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Salute

78.000 coppie infertili si sono rivolte ai Centri di Procreazione assistita nel 2017

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Solo in un anno, il 2017, più di 78 mila coppie infertili si sono rivolte a Centri di Procreazione medicalmente assistita per avere un bambino. Bene prezioso, la fertilità diminuisce andando avanti con gli anni ma puo’ essere preservato evitando droghe, tabacco, abuso di alcol, malattie veneree e facendo attività fisica. A ricordarlo, in vista della Giornata Nazionale della Fertilità che si celebra oggi, 22 settembre, è l’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità l’infertilità è una patologia che si manifesta con assenza di concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti mirati non protetti. Si stima che in Italia a soffrirne sia il 15% delle coppie, e il problema non è solo al femminile. Per gli uomini la più comune infertilità reversibile è quella da varicocele, seguita da infiammazioni testicolari, patologie prostatiche. Per le donne a influire sono patologie come fibromi uterini, endometriosi, alterazioni ormonali e ovulatorie. Il rischio di soffrirne aumenta con l’età: “dopo i 30 anni per la donna e dopo i 40 per l’uomo peggiora la qualita’ genetica di ovociti e spermatozoi”, ricorda l’Iss. Non è solo, però, l’età a pesare: fare poco sport o farlo utilizzando anabolizzanti sono fattori di rischio, cosi’ come il tabacco e l’obesità. Meno noto è il ruolo delle malattie veneree. Quelle che causano un piu’ alto tasso di infertilita’ sono la clamidia e la gonorrea, che possono creare un’infezione cronica o acuta ai danni dei genitali e rendere piu’ difficile concretizzare il sogno di avere un bebe’.

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Tumore al seno, in 15 anni -16% mortalità tra pazienti under50

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In Italia, dal 2006 al 2021, la mortalità per tumore al seno tra le donne under 50 si è ridotta complessivamente del 16%. Una prospettiva incoraggiante che apre però nuove problematiche, come la preservazione della fertilità. Pionieri in questo ambito di ricerca gli specialisti italiani, in particolare l’ospedale San Martino di Genova, come emerso nel capoluogo ligure nel corso dell’incontro ‘Back from San Antonio’ al via oggi, dedicato alle principali novità dal recente San Antonio Breast Cancer Symposium. “Il calo dei decessi è un dato incoraggiante e dovuto soprattutto al miglioramento delle terapie”, spiega Lucia Del Mastro, direttrice della Clinica di Oncologia medica del San Martino.

“Quando colpisce una donna al di sotto dei 40 anni il tumore è spesso biologicamente più aggressivo, e il rischio che si tratti di una neoplasia ereditaria è più elevato”. Da anni, afferma, “stiamo studiando gli effetti collaterali legati alle terapie antitumorali. Grazie a trattamenti messi a punto anche attraverso gli studi condotti dal nostro gruppo di ricerca, è oggi possibile diventare madre anche dopo il cancro”.

“Il San Martino è stato nuovamente riconosciuto come ‘Comprehensive Cancer Center’, il massimo accreditamento previsto dall’organizzazione internazionale Oeci”, ricorda il direttore generale del Policlinico Marco Damonte Prioli, ed il direttore scientifico Antonio Uccelli aggiunge: “Circa il 26% delle pazienti viene inserito in studi clinici, dato superiore alla media internazionale. Ciò consente alle donne un accesso precoce ai nuovi trattamenti, con potenziale miglioramento dei risultati terapeutici”. Illustrati a Genova anche i risultati di 4 studi che i ricercatori italiani hanno presentato all’incontro di San Antonio in Texas (Usa).

Uno sul ruolo della chirurgia preventiva per la riduzione del rischio di recidiva tra le portatrici di mutazioni Brca, con -35% di rischio di morte e -42% di recidiva in chi ha subito mastectomia bilaterale; uno sul carcinoma mammario triplo negativo, che ha evidenziato l’efficacia sulla sopravvivenza dell’anticorpo avelumab; il Touch trial sul trattamento a base di palbociclib e letrozolo al posto della chemioterapia; una ricerca di confronto tra radioterapia e terapia endocrina su pazienti over 70 a basso rischio con tumore in stadio iniziale. Nel corso dell’evento verranno premiati due giovani oncologi under 40, Davide Soldato e Linda Cucciniello.

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Salute

Epidemia influenzale a Napoli e Campania, misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza

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A Napoli e in Campania, l’influenza stagionale e gli altri virus respiratori invernali stanno creando un quadro preoccupante. L’incidenza è superiore alla media nazionale, secondo la rete di sorveglianza RespirVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità. Tra i responsabili dell’ondata di malattie, si annoverano virus influenzali A e B, il virus respiratorio sinciziale, SARS-CoV-2, e altri coronavirus umani.

Negli ospedali della città, l’affollamento è cresciuto a dismisura, con migliaia di accessi nei pronto soccorso. Dal 1° al 4 gennaio, la rete dell’emergenza della ASL Napoli 1 ha registrato oltre 2.000 accessi, di cui 81 codici rossi e 652 codici gialli. Febbre alta, tosse, disturbi intestinali e respiratori sono i sintomi prevalenti, colpendo soprattutto anziani e fragili, mandando in crisi la rete di cure territoriali.

