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RestiAMO al SUD fa tappa a Santa Maria di Leuca

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Come già abbiamo avuto modo di raccontare con la tappa ad Otranto di RestiAMO al SUD, il Salento è magnifico, con le sue bellezze naturali ancora selvagge, l’eleganza delle cittadine che conservano le caratteristiche linee medioevali e la gentilezza sobria dei Pugliesi, che ancora vivono in armonia con i loro territori e li preservano e valorizzano non solo con un’offerta turistica rivolta quasi sempre ad ospiti sensibili ed attenti, ma anche attraverso la trasformazione dei prodotti dell’eccellenza enogastronomica locale, della terra e del mare, che tramutano in sapori unici.

Proseguendo ora verso l’estremo Sud di questa Regione straordinaria, giungiamo alla punta del “tacco” d’Italia dove l’Adriatico  e lo Ionio si fondono in una cornice incantata: Santa Maria di Leuca, con la sua costa costituita da insenature carsiche che animano calette e grotte che lasciano incantati. Tra le tante meritano di essere citate e sicuramente visitate: “La Grotta delle Tre Porte, il cui ingresso è costituito appunto da tre arcate naturali, oppure la Grotta del Soffio, romantica e suggestiva, e non per ultima la Grotta del Diavolo, con il suo caratteristico scoglio interno che ricorda la testa di un demone che ha così animato miti e leggende tramandati di generazione in generazione. Nel tempoin questo panorama così suggestivo, si sono aggiunte ville dall’accattivante stile

eclettico, edificate o trasformate soprattutto nel XIX secolo, e tra le più belle possono essere sicuramente annoverate l’arabeggiante Villa Mellacqua e Villa La Meridiana(oggi un resort esclusivo), immerse nel verde della Macchia mediterranea e con una vista sull’incontro tra Adriatico e Ionio davvero privilegiata.

Questo luogo è tra gli avamposti più suggestivi dove poter godere dell’intensità dei colori smeraldo e turchese del mare, che dall’alto delle ripide scogliere ci invitano a volare in alto, rivolti verso le Terre d’Oriente. Il richiamo è forte ed è millenario, perché qui la vicinanza con le coste Slave, Albanesi e soprattutto con le isole Greche, ha da sempre favorito l’incontro e lo scontro con le più importanti Civiltà del passato, come quelle della Magna Grecia e di Bisanzio, la cui testimonianza oggi è possibile leggere sia nei segni inconfondibili delle geometrie architettoniche, sia nella cultura e dunque nel sangue dei popoli che qui hanno trascorso la loro esistenza e che hanno così fuso e tramandato usanze che sono diventati usi, quindi costumi locali.

 

Allora, forse perché nell’aria di questo posto viaggiano ancora i ricordi di antichi sogni, oppure perché in qualche angolo del DNA dei pugliesi è scritta anche la storia di questo scambio di anime, di fatto oggi Santa Maria di Leuca ospita la sede dell’ Aviazione Marittima Italiana, ora una realtà nazionale, che con i suoi idrovolanti ad uso civile, impiegati per lo più nel campo turistico e commerciale, ha riportato in cielo una storia del volo per anni abbandonata, e così ripercorso rotte aeree che ricalcano quelle nautiche, che da sempre nella storia sono state percorse dei naviganti di questo angolo di paradiso anche chiamato Mediterraneo. Lo scopo dell’Associazione coincide dunque con l’antico richiamo all’incontro con altri “lidi”. Così, attraverso il decennale impegno di un grande pugliese, Orazio Frigino, con un passato da pilota militare di punta dell’Aeronautica Militare Italiana e poi manager internazionale per un notissimo marchio di moda, assieme agli amici dell’Aviazione Marittima, si concretizzafinalmente la possibilità di una rete di idroscali salentini da collegare con altre regioni e con altre nazioni, come appunto nel caso del progetto SWAN, patrocinato dalla UE e che oggi riesce ad esempio a collegare Corfù con Santa Maria di Leuca in poco più di mezz’ora. Per questo si può decollare al mattino per non perdere nulla di una giornata che diventerà sicuramenteindimenticabile, quando il sole inizia ad aprire lo spettacolo di colori sul mare che visto da un’altezza di mille metri toglie il respiro. L’azzurro del cielo si fonde con quello del mare facendoesultare la vista, mentre i primi echi di terraferma iniziano quasi subito ad affacciarsi sulla linea dell’orizzonte. Venti minuti di volo e già si inizia ad impostare la discesa che porterà dritti all’approdare sullo specchio d’acqua dell’isola di Corfù, con il costante privilegio di una visuale unica. Il contrasto tra la vastità del mare che la divide con l’Italia e la possibilità di averlo potuto percorrere in così poco tempo, con un piccolo aereo da quattro posti, rende tutto ancora più magico. Il velivolo, grazie ai suoi “scarponi” che gli consentono di galleggiare sull’acqua come un’imbarcazione, si adagia dolcemente tra piccoli sbuffi bianchi che sembrano così voler salutare il passaggio tra cielo e mare, due dimensioni fluide tanto differenti eppure tanto simili.

Dopo un’esperienza così intensa, ritornati nella nostra perla salentina, guardando il mare e tutto il paesaggio circostante dal Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae ed annessa Chiesa dell’Annunciazione, incastonate su di una vera e propria terrazza a picco sul mare dove trova dimora anche il vecchio faro, sembra ancora di volare. Così questo luogo si arricchisce di un fascino straordinario, qui dove l’anima è stata sempre chiamata ed andare oltre, oggi è possibile farlo anche fisicamente, immersi in una dimensione dove i sensi ed il cuore, lo spazio ed il tempo, si fondono in un’unica emozione.

 

Per info Aviazione Marittima Italiana: segreteri@aviazionemarittimaitaliana.it

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Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

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Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

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Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

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Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

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Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

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Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

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