Gennaro Giugliano ha ventidue anni e sogna di diventare un fotografo professionista. I Quartieri Spagnoli sono lo sfondo in cui si muove, il microcosmo che racconta con i suoi scatti. “La mia storia inizia dall’ultimo anno di maturità – racconta Giugliano -. Dovevo preparare la tesina ma non sapevo che argomento portare. Un giorno in classe la mia professoressa affermò che i Quartieri Spagnoli fossero la zona più brutta di Napoli. Io, che fra quei vicoli ci ero cresciuto, rimasi sconvolto da quelle parole. Così all’esame scelsi di portare proprio i Quartieri Spagnoli: dovevo smentire la professoressa. Accanto alla classica tesina, presentai un videoclip che mostrava le bellezze e il fascino dei Quartieri. Sconvolse la commissione. L’ho poi caricato su Facebook, dove ha ottenuto oltre 100mila visualizzazioni”.
Giugliano ha legato così il suo destino a quello dei Quartieri Spagnoli. Si aggira per i vicoli e con i suoi scatti restituisce l’unicità e l’umanità della sua gente. Così contribuisce al riscatto e alla valorizzazione di una zona spesso bistrattata, ma che sta nascendo a nuova vita grazie alle inesauribili energie umane dei suoi abitanti. “I Quartieri stanno cambiando: sono arrivati i turisti, stanno diventando un punto di incontro e c’è grande fermento culturale. Spero che prima o poi tutti gli stereotipi sui Quartieri Spagnoli saranno abbattuti”, commenta Giugliano.
Un ruolo decisivo nel riscatto della zona lo stanno giocando le tantissime associazioni culturali che insistono sul territorio. Come Miniera, l’associazione di Salvatore Iodice che salva i ragazzi dalle strade insegnando loro il lavoro di artigiano e realizza elementi di arredo urbano con mobili e ingombranti abbandonati per le strade. “Salvatore per me è stato importante, mi ha aiutato in un momento complicato della mia vita – racconta il giovane fotografo -. Ad oggi sono un membro molto attivo dell’associazione e provo a dare una mano al quartiere, questo è il senso profondo del lavoro di Miniera”.
Giugliano però non s’è fermato al vicolo sotto casa. Dai Quartieri Spagnoli ha incominciato a spostarsi per tutta la città, alla ricerca dei volti della gente di Napoli. È nata così l’idea di ‘A ggente, il primo grande progetto fotografico di Gennaro Giugliano. “La nostra città, i suoi quartieri, i suoi vicoli sono rappresentati al 99% da quei volti senza nome che nessuno riconosce, visi espressivi e familiari ma al tempo stesso sconosciuti, visi di persone che vivono, lavorano, amano. ‘A ggente: noi omaggiamo loro”, ha spiegato.
Fra i quindici scatti selezionati per il progetto, figurano, accanto a gente del popolo, anche i volti di artisti che, ciascuno nel rispettivo campo, hanno portato in alto il nome della città. Giugliano ha così immortalato anche gli attori Patrizio Rispo, Alessio Gallo e Vincenzo Messina, e i cantanti Francesco Da Vinci e Ntò. “Ho scelto loro perché sono stati sin da subito molto entusiasti del progetto – spiega -. Sono attori e cantanti che con il loro talento hanno saputo portare Napoli in Italia e nel mondo”. Presto le foto di Giugliano saranno presentate in una mostra fotografica. “Con i miei scatti provo a raccontare la bellezza di questo popolo, la nobiltà d’animo dei napoletani. L’obiettivo è realizzare una mostra tutta mia, il cui eventuale ricavato sarà donato in beneficenza”.
C’è anche un altro motivo che ha spinto il fotografo napoletano a mettere in piedi questo progetto fotografico. Napoli è una città estremamente eterogenea al suo interno, in cui ciascun quartiere rivendica la sua unicità, le sue differenze rispetto agli altri. “Con questo progetto vorrei anche provare a dimostrare che Napoli è una sola, non dovrebbero esistere barriere fra i suoi abitanti e i diversi quartieri”, chiarisce Giugliano.
Alcune delle foto di Giugliano sono state scelte da Vogue Italia e saranno inserite nel prossimo numero della rivista, all’interno di un servizio dedicato ai progetti Instagram che raccontano la città. E proprio su questa piattaforma, Giugliano sta costruendo, foto dopo foto, il suo percorso artistico. Ad oggi il suo profilo conta più di 30mila follower. Per un giovane che cerca di affermarsi nel mondo del lavoro, restare a Napoli può apparire una scelta complicata. Ma Napoli è anche una città estremamente creativa, viva e vibrante, piena di potenzialità pronte ad esplodere da un momento all’altro. Giugliano non ha dubbi: “Non andrò mai via da Napoli, è una città incredibile, di una bellezza inarrivabile. So che le opportunità lavorative non sono tantissime, ma proverò a ritagliarmi uno spazio e a raggiungere traguardi importanti”.
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
La parola d’ordine è trasparenza. Quella chiesta a gran voce dall’industria culturale e creativa davanti allo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’appello è stato raccolto dall’Ue, che con l’AI Act, appena vidimato dal Parlamento europeo, sta provando a creare uno scudo a tutela di giornalisti, scrittori, musicisti, registi, chi vive insomma della propria creatività. Si parla di professioni che rischiano di essere travolte dalla nuova tecnologia alimentata dal petrolio dell’economia digitale: i dati. Le loro opere – canzoni, libri, reportage, film – sono impiegate sia per addestrare i cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni, su cui si basano sistemi come ChatGPT, sia per creare opere derivate. Si può ritenere questo processo come una violazione del diritto d’autore? Secondo il New York Times la risposta è affermativa.
