Collegati con noi

Ambiente

Terra dei Fuochi, lo scienziato Giordano querela De Luca: espressioni ingiuriose sul progetto Veritas

Pubblicato

del

La presentazione dello studio pilota Veritas alla Camera dei Deputati sull’impatto dell’inquinamento da rifiuti in alcune aree della Campania sulla salute pubblica non aveva la pretesta di essere esauriente. Era un  tassello della verità scientifica. Gli scienziati del gruppo Veritas, nel fornire dati parziali (come come onestà annunciato peraltro dagli autori), non poteva non suscitare polemiche tra chi invita a non fare terrorismo mediatico su questo versante e chi invece vuole che la gente venga informata correttamente su connessione tra rifiuti e salute dei cittadini. Per arrivare alla verità, quella terrena, per chi ci crede,  occorre percorrere una strada molto accidentata e piena di polemiche. Che è finita a querele. La firma più importante del progetto Veritas, lo scienziato napoletano Antonio Giordano, ha querelato il presidente della Giunta regionale della Campania. Per alcune affermazioni fatte da quest’ultimo.

 

Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, Temple University di Philadelphia e Professore di Anatomia e Istologia Patologica presso l’Università di Siena, ha reso noto “di aver dato mandato al proprio difensore di fiducia, l’avvocato Giovanni Siniscalchi del Foro di Napoli, di rappresentarlo in ogni opportuna sede giudiziaria per la tutela della sua reputazione e dei tanti ricercatori italiani e stranieri che fanno parte del suo team, nei confronti del Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca per le affermazioni diffamatorie pronunciate oggi a margine di una iniziativa pubblica e riprese da vari media”. “Il governatore – è scritto nella nota di Giordano – ha infatti utilizzato espressioni gravemente denigratorie in relazione ad uno studio epidemiologico pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Journal of Cellular Physiology” che attualmente ha un impact factor di 4.522”.

Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Sempre sopra le righe quando dichiara alla stampa

Ma che cosa ha detto il discusso e discutibile presidente della Giunta regionale Vincenzo De Luca da meritarsi una querela? Nel corso di una manifestazione a Frattamaggiore, in provincia di Napoli,  ha fatto sapere di non aver digerito i risultati del progetto Veritas. E l’ha fatto con i suoi consueti modi verbali, spesso violenti, sopra le righe, scambiando degli scienziati per suoi competitor politici.

“La Regione Campania ha fatto per la Terra dei Fuochi quello che non ha fatto nessuno, siamo gli unici ad aver lavorato nell’area”  ha detto  De Luca rispondendo a una domanda sullo studio Veritas su Terra dei Fuochi. Progetto che ha evidenziato, su un campione di 100 pazienti,  un livello del tutto fuori norma dei metalli tossici nel sangue di malati oncologici residenti nella zona tra la provincia nord di Napoli e quella del basso Casertano. “In questo campo – ha detto De Luca – le cose vanno fatte con serietà e con basi scientifiche, non facendo demagogie e propaganda. I riferimenti in questa materia sono l’Istituto Pascale, le strutture pubbliche e l’istituto zooprofilattico, il resto è propaganda inutile”. Poi De Luca ha passato in rassegna l’impegno della Regione “per le bonifiche delle discariche, per creare i centri di coordinamento interforze, finanziare le pattuglie delle societa’ regionali, per dare ai carabinieri 400 tablet e acquistare i droni, per attivare il registro tumori che iscrive nei dati ufficiali delle Asl tutti i pazienti oncologici e ha attivato l’Istituto zooprofilattico per fare indagini serie”.

Peccato che De Luca non sia stato informato che il Pascale è parte importante del progetto Veritas attraverso l’Istituto scientifico Crom di Avellino. E alla presentazione del rapporto ha contribuito Gerardo Botti, direttore scientifico del Pascale. Che sul progetto Veritas ha sì espresso delle riserve ma l’ha fatto con educazione e con un ragionamento scientifico, non con le solite espressioni scomposte del politico De Luca.

Advertisement

Ambiente

Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

Pubblicato

del

Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

Continua a leggere

Ambiente

Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

Pubblicato

del

Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

Continua a leggere

Ambiente

Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

Pubblicato

del

Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto