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Cronache

Si schianta in auto, 21 anni fa sterminò sua famiglia

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 Ventuno anni fa aveva fatto scalpore: quella che sembrava una tragica fatalita’, un’esplosione provocata da un’accidentale fuga di gas, era stata invece una strage familiare provocata proprio dal giovane sopravvissuto al crollo, Simone Cantaridi, 25 anni all’epoca. Ieri, alla vigilia dell’anniversario di quella strage, Simone Cantaridi e’ morto a 46 anni finendo con la sua auto contro un albero alla periferia di Prato, citta’ dove era rimasto a vivere dopo aver scontato parte della sua condanna nel carcere cittadino della Dogaia. Un incidente stradale, cosi’ e’ stato classificato nell’immediatezza quanto accaduto, quando ancora non era stata svelata l’identita’ del conducente, la sua tragica storia passata e quella coincidenza di date: il 14 aprile 1999 l’uomo aveva ucciso a Piombino (Livorno), dove abitava, la moglie Sabrina Martinelli, 24 anni, la loro bambina, Vanessa, 4 anni e la sorella Claudia Cantaridi, 27enne. Tutte ferite con un coltello. Poi aveva provocato un’esplosione di gas che aveva ridotto in macerie la loro casa. Un materasso, fu ricostruito all’epoca, aveva salvato Cantaridi. Che per due giorni era stato il superstite, ricevendo le condoglianze anche da parte del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Poi un coltello macchiato di sangue rinvenuto dai vigili del fuoco fu il primo indizio di quanto in realta’ era accaduto in quella casa. Cantaridi ammise quindi quanto aveva fatto, senza pero’ mai spiegare il perche’. Ieri la sua auto, una Fiat Panda, e’ finita contro un albero in via Firenze, nei pressi della stazione ferroviaria di Prato, attorno alle 14. Nessun altro veicolo coinvolto. L’uomo, la prima ricostruzione della polizia municipale, avrebbe perso il controllo della sua vettura forse per l’alta velocita’. Dai primi rilievi non risulta che fosse ubriaco o avesse fatto uso di sostanze stupefacenti. Dentro l’auto nessun documento: si e’ risaliti alla sua identita’ dalla targa della macchina. La procura di Prato sta ora svolgendo accertamenti per verificare se l’uomo abbia lasciato biglietti o tracce utili a rivelare un’altra verita’. Al momento pero’ nessun elemento e’ stato trovato a suggerire l’ipotesi che possa essersi trattato di un suicidio. Dal carcere Cantaridi, condannato prima a 20 anni con rito abbreviato e poi a 16, con il riconoscimento della seminfermita’, era uscito nel 2009 grazie alla buona condotta e all’indulto. Una volta libero aveva trovato lavoro in un supermercato e si era anche sposato, nel 2012. A celebrare il matrimonio il cappellano del carcere, don Leonardo Basilissi, che l’aveva anche aiutato a laurearsi in teologia durante la reclusione. “Da quando e’ uscito dal carcere sino a quando si e’ sposato – ricorda il religioso – e’ stato ospite a casa mia. Era un ragazzo estremamente sereno per come io lo conoscevo, sono sconvolto. Anche a me ha fatto riflettere la data del suo incidente, ma ultimamente lo sentivo poco: era sempre venuto a trovarmi con la moglie ma a questo Natale era venuto solo”.(

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Carcere Lager Beccaria, la Procura di Milano: sulle torture omissioni dai vertici

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Una struttura senza alcun controllo interno, nella quale quel “sistema consolidato” negli anni di pestaggi e torture su ragazzi di 16 e 17 anni con storie problematiche, tra disagio, reati e tossicodipendenza, aveva preso piede indisturbato, almeno fino a qualche mese fa con l’arrivo del nuovo direttore al carcere minorile Beccaria. E’ lo scenario inquietante che viene a galla non solo dagli atti della Procura di Milano, nell’inchiesta che ha portato in carcere 13 agenti della Penitenziaria e alla sospensione di otto colleghi, ma dalle stesse parole degli arrestati nei primi interrogatori.

Il “metodo di violenze” attuato al Beccaria, scrivono l’aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, “ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali”. Tra questi viene citato l’ex comandante della Polizia penitenziaria Francesco Ferone, ieri sospeso e accusato di falso nelle relazioni, “che ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti”.

Per questo le indagini, condotte dalla Squadra mobile e dalla stessa Polizia penitenziaria, vanno avanti per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, ma pure sospette coperture e depistaggi nell’istituto in relazione all’operato degli agenti. Intanto, cinque arrestati su sei (uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e gli altri saranno sentiti nei prossimi giorni), interrogati dal gip Stefania Donadeo, hanno detto di essersi sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Hanno raccontato di essersi trovati a dover affrontare il rapporto coi ragazzi detenuti senza adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure.

In certi casi avrebbero salvato vite intervenendo per tentativi di suicidio o incendi scoppiati. In altri, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione violenta. Nella carte, nel frattempo, si trova uno scambio di mail del gennaio 2023 tra la mamma di un detenuto e l’allora direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti. La madre, dopo aver visto in videochiamata il figlio con “segni di percosse sul viso”, aveva segnalato l’episodio alla direzione. Otto giorni più tardi Menenti le aveva risposto rassicurandola “sull’adozione delle procedure previste nel caso specifico”.

