen è tornata a evocare sanzioni contro Mosca, che includerebbero il divieto di accesso al gasdotto Nord Stream e una stretta sulle banche. I riflettori a questo punto tornano sulla Casa Bianca, che il Cremlino continua a considerare l’unico interlocutore. Trump, rientrando dalla sua missione in Medio Oriente, ha insistito di “volere incontrare Putin il prima possibile”, aggiungendo che nel frattempo potrebbe chiamare ancora una volta lo zar, per capire le sue reali intenzioni. Un vertice tra i due leader è considerato “necessario” anche dal Cremlino. Ma “prima”, ha osservato Dmitry Peskov, “occorre una preparazione adeguata”.

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Attacco ucraino con droni su Novorossijsk: colpito terminal petrolifero russo e feriti tre civili

Droni ucraini colpiscono la città portuale russa di Novorossijsk: danneggiato il terminal petrolifero Sheskharis della Transneft e ferita l’equipaggio di una nave civile.

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Un nuovo attacco con droni ucraini ha colpito nella notte la città portuale russa di Novorossijsk, sul Mar Nero, provocando un vasto incendio e danni significativi a un terminal petrolifero strategico per Mosca.

Secondo quanto riferiscono fonti locali citate dai media di Kiev, i droni avrebbero centrato il complesso di Sheskharis, uno dei principali hub della compagnia statale russa Transneft, utilizzato per l’esportazione di greggio verso i mercati internazionali.


Tre feriti nell’attacco: colpita anche una nave civile

Oltre al terminal, una nave civile attraccata nel porto sarebbe stata danneggiata durante l’attacco. Le prime informazioni parlano di tre membri dell’equipaggio feriti, trasportati d’urgenza in ospedale.

L’impatto delle esplosioni avrebbe causato un incendio di grandi proporzioni, visibile a chilometri di distanza, con le autorità locali impegnate per ore nelle operazioni di spegnimento.


Novorossijsk, nuovo fronte della guerra sul Mar Nero

Il porto di Novorossijsk rappresenta uno dei nodi strategici più importanti della logistica energetica russa sul Mar Nero. Da qui partono infatti le esportazioni di petrolio dirette verso l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente.

L’attacco — se confermato ufficialmente — dimostra la capacità ucraina di colpire obiettivi profondi in territorio russo, anche lontani dalla linea del fronte, e si inserisce nella guerra energetica che Kiev conduce contro Mosca da mesi.

La Russia, al momento, non ha rilasciato commenti ufficiali, ma secondo i media statali le autorità stanno verificando l’entità dei danni e valutando le misure di sicurezza per le infrastrutture portuali ed energetiche della regione.

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Tokyo frena dopo le parole di Takaichi su Taiwan: “La nostra posizione resta immutata”

Il governo giapponese chiarisce la sua posizione su Taiwan dopo le parole della premier Sanae Takaichi che avevano irritato Pechino. Tokyo riafferma l’impegno per la pace nello Stretto e la fedeltà al principio di “una sola Cina”.

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Il governo giapponese ha ribadito che la sua posizione su Taiwan “resta immutata”, nel tentativo di stemperare le tensioni con la Cina esplose dopo le recenti dichiarazioni della premier conservatrice Sanae Takaichi.

La posizione su Taiwan è coerente con il Comunicato congiunto Giappone-Cina del 1972”, ha dichiarato il segretario di gabinetto Minoru Kihara, sottolineando “la necessità di garantire pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”.


Le parole di Takaichi e la reazione furiosa di Pechino

La presa di posizione ufficiale arriva a una settimana dalle parole della premier Takaichi, che aveva lasciato intendere la possibilità di un intervento militare diretto o indiretto del Giappone in caso di un attacco cinese a Taiwan.

Un’ipotesi che ha scatenato la reazione durissima di Pechino, per la quale Taiwan è una “parte inalienabile” del proprio territorio.

Il Quotidiano del Popolo, organo del Partito Comunista Cinese, ha accusato Tokyo di voler “rilanciare il suo militarismo bellico” e di tentare di “ripetere gli errori della storia”.


La Cina accusa Tokyo di “militarismo mascherato”

In un editoriale pubblicato sotto lo pseudonimo Zhong Sheng — usato per gli articoli di linea ufficiale sulla politica estera — il quotidiano cinese ha affermato che le parole della premier “non sono un’invettiva isolata”, ma si inseriscono nella strategia di una destra giapponese decisa a liberarsi dai vincoli pacifisti imposti dalla Costituzione del dopoguerra.

