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Economia

Schiavo, Confesercenti: dibattito su chiusure negozi è stucchevole, lo Stato smetta di massacrare la categoria con tasse e balzelli e si occupi dell’online

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Ci sono luoghi battuti dai turisti in centro dove è meglio ed è giusto tenere i negozi aperti anche di domenica e nei giorni festivi. Ci sono posti dove conviene osservare turni di chiusura, in periferia per esempio. I commercianti sono in difficoltà a causa delle eccessive tasse imposte dallo Stato e per la sperequazione assurda rispetto ai negozi online. Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Interregionale (Campania e Molise) fa dei ragionamenti e li basa anche su dati, non su chiacchiere. I dati sono quelli di Unioncamere/Confesercenti per l’ultimo trimestre 2019 che danno comunque il saldo iscrizioni/cessazioni di attività imprenditoriali in Campania in positivo di 1465 imprese. In Italia e in Campania torna il dilemma dei negozi aperti, o meno, di domenica. Una questione sempre aperta sulla quale Confesercenti Campania ha le idee molto chiare.

“L’apertura delle nostre imprese nel giorno di domenica è dettato unicamente – spiega Schiavo,  – per necessità, dal momento che diventa un’opportunità per incassare a fronte di una crisi economica sempre presente. Bisogna fare una diversificazione, tuttavia, tra la zona del centro storico, di Napoli e delle altre città campane, o quelle investite dai flussi turistici costanti, dove vale la pena stare aperti anche di domenica, e le zone più periferiche dove il gioco non vale la candela. Nel primo caso i costi e i ricavi si mettono in positivo. È su questo ragionamento che Confesercenti si interroga. E la domenica aperta per i commercianti diventa un modo di offrire un servizio al consumatore ma soprattutto per necessità di dover incassare a fronte di una pressione fiscale insostenibile. L’imprenditore – continua Schiavo – ha il bisogno di portare a casa degli utili perché è socio di minoranza dello Stato pagando sino al 68-70% di tasse, e quindi lavorare di domenica diventa una necessità e non una scelta”. Vincenzo Schiavo, inoltre, invoca l’intervento dello Stato sulla pressione fiscale anche in relazione al proliferare dei negozi online. Questa sì una iattura per il commercio. Non sempre dietro queste iniziative on line ci sono aziende in regola e talvolta parliamo di società difficili da ricondurre dal punto di vista fiscale. E questa è una concorrenza sleale con i commercianti che hanno il negozio fisico.

“È urgente e necessario che lo Stati legiferi per frenare il grande tsunami che è l’online, composto da grandi piattaforme e imprenditori che fanno capo a soggetti giuridici presso altri paesi, dove c’è una pressione fiscale pari al 5-7%, pur vendendo gli stessi prodotti dei nostri negozi sotto casa. E così accade che se su 100 euro di incasso i nostri imprenditori danno 70 euro allo Stato e trattengono per loro appena 30 euro, il grande player online sugli stessi 100 euro ne incassa 93-95. Non è giusto, non si gioca con le stesse regole. Lo Stato intervenga affinché questi grandi imprenditori online versino quanto dovuto allo Stato in cui effettivamente operano. Sarebbe questo un mezzo utile anche per ridurre ad un massimo di 35-40% la pressione fiscale sui nostri imprenditori”.

Commercio online. Il presidente di Confesercenti Schiavo denuncia la disparità di trattamento fiscale

Schiavo commenta poi gli ultimi dati Unioncamere sullo Stato di salute delle attività commerciali. “C’è finalmente una tendenza positiva, ma i problemi restano e le tasse sono sempre le stesse. Le difficoltà restano e riguardano soprattutto le piccole imprese. Si tenga conto, tra le altre cose, che il commercio e il terziario negli ultimi 10 anni sono stati protagonisti di svariati cambiamenti, subendo vessazioni (liberalizzazione, orari, come di lavoro come l’online) e i mutamenti del costo del lavoro”.

I dati Unioncamere su attività commerciali nate e attività cessate a giugno 2019

Il secondo trimestre del 2019 in Italia si è chiuso con un saldo attivo di 13.848 unità. È questo il bilancio fra le imprese nate (66.823) e quelle che hanno cessato l’attività (52.975) secondo i dati Unioncamere/Infoimpresa. Il segno positivo conforta. A riguarda sostanzialmente le grandi società di capitali, laddove le piccole e piccolissime imprese continuano ad essere in difficoltà, e il tasso di crescita del trimestre (+0,23%) resta tra i più contenuti dell’ultimo decennio con riferimento al periodo giugno-settembre. Per quanto riguarda la Campania, in ogni caso, i dati del terzo trimestre 2019 dicono che le iscrizioni sono salite a 6682, con 5217 cessazioni di attività (saldo positivo di 1465), con 595.239 imprese iscritte al 30 settembre 2019. A Napoli, per il terzo trimestre, 3420 le imprese iscritte e 2608 quelle cessate, con un saldo di 812 e un tasso di crescita di 0.27%. E se Napoli è la 23esima provincia d’Italia, Caserta è sesta: 1232 iscrizioni, 808 cessazioni, 0.45% di crescita. 46esima Salerno (1290 iscrizioni, 1029 cessazioni, tasso dello 0,22%), negli ultimi posti Benevento (263 iscrizioni, 267 cessazioni, 0,01% tasso di crescita) e Avellino (477 iscrizioni, 505 cessazioni, 0,06% tasso).

