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Patriciello e Giordano, le preoccupazioni del prete e l’anatema dello scienziato per i silenzi delle istituzioni sulla Terra dei Fuochi

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Ospiti di Juorno Live Interview, due protagonisti della battaglia nella Terra dei Fuochi: il parroco di Caivano, padre Maurizio Patriciello e il professor Antonio Giordano, oncologo, scienziato di fama mondiale e direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia. In questi anni padre Maurizio ha denunciato con forza l’avvelenamento della Terra dei Fuochi per mano di imprenditori e camorristi senza scrupoli, che operavano in regime di evasione fiscale e bruciavano nei roghi tossici i loro scarti industriali. E in questi mesi drammatici non ha mai fatto mancare il suo sostegno ai poveri della sua comunità. Il professor Giordano è stato invece l’autore di uno dei pochi studi ambientali sull’inquinamento della Terra dei Fuochi, e ha dovuto scontrarsi con il violento negazionismo di una parte della politica regionale della Campania.  

Padre Maurizio, si parla tanto dell’emergenza sanitaria che ha colpito il Paese. Con lei vorrei però affrontare un’altra epidemia, quella sociale. Lei è molto impegnato nel sociale; come vanno le cose al Parco Verde di Caivano e nelle altre periferie?

Partiamo dalla questione Terra dei Fuochi. Da sempre denunciamo che nei roghi tossici non brucia l’immondizia degli abitanti, ma gli scarti delle industrie che lavorano in regime di evasione fiscale; inoltre c’erano gli scarti provenienti dal centro-nord negli anni passati. L’attenzione dei nostri politici sul tema non è mai stata un granché. Quando a De Luca dissi delle fabbriche che bruciano gli scarti nei roghi tossici, mi rispose “lo so, ma con questa disoccupazione…”; allora andiamo avanti così, come all’Ilva di Taranto, costringendo la gente a scegliere fra lavoro e salute. E’ un ricatto disumano. Con la pandemia il problema sociale è venuto a galla in modo prepotente. Già nelle prime settimane dopo il lockdown qui in chiesa c’era un viavai di persone che chiedevano qualcosa da mangiare; sono venuti meno il lavoro precario e il lavoro nero, c’è stata la fame. Abbiamo dato una mano alle persone in difficoltà per tutta la pandemia.

Padre Maurizio Patriciello. Il battagliero prete anticamorra del Parco Verde di Caivano

Ha avuto una mano anche dagli enti locali o ha dovuto fare tutto da solo? 

Un piccolo aiuto è arrivato dagli industriali di Caivano, che ci hanno fornito dei buoni da 15 euro a famiglia. Poi ci aiutato tanta gente che già conoscevo, fra cui il nostro amico Catello Maresca, che una mattina, insieme ai giovani della sua associazione, ha scaricato un camion con ogni ben di Dio. Mi è dispiaciuto molto che, mentre noi stavamo tremando per la salute della nostra gente, c’erano altri che in quegli stessi momenti stavano già pensando a fare affari. Spesso nei miei articoli scrivo “chiamiamo a raccolta i buoni”; è importante perché solo unendo le forze possiamo fare qualcosa di buono per questa terra. Il Papa domenica sarebbe dovuto venire ad Acerra, ma è stato impossibile, data la situazione; però ha promesso che verrà. Quando lo incontrai a Napoli mi chiese di continuare nella mia opera. Disse che gli interessi economici non possono avere la precedenza sulla salute degli uomini.

In questo momento chi si sta prendendo cura delle famiglie più bisognose su un territorio difficile come quello di Caivano e del parco verde?

La chiesa è arrivata nell’immediato, è una delle caratteristiche della caritas italiana. Il vescovo di Aversa adesso ha consegnato ad ogni parrocchia una cifra abbastanza elevata affinché anche le parrocchie più povere possano stare accanto alle persone in difficoltà. Ci sono poi gli aiuti che dovrebbero arrivare anche dalla Regione, che però ancora tardano. Ci sono pure diverse associazioni che si fanno avanti. A me chiedono spesso se la camorra si è fatta viva; io rispondo che in qualsiasi emergenza la camorra si fa avanti, perché ha i mezzi per farlo e in questo modo tiene sotto controllo il territorio e con prestiti a usura imprigiona le persone. Anche se non in maniera eclatante, questo fenomeno c’è stato anche qui da noi.

Padre Maurizio Patriciello

Lei diceva che il virus mortale è proprio la camorra.