Il giornale cita episodi che, a suo dire, dimostrerebbero la deriva militarista di Tokyo:

  • le visite dei politici al santuario Yasukuni, dove sono onorati anche 14 criminali di guerra di classe A,

  • la negazione del massacro di Nanchino,

  • e la “propaganda della teoria della minaccia cinese”.

“Ogni passo di Takaichi — scrive il Quotidiano del Popolo — segue le orme della colpa storica giapponese, tentando di insabbiare la storia di aggressione e far rivivere il militarismo.”


Takaichi: “Un attacco a Taiwan minaccerebbe la sopravvivenza del Giappone”

Durante un’audizione parlamentare, la premier Takaichi aveva definito un eventuale attacco militare cinese a Taiwancome una “situazione di minaccia alla sopravvivenza” per il Giappone, formula che consentirebbe a Tokyo di esercitare il diritto all’autodifesa collettiva.

Un’espressione che, secondo Pechino, riecheggia la retorica giapponese degli anni Trenta. Lo stesso Quotidiano del Popolo ha paragonato la posizione di Takaichi all’“Incidente di Mukden del 1931”, usato dal Giappone come pretesto per invadere la Manciuria:

“Ora che questa retorica sta rivivendo — scrive il giornale — il Giappone intende davvero ripetere gli errori della storia?”


Il difficile equilibrio di Tokyo tra alleati e Pechino

Il governo giapponese, pur mantenendo relazioni non ufficiali con Taipei, continua a riconoscere una sola Cina in base al comunicato bilaterale del 1972. Tuttavia, negli ultimi anni Tokyo si è progressivamente allineata alle preoccupazioni occidentali per l’espansionismo militare cinese nell’area dell’Asia-Pacifico, rafforzando la cooperazione strategica con gli Stati Uniti.

In questo delicato equilibrio tra diplomazia e sicurezza, le parole di Takaichi rischiano di mettere in crisi la tradizionale prudenza giapponese, spingendo Tokyo in un terreno sempre più scivoloso tra realpolitik e revisionismo storico.

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Notte di terrore a Kiev: la Russia lancia un attacco su larga scala con missili e droni

La Russia ha colpito Kiev con centinaia di missili e droni. Un morto e 15 feriti il bilancio provvisorio. Colpiti edifici residenziali e blackout in diversi quartieri della capitale.

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La Russia ha lanciato nella notte un attacco su larga scala contro Kiev, con centinaia di missili e droni che hanno colpito la capitale e diverse regioni dell’Ucraina. L’allarme è scattato poco dopo mezzanotte e 45 locali, quando una serie di esplosioni ha squarciato il silenzio notturno.

Secondo i media ucraini e le autorità locali, si tratta di uno dei bombardamenti più intensi delle ultime settimane.


Un morto e quindici feriti: colpiti edifici residenziali

Il bilancio provvisorio fornito dai servizi di emergenza ucraini parla di un morto e quindici feriti. Il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, ha riferito che i detriti di un drone hanno colpito un edificio residenziale di cinque piani nel quartiere Dniprovskiy, provocando un incendio e il crollo parziale di alcuni piani.

Un altro incendio è stato segnalato nel quartiere di Podilskyi, mentre in diverse aree della città si registrano interruzioni di corrente e blackout a causa dei danni alla rete elettrica.


L’attacco coordinato: droni e missili su tutto il Paese

L’Aeronautica militare ucraina ha confermato che decine di droni stanno prendendo di mira le regioni centrali, meridionali ed orientali del Paese, mentre missili da crociera e balistici sono stati lanciati da più direzioni verso il territorio ucraino.

Le autorità di Kiev hanno emesso allarmi antiaerei per tutto il Paese, invitando la popolazione a rifugiarsi nei bunkere nei rifugi sotterranei.


La capitale ancora nel mirino del Cremlino

L’attacco di questa notte conferma come Kiev resti uno degli obiettivi strategici principali della campagna militare russa.
Le forze ucraine, pur riuscendo ad abbattere gran parte dei droni e dei missili in arrivo, continuano a fare i conti con la distruzione di infrastrutture civili e con la crescente pressione psicologica di una guerra che non accenna a fermarsi.

Secondo analisti militari, l’intensificazione dei raid potrebbe essere un tentativo di Mosca di logorare la popolazione ucraina e colpire il sistema energetico del Paese in vista dell’inverno.

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