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Paura contagio coronavirus, anche Trump dichiara l’emergenza nazionale negli Stati Uniti

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Donald Trump ha deciso di dichiarare l’emergenza nazionale negli Stati Uniti dove cresce di ora in ora l’allarme per la diffusione del coronavirus, con i 1.900 casi superati in tutto il Paese ed almeno 41 morti. L’annuncio, salvo clamorose sorprese, in una conferenza stampa convocata in risposta alle polemiche sul numero insufficiente di test compiuti negli Usa e in vista del G7 straordinario di lunedi’ in cui i leader delle potenze mondiali si confronteranno sull’evoluzione della pandemia e sulla necessita’ di una risposta coordinata. Intanto pero’ a Washington tiene banco il caso Bolsonaro e del suo portavoce Fabio Wajngarten, risultato positivo ai test del Covid-19. Entrambi nel weekend scorso erano a Mar-a-Lago, la residenza di Donald Trump a West Palm Beach, in Florida, ma sia il tycoon sia il vicepresidente Mike Pence hanno finora rifiutato di sottoporsi al tampone, nonostante le immagini che li ritraggono vicini a Wajngarten. In attesa dei risultati del test, invece, il senatore Lindsay Graham, anch’egli presente all’incontro del fine settimana. Risultati che hanno gia’ confermato positivo il sindaco di Miami Francis Suarez, che ha a sua volta ricevuto la delegazione brasiliana nel suo ufficio. Lo spettro del propagarsi dell’infezione, dunque, aleggia sulla Casa Bianca, dove ore febbrili sono seguite alla notizia che Bolsonaro era risultato positivo, poi rivelatasi infondata ma intanto girata su gran parte dei media mondiali. Notizia poi smentita dallo stesso leader brasiliano che ha postato su Facebook i risultati degli esami e una sua foto mentre provocatoriamente compie il gesto dell’ombrello. Intanto pero’ una riunione d’urgenza era stata gia’ convocata nell’ufficio del capo dello staff di Trump, a pochi metri dallo Studio Ovale, e il pressing sulle due piu’ alte cariche dello Stato perche’ si sottopongano ai test si starebbe facendo sempre piu’ insistente con il passare delle ore.

Ad accrescere la preoccupazione della Casa Bianca, poi, anche l’incontro giorni fa di Ivanka Trump e del ministro della Giustizia americano William Barr con il ministro degli Interni australiano, Peter Dutton, risultato positivo al coronavirus. Un meeting testimoniato anche da una foto scattata all’ambasciata australiana a Washington. Dichiarando lo stato di emergenza nazionale Trump assicura che vengano liberate nuove risorse per assistere gli americani colpiti dall’epidemia, dando al presidente piu’ poteri per usare i 40 miliardi di dollari del fondo anticalamita’. Mentre il segretario al Tesoro Steve Mnuchin ha assicurato che la Casa Bianca e il Congresso sono vicini ad un accordo sul piano di stimolo destinato a sostenere l’economia ed allontanare l’incubo della recessione. La situazione si fa pero’ sempre piu’ difficile. Oramai 48 Stati Usa su 50, piu’ il District of Columbia dove si trova la capitale federale Washington, presentano casi di contagio. E le ripercussioni si fanno sentire anche sulla campagna elettorale, con la Louisiana che e’ diventata il primo Stato a decidere di spostare la data delle sue primarie programmate per il 4 aprile. La situazione piu’ preoccupante del Paese si registra comunque a New York, dove i casi sono raddoppiati in 24 ore sfiorando quota 100 ma con circa 1.800 persone in quarantena volontaria e tanti altri in attesa dei test. Mentre nell’intero stato di New York i casi sono oltre 300. Cosi’ la metropoli si prepara alla possibilita’ di un vero e proprio lockdown, con la chiusura di scuole, negozi e uffici dopo lo stop gia’ deciso per musei, teatri, arene e per tutti gli assembramenti con piu’ di 500 persone. Nei cassetti del sindaco Bill de Blasio e del governatore dello Stato Andrew Cuomo sarebbero pronti anche piani straordinari ed eccezionali da far scattare nel ‘worst case scenario’: misure drastiche come il quasi fermo della rete della metropolitana o il blocco dei ponti che collegano l’isola di Manhattan al resto della citta’.

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Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

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C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

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Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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Israele attacca l’Iran, forti esplosioni nei pressi di Esfahan

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La televisione ufficiale iraniana riporta “forti esplosioni” nei pressi di Esfahan. L’Iran ha attivato la propria difesa aerea dopo le notizie di un’esplosione. Lo stato islamico ha anche chiuso lo spazio aereo su Teheran e altre città. Attacchi nel sud della Siria vengono registrati da attivisti locali citati dall’Afp.

Alcuni droni sono stati “abbattuti con successo” dalla difesa aerea iraniana, ma non ci sono informazioni riguardo un possibile attacco missilistico “al momento”. Lo afferma il portavoce dell’agenzia spaziale iraniana. “Al momento non c’è stato alcun attacco aereo al di fuori di Esfahan e in altre regioni del Paese”, ha detto Hossein Dalirian in un messaggio pubblicato su X. I siti nucleari nei pressi di Esfahan sono in “totale sicurezza”. Lo rendono noto le autorità iraniane citate dai media locali.

Tre funzionari iraniani hanno confermato che un attacco ha colpito una base aerea militare vicino alla città di Esfahan, nell’Iran centrale, ma non hanno detto quale Paese abbia organizzato il raid.

Una fonte militare ha riferito a Fox News che l’attacco israeliano condotto in Iran è “limitato”. Il Pentagono, per il momento, non ha ancora confermato il raid.

L’esercito israeliano ha affermato di non voler commentare “per il momento” le esplosioni registrate nei pressi di una base militare nel centro dell’Iran. “Non abbiamo alcun commento da fare per il momento”, ha detto un portavoce dell’esercito”.

La base ospita da tempo la flotta iraniana di F-14 Tomcat di fabbricazione americana, acquistati prima della rivoluzione islamica del 1979. Nella zona di Esfahan ci sono anche siti associati al programma nucleare iraniano, compreso il sito sotterraneo di arricchimento di Natanz, che è stato ripetutamente preso di mira da sospetti attacchi di sabotaggio israeliani. Tuttavia, la televisione di stato iraniana ha descritto tutti i siti della zona come “completamente sicuri”.

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