Collegati con noi

Cultura

Yes, We Trump: l’altra faccia degli USA nel libro di Luca Marfé

Pubblicato

del

E’ nato a Napoli ma si considera un cittadino del mondo. Giornalista, professore universitario presso la Universidad Central de Venezuela a Caracas, Luca Marfé, a quarant’anni se fa un bilancio della sua vita può ritenersi soddisfatto anche se il successo più grande è Laerte, il suo amato bimbo di 5 anni. Una vita piena, sempre in viaggio, in compagnia dei due gatti inseparabili dal nome ‘evocativo’, Ciro e Gennaro, segue la politica statunitense, e scrive anche di ‘viaggi e tendenze’ per il rotocalco Vanity Fair. Rientra in questi giorni nella città natale – sul lungomare – per presentare il suo ultimo libro “YES, WE TRUMP! Chi riuscirà a fermarlo?” dove rappresenta la figura del presidente più controverso della storia americana, con una analisi dei tratti salienti della gestione nei 4 anni alla Casa Bianca: dalla politica estera a quella economica, alle problematiche interne al Paese fino al piano messo in atto per la riconquista della carica nel 2020.

 

Luca Marfé, conoscitore di usi e costumi della politica americana. Cosa ti ha portato fino a lì?

L’America come un destino, il mio. Sognata da sempre, più che attraverso lo schermo di una televisione, nel suono delle parole di mio padre. Desiderata e incontrata, finalmente, proprio subito dopo la sua morte, in quello che è diventato il viaggio della mia rinascita: l’estate della maturità, quella di una vacanza che doveva durare poco più di un mese e che ha disegnato invece larghissimi tratti della mia vita. Los Angeles, New York, Miami. E poi ancora aerei, miglia e miglia di strada, Dio solo sa quante facce, quante storie, quanta vita, appunto.
Un mondo vasto, una sorta di casa a cielo aperto, del cuore e dei sogni.
Quasi 15 anni di residenza e quasi un destino, il mio.

Donald Trump: che cosa ha portato di concreto al popolo americano nel corso della sua presidenza?

La concretezza, appunto.
Il contraltare, per certi versi necessario, a una politica fatta di troppe parole e di troppi pochi fatti. Oramai scollegata dalla realtà del Paese, specie da quella realtà lontana dalle grandi metropoli attraverso le cui lenti (talvolta distorte) siamo abituati a osservare gli Stati Uniti.
Stati Uniti che sono un fenomeno assai più vasto, che studio da sempre, col quale ho avuto la fortuna e la sfrontatezza di mescolarmi, e che ancora sto cercando di capire.
Trump si è rivolto a coloro di cui una certa sinistra “mondialista” aveva pensato di potersi dimenticare: operai, piccoli imprenditori, più in generale conservatori.
Gente per cui il passato non è un oggetto vecchio da prendere e da buttare via, mentre il futuro non è un orizzonte roseo di riforme inevitabili.
The Donald ha vestito i panni del paladino e i suoi elettori gli hanno chiesto di salvarli.
Per certi versi, c’è riuscito.
Ha rappresentato comunque un argine nei confronti di alcuni concetti (l’immigrazione sregolata, ad esempio), ha fatto precipitare le tasse (cosa che piace anche ai miliardari democratici di Manhattan) e ha fatto strillare l’economia come quasi non era successo mai.
Poi è inciampato. Per colpa del Covid e anche per colpa sua, delle sue leggerezze, dei suoi tanti errori.
Per un’analista, però, guai a perdere di vista l’obiettività: la sua America, infatti, gli ha tutt’altro che voltato le spalle.

Il 3 novembre è oramai alle porte: come pensi che finiranno le presidenziali del 2020?

La famosa domanda da un milione di dollari.
A gennaio, avrei risposto «Trump si riconferma al 101%».
Due mesi fa, ho avuto di colpo enormi dubbi.
Oggi, ne sono infine di nuovo convinto o quasi.
Il coronavirus c’è ancora, ma fa un po’ meno paura. I mercati ricominciano a scommettere sull’economia a stelle e strisce e l’economia, a queste latitudini, è più forte di qualsiasi ideologia, che sia di destra o di sinistra.
The Donald, insomma, si sta rimettendo in piedi, nonostante l’altro incubo, quello delle proteste razziali.
Per concludere, dall’altra parte della barricata c’è un candidato come Joe Biden che, generosamente, si potrebbe definire inconsistente, se non addirittura assente, non pervenuto.

Perché hai scritto questo libro, con quale obiettivo?

Nel mio piccolissimo, l’ho scritto perché l’America arriva in Italia solo e soltanto per una sua metà: quella del New York Times, quella di Cnn, che accendono i riflettori su una parte della verità. Ne esiste anche un’altra, ne esiste un’altra metà.
Capire significa puntare un faro anche lì.
Perché come esistono le ragioni degli uni, esistono pure le ragioni degli altri.
Un libro su tutto ciò che non è stato detto né scritto.
Un libro non di parte, ma parte di un’America che, a prescindere dalle idee di ciascuno, vale la pena conoscere, studiare e sognare, come ancora faccio io, come farò sempre.

Advertisement

Cultura

Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

Pubblicato

del

Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

Continua a leggere

Cultura

Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

Pubblicato

del

Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

Continua a leggere

Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

Pubblicato

del

Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto