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Stati generali? E se fosse una discussione pubblica per produrre analisi, generare proposte e trasformarle in realizzazioni condivise?

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A me pare tutto sommato una buona idea questa degli “Stati generali”. Come dite? Un po’ enfatica come espressione? Sia. Ma ciò è secondario assai. Il principio è chiaro, ed appartiene ai fondamenti della “buona politica”, così come l’ha fissata la grande tradizione del pensiero italiano, fin dal Rinascimento: “così, a chi discorre sopra i fatti e le operazioni loro, è data opportunità di trattare alcuna materia di Stato per traggerne precetti utili al governo civile”. [Dialoghi Politici, I.III, 1]. La parola chiave, per niente casuale in una mente acuta come Paolo Paruta (1540-1598), veneziano, lettore attentissimo di Machiavelli e Guicciardini, è “opportunità”, posta mirabilmente tra il bene supremo della politica, che è lo “Stato”, e la sua suprema necessità, che è il “governo civile”. Sì, insomma, il “buongoverno” proveniente dalla tradizione di Ambrogio Lorenzetti, rappresentato nei mirabili affreschi del Palazzo Pubblico di Siena due secoli prima, alla vigilia, ahimé! della più feroce epidemia della storia umana: la Peste Nera.

D’accordo, d’accordo. Vogliamo dire che è troppo affrettato, come evento, confuso, preparato più come annuncio che come atto politico: e perciò senza metodo, privo di un chiaro impianto concettuale, perfino con qualche dichiarazione contraddittoria? Tutto vero. Ma questa, a bel guardare, è solo l’acqua sporca: non buttiamo, con essa, anche il bambino. Dopotutto, si tratta della prima occasione “nazionale” in cui si ricorre alla cultura della partecipazione come strumento di comprensione dei “fatti e delle operazioni loro”. È una prova anche approssimata, se volete, ma stimolante di trasformare il percorso partecipativo da rozzo stratagemma retorico, come spesso è stato considerato da molte istanze pubbliche negli anni passati, in una autentica energia democratica.  

E concentriamoci allora sull’essenziale. Che annoterei in tre veloci  punti.

  • Il primo concerne la cultura organizzativa. Cercherei di fare tesoro delle esperienze orientate non solo a superare le rigidità pianificatorie, ma proiettate oltre la stessa flessibilità del Piano. Studierei un po’ meglio, perciò, le concezioni e le pratiche dette di “strategie brancolanti”, disponibili da qualche decennio, e proverei a trasformare l’improvvisazione in un asset, come si dice: se l’urgenza malauguratamente impone, la musica jazz insegna, come ricorda il mio amico O. Soubeyran, ricercatore e sassofonista 
  • Il secondo punto riguarda l’ottimizzazione dei risultati. Dagli Stati Generali mi aspetto non uno sciame cosmico, ma qualche indicazione ragionata, documentata, chiara e precisa, che in 5 paragrafi mi dica non solo e non tanto “cosa” devo fare –quello lo sappiamo tutti, ormai, accaniti frequentatori della grande palestra dei social media– ma, piuttosto “come” devo farlo. Voglio dire con quali mezzi: quelli che Senofonte chiamava Poroi, idonei ad assicurare la “tenuta” geopolitica della talassocrazia ateniese. E indicando in una tabellina da scuola elementare, proposta per proposta, con che tempistica realizzativa, a quale scala (locale, regionale, nazionale), istituendo quali compatibilità eventuali, con quale ordine di priorità, se ve ne è uno. 
  • Il terzo punto ha a che fare con la famosa “visione”: la forma-Paese che vogliamo e che, proprio perché la vogliamo e non solo a causa  dell’emergenza, ci accingiamo consapevolmente a fabbricare. Questione tanto cruciale quanto delicata, la “visione politica” non è una deriva irresponsabile della governmentality, non somiglia neppure lontanamente a un’ebbrezza onirica, non descrive nessuna isola che si possa raggiungere senza astrolabio: anche se non c’è, o forse proprio per questo. Dovremmo pensarla, piuttosto, come una sorta di istruttoria progettuale in due mosse. Anzitutto una serie di grandi obiettivi verso cui tendere.

I manager di Stato. Sono immagini di una riunione a Palazzo Chigi con il premier Conte all’epoca del governo Lega-M5s

Come dite? Complicato? Potrebbe non esserlo, se si ha l’accortezza di limitarsi, come al solito, a pochi punti essenziali rubricati, ad esempio, come giustizia sociale e territoriale, greening economico e tecnologico, implementazione dei processi di cittadinanza, tutela delle resilienze comunitarie. Seconda mossa: pensare le cose da fare, individuate nel corso degli Stati Generali, e i modi in cui farle, non già come una serie di occorrenze pur efficaci in sé e tuttavia erratiche, bensì come un sistema di coerenze, esplicite e “tracciabili” rispetto ai grandi obiettivi sopra accennati.    

Spiace perciò, e davvero molto, e in tutta sincerità, che l’opposizione, rifiutando di partecipare agli “Stati generali”, abbia rinunciato a presentare attraverso la discussione pubblica, il proprio contributo di analisi anzitutto, sempre alquanto carente da parte dei decisori politici, e quindi di concreta proposta per la costruzione dei tempi che verranno: e verranno presto, purtroppo. 

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Esteri

Mosca, annullata la marcia della Vittoria

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Mosca e altre città russe hanno annullato la marcia della Vittoria del 9 maggio per ragioni di sicurezza. Lo ha riferito la Tass citando la co-presidente del quartier generale del movimento Elena Tsunayeva. “A causa delle minacce esistenti alla pubblica sicurezza, il quartier generale del Reggimento Immortale russo ha deciso di annullare la marcia del Reggimento Immortale del 2024”, ha spiegato Tsunayeva in conferenza stampa aggiungendo che quest’anno i festeggiamenti del 9 maggio assumeranno la forma di altri eventi.

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Cronache

Caso Ferragni-Balocco, per il tribunale hanno ragione i consumatori: fu pratica scorretta

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La prima sezione civile del Tribunale di Torino ha emesso una sentenza significativa riguardante il caso Balocco, il ruolo di Chiara Ferragni, che hanno attirato l’attenzione nazionale. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato da diverse associazioni, tra cui il Codacons, Utenti dei servizi radiotelevisivi e Adusbef, contro la campagna di beneficenza condotta dall’industria dolciaria Balocco. La campagna in questione era stata realizzata attraverso la vendita di pandori griffati dall’influencer Chiara Ferragni, a favore di un ospedale torinese.

La giudice Gabriella Ratti ha emesso una dichiarazione che conferma le accuse mosse dalle associazioni ricorrenti. Secondo quanto riportato dalle associazioni stesse, la sentenza ha accertato la pratica commerciale scorretta messa in atto dall’azienda Balocco. Inoltre, ha evidenziato l’ingannevolezza dei messaggi diffusi al pubblico riguardo alla natura benefica della campagna associata alla vendita del prodotto.

Questa sentenza rappresenta un importante punto di svolta nel panorama delle pratiche commerciali e delle campagne di beneficenza condotte dalle aziende. Mette in luce la necessità di maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle imprese nell’affrontare iniziative di questo tipo. La decisione del tribunale di Torino sottolinea l’importanza di verificare attentamente le pratiche di marketing e di beneficenza per garantire che siano etiche e rispettose dei consumatori.

Il caso Balocco ha suscitato un dibattito su scala nazionale riguardo alla relazione tra marketing, beneficenza e trasparenza aziendale. È probabile che questa sentenza abbia un impatto significativo sul modo in cui le aziende progettano e promuovono le loro campagne di responsabilità sociale d’impresa, mettendo in evidenza la necessità di una maggiore chiarezza e autenticità nelle loro iniziative benefiche

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Economia

Ue: Italia resta vulnerabile su debito, deficit e crescita

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“L’Italia continua a far fronte alle vulnerabilità legate all’elevato debito pubblico, abbinato a consistenti deficit di bilancio e a una debole crescita della produttività in un contesto di fragilità del mercato del lavoro e di alcune debolezze residue nel settore finanziario”. E’ quanto si legge nelle conclusioni degli esami approfonditi della Commissione europea, nell’ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici del Paese.
“Il rapporto debito pubblico/Pil dell’Italia è diminuito nettamente di circa 15 punti percentuali rispetto al suo picco durante la crisi pandemica, principalmente a causa della forte crescita del Pil nominale, mentre i deficit di bilancio sono rimasti elevati – ricorda l’esecutivo comunitario -. Tuttavia, con il 139,8% del Pil nel 2023 secondo le previsioni autunnali 2023 della Commissione, il rapporto debito pubblico è ancora elevato e si prevede che la tendenza al ribasso si invertirà quest’anno e il prossimo. Ciò è dovuto principalmente a un ampio aggiustamento stock-flussi che incrementa il debito, ancora consistente anche se in diminuzione, ai disavanzi pubblici e a un differenziale tra crescita nominale e tasso di interesse meno favorevole”.
“Inoltre, gli ingenti costi del servizio del debito limitano ulteriormente la portata del governo per quanto riguarda le politiche fiscali a sostegno della crescita. I rischi per la sostenibilità fiscale rimangono elevati nel medio e medio termine nel lungo termine”, afferma anche Palazzo Berlaymont. Sulla produttività la Commissione segnala un “andamento piatto” che riflette “persistenti carenze strutturali” con “condizioni di finanziamento più restrittive” che “smorzano le prospettive di un ulteriore incremento del capitale”.
“Le banche italiane sono ancora notevolmente esposte al rischio di credito sovrano e all’andamento dei prestiti garantiti dallo Stato nei loro bilanci – nota tra l’altro l’Idr della Commissione -. La qualità degli attivi bancari è notevolmente migliorata e la redditività è aumentata parallelamente alla normalizzazione della politica monetaria, anche se le banche potrebbero dover affrontare sfide man mano che l’impatto economico della stretta finanziaria si espande ulteriormente”. “Una materializzazione dei rischi derivanti da queste vulnerabilità potrebbe avere ripercussioni su altri Stati membri attraverso vari canali, di modo che le vulnerabilità abbiano rilevanza transfrontaliera”, afferma tra l’altro la Commissione.
Bruxelles segnala infine nelle proprie conclusioni degli esami approfonditi che “rimane essenziale mantenere il ritmo di attuazione del Pnrr, comprese le misure a sostegno delle competenze e della partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani”.

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