In un caso destinato a fare scuola, la Vecchia Signora in Grigio ha portato in tribunale Microsoft e OpenAI, la società nota per aver creato ChatGPT, accusandole di aver copiato e utilizzato illegalmente i suoi articoli per addestrare i modelli di IA. I due colossi tech non hanno rivelato pubblicamente la composizione dei dataset su cui viene istruita la nuova tecnologia. Ed è su questo che interviene l’AI Act. I sistemi come ChatGPT e i modelli su cui si basano dovranno, infatti, soddisfare determinati requisiti di trasparenza e rispettare le norme europee sul diritto d’autore durante le fasi di addestramento dei vari modelli.
“Un passaggio importante” per Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) e di Confindustria Cultura Italia (Cci), secondo cui le richieste del mondo delle industrie culturali e creative “hanno trovato orecchie attente nel governo italiano e in modo trasversale tra gli europarlamentari che hanno votato a favore dell’AI Act”. “La trasparenza – ha evidenziato – è il requisito per poter analizzare criticamente gli output dell’IA e, per chi detiene i diritti, sapere quali opere sono utilizzate nello sviluppo di questi strumenti, se provengono da fonti legali e se l’uso è stato autorizzato”.
Ma la strada è ancora lunga. La legge europea è solo “un primo passo per far valere i propri diritti”, ha commentato un’ampia coalizione di organizzazioni dei settori creativi e culturali europei, esortando a mettere in pratica “queste importanti norme in modo significativo ed efficace”. A fare la differenza sarà l’attuazione della normativa, la definizione degli standard, ma anche la previsione di una policy a tutela del diritto d’autore che affronti ad esempio la questione della remunerazione dei detentori dei diritti per l’uso di opere coperte da copyright.
Dopo Pesaro per il 2024 e Agrigento per il 2025 è l’Aquila la città scelta come capitale italiana della cultura 2026. A proclamarla è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia che si è svolta a Roma, nella Sala Spadolini del ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi, Isabella Valente, e dei rappresentanti di tutte e dieci le città finaliste: oltre all’Aquila, Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena). “L’Aquila è una città ricca di storia e di identità e merita certamente di essere capitale della cultura” dice parlando con i giornalisti Sangiuliano, che ricorda anche come la commissione sia “assolutamente autonoma e indipendente dalla mia persona”. Il ministro avrebbe voluto dare “questo riconoscimento a tutte le città che erano candidate, questo purtroppo non era possibile. Adesso studieremo un modo per coinvolgerle in questo momento”.
L’Aquila “si avvia a celebrare i 15 anni del terremoto – commenta il sindaco della città Pierluigi Biondi -. Essere capitale italiana della cultura non è un risarcimento, ma rappresenta un elemento attorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostra comunità”. La cultura “è un elemento fondante, è recupero dell’identità e proiezione nel futuro – aggiunge – . Le altre città finaliste saranno parte di questo percorso. Vi garantiamo che saremo all’altezza del compito che ci assegnate… viva l’Italia”. Il progetto presentato dal capoluogo abruzzese è intitolato ‘L’Aquila Città multiverso’ ed è “un ambizioso programma di sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale, capace di proiettarla verso il futuro seguendo i quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere. creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale”, si legge nelle linee guida. “Siamo molto felici, è un altro segno di rinascita dell’Abruzzo – commenta Marco Marsilio, appena confermato alla presidenza della Regione -. Sapevamo di essere molto competitivi e che il dossier presentato era eccellente. La giuria lo ha riconosciuto”. Il progetto dell’Aquila “ci ha convinto per la sua qualità, ma anche per aspetti come il budget, la capacità di includere per tutto l’anno i territori e per il coinvolgimento dei giovani” spiega Davide Maria Desario, presidente della giuria. Ognuno dei progetti delle città finaliste “rappresenta l’emblema dell’Italia come vorremmo che fosse, l’Italia del fare”. Per questo Desario torna a lanciare la proposta (poi accolta dal ministro, ndr) “che oltre oltre al premio alla città vincitrice si integri il bando con un riconoscimento anche alle altre finaliste”. Fra le reazioni alla vittoria, prevalgono le congratulazioni da parte delle altre città finaliste ma si solleva anche qualche polemica.
“A pensar male si fa peccato ma, come dice l’adagio, spesso si indovina. O forse è solo un caso che, a pochi giorni, dalle elezioni regionali in Abruzzo il titolo sia stato conferito proprio a La città de L’Aquila?” si chiede in una nota il deputato del Pd Andrea Gnassi, ex sindaco di Rimini. Critico anche l’attuale sindaco della città romagnola Jamil Sadegholvaad che fa i complimenti a L’Aquila ma parla di “invasioni di campo preventive scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes” nella competizione. Il nostro auspicio “è che Rimini e la Romagna alluvionata possano essere Capitale italiana della cultura l’anno successivo – commenta il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, a partire proprio dall’alluvione senza precedenti del maggio 2023 da cui hanno saputo subito risollevarsi e ripartire”. Invece il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle del Molise Andrea Greco oltre a esprimere il rammarico per la sconfitta di Agnone (Isernia) che era tra le dieci finaliste, critica Bruno Vespa, che avrebbe dimostrato “una meno che sufficiente caratura giornalistica” per l’endorsement a L’Aquila che avrebbe fatto sulla tv pubblica alla vigilia della designazione: “E’ stato per lo meno spiacevole per non utilizzare altri termini”.