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Cronache

Pure Cafiero de Raho molla Bonafede, e il centrodestra approfitta e presenta una mozione di sfiducia al ministro

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Lo scontro politico sulle scarcerazioni dei mafiosi sfocia in una mozione di sfiducia. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che si è sottoposto al fuoco di fila del question time alla Camera e al Senato, non ha convinto le opposizioni e anzi e’ riuscito a coalizzarle nella presentazione di una mozione di sfiducia. A depositarla, a Palazzo Madama, è stato il leader della Lega Matteo Salvini, con il supporto di Fratelli d’Italia e dei forzisti di Silvio Berlusconi. “Vogliono sfiduciarlo perchè è un ministro scomodo. C’è tutto un mondo di potenti ammucchiati in difesa del loro potere e dei loro interessi per cui Bonafede è un ministro scomodo”, si legge in un post sul blog del M5s. Sta di fatto che il 13 maggio la mozione sarà discussa e l’unica strada per evitarla è che il ministro intervenga con una informativa ad hoc. Una doccia fredda sul Guardasigilli – che ha ribadito che non c’e’ stata “nessuna interferenza” nella sua decisione di non nominare a capo del Dap nel 2018 l’allora pm antimafia Nino De Matteo – è arrivata anche dal Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, che ha detto che l’uscita dal carcere dei condannati per mafia si poteva evitare e che “ci si è lasciati prendere dal rischio del contagio”. Bonafede non ha placato gli animi nonostante abbia confermato di essere al lavoro su un decreto che consenta ai magistrati di sorveglianza di rivedere le decisioni che hanno mandato ai domiciliari i boss tenendo presente il mutato contesto epidemiologico, e gli strumenti messi in campo contro il Covid. Il Guardasigilli ha battuto il tasto sul fatto che le scarcerazioni sono avvenute in forza di norme “in vigore” prima dell’avvento del Coronavirus e che il governo e la sua azione specifica contro il crimine organizzato “non verra’ mai meno”.

Centrodestra unito. Tutti e tre i leader hanno firmato la mozione di sfiducia a Bonafede

Intanto pero’ sono usciti dalla cella 376 detenuti legati ai clan: mafiosi che, secondo De Raho, “potevano essere assegnati a centri di cura penitenziari, invece si e’ optato per i domiciliari perche’ ci si e’ lasciati prendere dal rischio del contagio”. “Non si comprende perche’ ci fosse questa preoccupazione – ha proseguito De Raho – dato che si tratta di detenuti in isolamento e dunque impossibili da contagiare, bastava un termo scanner”. Invece, “l’amministrazione penitenziaria ha lasciato intendere di non essere in grado di escludere il rischio del contagio, spostando la responsabilita’

Il ministro Guardasigilli. Bonafede

sui tribunali”. Insomma, uno scaricabarile. Come se non bastasse De Raho ha reso noto di aver saputo solo con un mese di ritardo che il 21 marzo il Dap aveva chiesto agli istituti penitenziari di fare un report sulle condizioni di salute dei detenuti per valutare la compatibilita’ col carcere. “L’Italia non puo’ permettersi di tenere in carica un ministro che con le sue scelte scellerate ha consentito la scarcerazione di mafiosi, boss compresi, vanificando il lavoro di migliaia di servitori dello Stato e umiliando le famiglie delle vittime della mafia.

 

 

Spero che il Parlamento abbia, almeno su questo, un sussulto di dignita’”, ha dichiarato Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Sul web viaggia a gonfie vele la petizione contro le scarcerazioni promossa dal centro di formazione intitolato al magistrato Antonino Caponnetto, 24mila le firme raccolte in un giorno. Si chiede che le domande per i domiciliari vengano esaminate con il concorso della Direzione nazionale antimafia e quello delle Dda distrettuali, come ha previsto Bonafede nella sua corsa ai ripari iniziata anche con la nomina di un nuovo capo al Dap, il Procuratore generale della Corte di Appello di Reggio Calabria, Dino Petralia, che ha ricevuto il via libera al collocamento fuori ruolo dal Csm per assumere l’incarico a Via Arenula.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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