Lo stesso ragazzo, mettendo a verbale l’aggressione subita il 22 dicembre 2022 da tre agenti, ha dichiarato che “mentre si trovava steso a terra davanti all’ufficio del capoposto, ancora ammanettato e sanguinante in volto”, era intervenuta l’allora direttrice “che intimava agli assistenti di togliergli le manette” e “disponeva l’invio in infermeria”. Gli agenti, scrivono i pm, “interrompevano il violento pestaggio solo per l’arrivo della direttrice”, la quale “vedeva il detenuto a terra sanguinante”. Menenti avrebbe preso parte anche al colloquio di un altro ragazzo “con il comandante e la psicologa” su presunte violenze del 18 dicembre 2022. Lo scorso dicembre si è insediato il nuovo direttore Claudio Ferrari, il quale, secondo le parole intercettate degli indagati, non avrebbe più dato “protezione” agli agenti. Nel marzo scorso, quando i vertici avevano deciso infatti di acquisire le telecamere interne, c’era preoccupazione tra i poliziotti, perché “le immagini sono veramente disastrose (…) Non solo schiaffi, calci, pugni…quello a terra”. In un altro dialogo captato una agente diceva ad un collega, ora in carcere, di mettere “un po’ di ghiaccio” sulla mano.

L’altro poco prima le aveva raccontato di aver “battezzato” un ragazzo che faceva “il bulletto”, di averlo colpito tanto forte da farsi male. E mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste al ministro Nordio di riferire in Parlamento, il Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Antonio Sangermano, si è recato oggi al Beccaria con i propri funzionari per ascoltare vertici, personale della struttura e giovani detenuti e stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano già evidenziato anche la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”.

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Ventenne denuncia, stuprata e drogata da due uomini

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Violentata da due uomini in un appartamento alla periferia di Roma dopo essere stata adescata su Instagram. E’ l’incubo vissuto una ragazza romana di 20 anni. La giovane ha presentato denuncia nei giorni scorsi ai poliziotti del commissariato Casilino e sulla vicenda sono subito scattate le indagini. La violenza si sarebbe consumata la settimana scorsa, precisamente il 17 aprile. L’allarme è arrivato il giorno dopo quando il fidanzato, preoccupato perché non riusciva a rintracciarla, è riuscito a localizzarla attraverso il cellulare. L’ha rintracciata davanti a un bar in zona Torre Angela, alla periferia est di Roma.

Quando l’ha raggiunta la giovane era sconvolta, in stato di shock. E’ stata visitata in ospedale e dimessa dai medici con una prognosi di 40 giorni. La ventenne avrebbe raccontato agli investigatori di aver conosciuto i due ragazzi, forse nordafricani, sul social e di aver accettato di incontrarli per un aperitivo. Dopo aver bevuto qualcosa insieme in un locale quei due ragazzi si sarebbero offerti di darle un passaggio fino alla fermata della metropolitana che doveva prendere per tornare a casa. Ma le cose sarebbero andate diversamente. Invece di fermare l’auto davanti alla stazione della metro più vicina si sarebbero diretti in un appartamento alla periferia della città.

Qui sarebbe iniziato un vero e proprio incubo per lei: l’avrebbero narcotizzata e poi l’avrebbero stuprata. Dopo aver raccolto la denuncia la polizia ha avviato le prime indagini. Sono in corso accertamenti da parte degli investigatori per ricostruire con esattezza quello che è accaduto e risalire ai due ragazzi descritti dalla giovane. Sotto la lente, in queste ore, la piattaforma social per individuare chi c’è dietro al profilo utilizzato per dare appuntamento alla vittima e per dare un nome e un volto ai due ragazzi accusati dalla ragazza della violenza. E solo pochi giorni fa nella capitale un’altra giovanissima aveva denunciato di essere stata narcotizzata all’interno di un campo nomadi. Lo scorso 11 aprile una quattordicenne fu soccorsa, in stato confusionale, da una pattuglia della polizia locale nel campo di via Salone dove vive con la famiglia. Raccontò di essere stata drogata nei giorni precedenti all’interno dell’insediamento.

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Caso Ferragni-Balocco, per il tribunale hanno ragione i consumatori: fu pratica scorretta

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La prima sezione civile del Tribunale di Torino ha emesso una sentenza significativa riguardante il caso Balocco, il ruolo di Chiara Ferragni, che hanno attirato l’attenzione nazionale. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato da diverse associazioni, tra cui il Codacons, Utenti dei servizi radiotelevisivi e Adusbef, contro la campagna di beneficenza condotta dall’industria dolciaria Balocco. La campagna in questione era stata realizzata attraverso la vendita di pandori griffati dall’influencer Chiara Ferragni, a favore di un ospedale torinese.

La giudice Gabriella Ratti ha emesso una dichiarazione che conferma le accuse mosse dalle associazioni ricorrenti. Secondo quanto riportato dalle associazioni stesse, la sentenza ha accertato la pratica commerciale scorretta messa in atto dall’azienda Balocco. Inoltre, ha evidenziato l’ingannevolezza dei messaggi diffusi al pubblico riguardo alla natura benefica della campagna associata alla vendita del prodotto.

Questa sentenza rappresenta un importante punto di svolta nel panorama delle pratiche commerciali e delle campagne di beneficenza condotte dalle aziende. Mette in luce la necessità di maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle imprese nell’affrontare iniziative di questo tipo. La decisione del tribunale di Torino sottolinea l’importanza di verificare attentamente le pratiche di marketing e di beneficenza per garantire che siano etiche e rispettose dei consumatori.

Il caso Balocco ha suscitato un dibattito su scala nazionale riguardo alla relazione tra marketing, beneficenza e trasparenza aziendale. È probabile che questa sentenza abbia un impatto significativo sul modo in cui le aziende progettano e promuovono le loro campagne di responsabilità sociale d’impresa, mettendo in evidenza la necessità di una maggiore chiarezza e autenticità nelle loro iniziative benefiche

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