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Svimez: al Sud default infrastrutture, male su treni e sanità

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Non si colma il forte gap di infrastrutture tra Nord e Sud. Nel Mezzogiorno infatti i binari ferroviari sono pochi, l’ Alta Velocità serve solo la Campania, tram e metropolitane sono praticamente inesistenti e il grado di soddisfazione per bus e pullman è nettamente più basso rispetto alle altre aree del paese. Per non parlare della sanità, dove il numero di letti nelle case di cura per abitante è ampiamente inferiore rispetto al resto del paese e il divario con il Centro-Nord è “macroscopico” sulle strutture per l’assistenza degli anziani. E’ il quadro dipinto dalla Svimez nell’audizione alle Camere sul federalismo fiscale.

Per i trasporti in particolare, secondo la Svimez sono numerosi gli indicatori che evidenziano il divario territoriale nella dotazione di infrastrutture. Per quanto riguarda l’infrastruttura ferroviarie, le linee in esercizio gestite da Rfi si sviluppano al Sud su 5.717 km, pari al 34% del totale nazionale, mentre la lunghezza dei binari è pari a 7.528 km ovvero il 30% del totale nazionale. Ma al di là della sottodotazione quantitativa di binari nel Mezzogiorno, in sé relativamente contenuta, sono i requisiti prestazionali della rete a evidenziare i maggiori divari. Significativo è l’indicatore relativo alla quota di linee classificate come ‘fondamentali’ e ‘di nodo’ (queste ultime presenti solo in Campania), che al Sud interessa solo il 21,4% dell’intera estesa contro una percentuale più che doppia al Centro-Nord (53,5%). Enorme anche il gap nell’elettrificazione della rete: 58,2% al Sud contro l’80% medio al Centro-Nord.

Infine la rete a doppio binario è pari al 31,7% nel Mezzogiorno a fronte del 53,4% delle regioni centro-settentrionali. Per quello che riguarda poi l’Alta Velocità, nelle regioni meridionali lo sviluppo è di 181 km (interamente in Campania), ovvero appena il 12,3% del totale nazionale. Quanto invece ai sistemi di trasporto urbano, le città capoluogo del Sud dispongono di una dotazione complessiva di reti tramviarie pari a 42,6 Km ovvero l’11,2% del totale nazionale e di reti metropolitante pari a 25,7% (13,5% del totale nazionale). Carenti anche i servizi di trasporto pubblico, qualitativamente di livello inferiore al Sud rispetto al resto del paese: nel 2022 gli utenti soddisfatti dell’autobus sono stati il 55,7%, quasi 10 punti in meno rispetto alla media nazionale.

Per quello che riguarda invece le infrastrutture sanitarie la Svimez ha valutato la disponibilità a livello regionale di posti letto nelle strutture sanitarie residenziali e semiresidenziali, “destinate a rappresentare sempre di più le strutture per il primo presidio di cura a livello territoriale”. In questo comparto mette in luce la “grave sotto dotazione” delle regioni meridionali, che registrano tutte valori inferiori alla media nazionale di 553 posti letto per 100.000 abitante. E particolarmente deificitaria la situazione della Sicilia (98 posti), Campania (114) e Basilicata (128). Per quello che riguarda invece le dotazioni regionali di posti residenziali per anziani nelle strutture territoriali per 1.000 residenti, a fronte di una disponibilità media di 15,2 posti in Italia la situazione peggiore si registra sempre in Sicilia (1,2), Basilicata (1,4) e Campania (1,8). Infine per quello che riguardano i servizi idrici, la regione italiana caratterizzata dalla quota significativamente più elevata di popolazione regionale senza accesso al servizio di depurazione dell’acqua è la Sicilia, pari al 13,1%, mentre significativo è anche il ritardo della Calabria (5,3%) e della Campania (4,4%). Percentuali, queste, che si confrontano ad esempio alle regioni del Nord Est (0,4%) e del Nord Ovest (0,6%) e a una media italiana del 2,2%.

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Dl Pnrr diventa legge con fiducia, scontro su consultori

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Tra mille polemiche e una maggioranza sempre più lontana dall’opposizione, passa al Senato con 95 sì, 68 no e un astenuto il decreto che contiene misure aggiuntive per l’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il provvedimento, che aveva già ricevuto il via libera dalla Camera il 18 aprile, diventa così legge. Ma lo scontro in Aula è aspro soprattutto su alcune misure come quella che consente alle associazioni Pro-Vita di entrare a pieno titolo nell’ organizzazione dei Consultori. Per le senatrici Valeria Valente (Pd) e Alessandra Maiorino (M5S) si tratta, in realtà, di un “attacco bello e buono” alla legge e di “una mano tesa” agli “antiabortisti”. E questo, incalza Tino Magni (Avs), “nella convinzione patriarcale che le donne non siano capaci di scegliere liberamente, che non siano capaci di autodeterminarsi”.