Misure temporanee per affrontare l’emergenza

Per garantire la disponibilità di posti letto, la ASL Napoli 1 ha adottato un provvedimento straordinario. Firmato dal direttore generale Ciro Verdoliva, il provvedimento dispone il blocco temporaneo dei ricoveri non urgenti nei presidi ospedalieri dotati di pronto soccorso, come il Capilupi di Capri, il San Paolo, il Vecchio Pellegrini e l’Ospedale del Mare. Anche gli ospedali senza pronto soccorso, come il Loreto e il San Giovanni Bosco, sono stati coinvolti nei trasferimenti secondari.

L’Unità di Crisi Regionale, attivata il 5 gennaio, ha suggerito ulteriori misure. Tra queste, la dimissione rapida di pazienti non urgenti sette giorni su sette, l’utilizzo di posti letto tecnici aggiuntivi e l’adeguamento dei turni del personale per rispondere all’emergenza.

Vaccinazioni e raccomandazioni

Gli esperti raccomandano il vaccino antinfluenzale per chi non si fosse ancora immunizzato, disponibile fino al 31 gennaio presso i medici di famiglia. La dottoressa Pina Tommasielli sottolinea che l’influenza, nella maggior parte dei casi, può essere trattata a casa sotto la guida del medico curante, evitando ricoveri inutili.

Situazione pediatrica al Santobono

Anche il Santobono di Napoli è sotto pressione per l’aumento di casi di influenza e bronchiolite nei bambini, causata dal virus respiratorio sinciziale. «La curva dell’influenza è in ascesa, ma non abbiamo ancora raggiunto il picco», spiega Vincenzo Tipo, responsabile del pronto soccorso pediatrico. «La forma di quest’anno è più aggressiva, con febbre alta e di lunga durata, ma senza complicanze maggiori rispetto agli anni precedenti».

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Crisi personale sanitario, persi 28 miliardi in 11 anni

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Una “crisi del personale sanitario senza precedenti” con una perdita nell’arco di 11 anni di 28 miliardi di euro nella spesa per i dipendenti mentre nel 2023 è raddoppiata quella per l’impiego dei gettonisti. E’ l’allarme lanciato dalla Fondazione Gimbe sulle carenze e le difficoltà che pesano sul Servizio sanitario nazionale, causate “da errori di programmazione, dal definanziamento e dalle recenti dinamiche che hanno alimentato demotivazione e disaffezione dei professionisti”.

E “senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale sanitario – mette in guardia il presidente Nino Cartabellotta – l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute”. Da parte sua il ministro della Salute Orazio Schillaci ha ribadito che “i recenti interventi normativi hanno introdotto ulteriori molteplici e significative misure proprio con l’intento di rendere maggiormente attrattivo l’esercizio della professione nell’ambito del Ssn, con progressivo miglioramento della qualità e dell’efficienza del servizio offerto”. Sul fronte opposto i sindacati medici, che giudicano “insufficienti” le misure introdotte con la legge di Bilancio 2025 ed annunciano incontri a breve per “decidere insieme le modalità migliori per un’azione unitaria”.

Perchè il governo, afferma il segretario del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, “non può continuare a cavarsela con i proclami”. In questo quadro si inserisce la preoccupante fotografia scattata da Gimbe. Dal 2012 al 2023 il capitolo della spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente “è stato quello maggiormente sacrificato”, ha detto Cartabellotta durante un’audizione in Commissione Affari sociali alla Camera. In termini assoluti, dopo una progressiva riduzione da 36,4 miliardi di euro nel 2012 a 34,7 nel 2017, la spesa è risalita, segnando 40,1 miliardi nel 2023. Ma in termini percentuali sulla spesa sanitaria totale il trend segna “una lenta ma costante riduzione”: se infatti nel 2012 era il 33,5%, nel 2023 è scesa al 30,6%. Quindi, segnala Cartabellotta, se la spesa per il personale dipendente si fosse mantenuta ai livelli del 2012, quando cioè rappresentava circa un terzo di quella sanitaria totale, negli ultimi 11 anni il personale dipendente non avrebbe perso 28,1 miliardi, di cui 15 e mezzo solo tra il 2020 e il 2023, “un dato che evidenzia il sacrificio economico imposto ai professionisti del Sistema sanitario nazionale”.

Un altro aspetto critico evidenziato nell’analisi è l’impiego dei gettonisti nelle strutture italiane, sul quale il governo è intervenuto con alcune misure. “La carenza di personale sanitario unita all’impossibilità per le Regioni di aumentare la spesa per il personale dipendente a causa dei tetti di spesa, negli anni ha alimentato il fenomeno dei ‘gettonisti’ – spiega – ovvero medici e sanitari reclutati tramite agenzie e cooperative, con i relativi costi rendicontati come spese per beni e servizi”. Un fenomeno che secondo un report dell’Anac riportato da Gimbe, era già molto evidente nel 2019, con una spesa complessiva di 580 milioni, fino a raggiungere, nel solo periodo tra gennaio e agosto 2023, circa 476 milioni, cioè un valore doppio rispetto all’intero 2022. Dall’analisi emerge inoltre un “paradosso”: le Regioni in piano di rientro presentano una spesa media per il personale dipendente più alta delle altre.

Confrontando, per il 2022, le unità di personale dipendente con la spesa pubblica totale, quella per unità di personale a livello nazionale è di circa 57mila euro, “con tutte le Regioni in piano di rientro che mostrano paradossalmente valori superiori alla media nazionale”. “Senza il personale sanitario, il diritto alla tutela della salute è seriamente a rischio – è il commento di Guido Quici, presidente del sindacato Cimo-Fesmed – E senza una inversione di marcia per valorizzare i professionisti, il Servizio sanitario nazionale è destinato al fallimento”.

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