Ma a far discutere c’è anche la norma che dà lo stipendio a Renato Brunetta – già professore in pensione, ex ministro ed ex parlamentare – da presidente del Cnel. Gli interventi più duri su questo fronte sono quelli di Alessandra Maiorino e di Matteo Renzi, anche se quest’ultimo, alla fine, non vota, così come il leader di Azione, Carlo Calenda. Secondo la senatrice del M5S si tratta di “una ricompensa” data a Brunetta per “aver smontato”, come Cnel, “il reddito di cittadinanza”. Mentre il fondatore di Italia Viva parla direttamente di “marchettificio” visto che con questo decreto non solo “si viola la legge Madia” per garantire lo stipendio al presidente del Cnel “con i soldi dei nostri figli”, “ma si prevedono anche molte assunzioni” che nulla c’entrano con il testo. Il ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNNR, Raffaele Fitto, prova in tutti i modi a difendere il decreto in Aula assicurando che si tratta di un testo sul quale “c’è già stato un ampio confronto in Europa”, che contiene “misure” adeguate e che “non toglie 1 euro alla sanità”, ma l’opposizione continua ad attaccare “soprattutto sui tempi” ristrettissimi che al Senato sono stati concessi per esaminare il provvedimento.

Così, mentre la ministra per il Turismo, Daniela Santanché, elogia la “riforma epocale per le guide turistiche” contenuta nel decreto, il segretario della Cgil, Maurizio Landini, presente al presidio organizzato dalla Cgil davanti a Palazzo Madama contro il provvedimento, accusa direttamente il governo “di un disegno autoritario” contro il quale invita tutti “a scendere in piazza”. Nel Senato, dove nel frattempo si apprende che il 6 maggio arriverà la statua sulla maternità dell’artista Vera Omodeo, che il Comune di Milano aveva rifiutato, il dibattito non si placa fino al momento del voto. Il presidente dell’Udc Antonio De Poli difende la norma sui consultori osservando come non sia “un reato aiutare le donne a scegliere la Vita”, mentre la senatrice del M5S Ketty Damante non ha dubbi: “Il decreto è solo un modo per il governo di provare a nascondere il totale fallimento nella gestione del Piano”. “Stiamo attentissimi quando in futuro l’Ue ci proporrà altre forme di debito – dichiara il leghista Claudio Borghi – perché le sirene hanno già iniziato a suonare e questo lo dico anche agli alleati”.

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Bonus 100 euro in tredicesima per redditi fino 28mila euro

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Un’indennità fino a 100 euro nelle tredicesime dei lavoratori con reddito fino a 28mila euro con moglie e almeno un figlio, anche se nato fuori del matrimonio riconosciuto, adottivo o affidato. Lo prevede una nuova bozza del decreto legislativo Irpef-Ires atteso oggi in consiglio dei ministri. Il bonus, si spiega nella bozza della relazione illustrativa, “a causa della limitatezza delle risorse disponibili” sarà corrisposto per il solo 2024 “ai lavoratori che si trovano in condizioni economiche di particolare disagio, anche in considerazione della presenza, nel nucleo familiare, di familiari a carico fiscalmente”.

– Con l’articolo 4 del decreto, che prevede ‘disposizioni in materia di benefici corrisposti in occasione dell’erogazione della tredicesima’, si stabilisce che, “in attesa che sia introdotto un regime fiscale sostitutivo” per i redditi da lavoro dipendente, “per ragioni di semplificazione normativa” si mantiene “l’ordinario regime di tassazione delle tredicesime e prevedendo, nel contempo, la restituzione, sotto forma di indennità, di un importo che non potrà essere superiore a 100 euro, importo corrispondente al maggior prelievo tributario che si verifica rispetto all’applicazione di un’imposta sostitutiva”, si spiega nella bozza della relazione illustrativa.

Per beneficiare dell’indennità il lavoratore deve trovarsi nelle seguenti condizioni: deve possedere un reddito complessivo nell’anno non superiore a 28.000 euro; deve avere un coniuge e almeno un figlio, anche se nato fuori del matrimonio riconosciuto, adottivo o affidato, che si trovano nelle condizioni reddituali previste dall’articolo 12, comma 2, del TUIR (reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, limite elevato a 4mila euro per i figli fino a 24 anni); deve avere capienza fiscale con riferimento ai redditi di lavoro dipendente percepiti. L’ammontare dell’indennità andrà definita con un decreto del ministero dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 15 novembre 2024, sulla base delle maggiori entrate erariali derivanti dall’attuazione del concordato preventivo biennale delle Partite Iva.

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