Un conto sono le persone che vogliono delinquere; da quelle lo Stato ci deve difendere e quando è possibile deve cercare di aiutarle. Ci sono però tante persone che proprio non vorrebbero delinquere, ma che prima o poi sono costrette a cedere perché non sanno a chi aggrapparsi. Una famiglia che non vuole andare a rubare e in questo momento tragico si affida alla camorra non può essere considerata alla stregua di delinquenti incalliti, non è la stessa cosa. Il nostro compito deve essere quello di impedire questo abbraccio mortale. La camorra è brava in questo lavoro: va a caccia di persone incensurate, di nomi vergini, di facce sconosciute alla forze dell’ordine. Dobbiamo fare in modo che ciò non avvenga stando accanto a queste persone; la povertà è dignitosa, ma quando la povertà si fa miseria, quel momento è pericoloso per la famiglia coinvolta ma anche per la società.

Professor Giordano, qual è il legame fra inquinamento ambientale e patologie umane?

Anche qui negli Usa il Covid ha fatto registrare i picchi più elevati proprio nelle zone con maggior inquinamento ambientale. Il lavoro scientifico dei ricercatori di Harvard e anche dei ricercatori italiani di Tor Vergata e del San Raffaele di Milano, ha dimostrato chiaramente che il particolato e le sostanze tossiche nell’ambiente sono un carrier per questo virus. E’ importante che oltre alle persone di buona volontà abbiamo anche politici di buona volontà, che non siano completamente insensibili al problema ambientale.

A che punto siamo con gli studi sulla Terra dei Fuochi?

L’ultimo è stato uno studio indipendente finanziato in parte dalla stessa popolazione della Terra dei Fuochi e in parte dallo Sbarro Health Research Organization; non dallo Stato Italiano. Con un budget limitato, abbiamo dimostrato la presenza di sostanze tossiche nel materiale biologico prelevato dal territorio. Abbiamo registrato una reazione feroce dalle istituzioni, con un negazionismo violento e offensivo da parte di una certa politica. Noi però siamo andati avanti, ottenendo un riconoscimento a livello nazionale ed internazionale, e non a caso io ho da poco ricevuto un incarico da parte del ministero dell’ambiente, nella commissione dell’Istituto Superiore di Sanità per lo studio del rapporto fra ingiurie ambientali e patologie umane. 

C’erano altri studi anche di istituzioni pubbliche sul territorio o gli unici studi finora fatti sono quelli privati e finanziati da istituzioni straniere?

Il paradosso è che ci sono altri studi importanti realizzati prima del nostro, ma non sono mai stati pubblicizzati a dovere, come se la politica da un lato volesse dire di poter disporre di dati del genere, dall’altro ha scelto la strategia del muro di gomma. Addirittura ha avuto atteggiamenti aggressivi e ha cercato di isolare chi generava dati scientifici in maniera indipendente; non ci sono riusciti, perché la vera cultura trionfa sempre. Noi per fortuna abbiamo una vetrina internazionale, per cui il negazionista locale può avere successo solo in una determinata arena; mi auguro che in un’arena internazionale ci si possa misurare e quel punto le verità verranno fuori.

Antonio Giordano

Professor Giordano lei è uno degli autori di un articolo pubblicato su ‘Frontiers Immunology’ che tratta dell’alta mortalità da Covid-19 in Italia, ci può spiegare questo studio?

“L’idea, in sintesi, è che tra i fattori chiave che hanno contribuito a disegnare in modo tanto netto la mappa dell’epidemia di nuovo coronavirus nel nostro Paese ci sia anche un’interazione fra Dna e ambiente. L’ipotesi è che esista una forma di difesa stampata nel ‘codice della vita’, un assetto genetico protettivo contro gli effetti più gravi del patogeno pandemico, che dai numeri sembra più diffuso al Sud rispetto al Nord.

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Carcere Lager Beccaria, la Procura di Milano: sulle torture omissioni dai vertici

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Una struttura senza alcun controllo interno, nella quale quel “sistema consolidato” negli anni di pestaggi e torture su ragazzi di 16 e 17 anni con storie problematiche, tra disagio, reati e tossicodipendenza, aveva preso piede indisturbato, almeno fino a qualche mese fa con l’arrivo del nuovo direttore al carcere minorile Beccaria. E’ lo scenario inquietante che viene a galla non solo dagli atti della Procura di Milano, nell’inchiesta che ha portato in carcere 13 agenti della Penitenziaria e alla sospensione di otto colleghi, ma dalle stesse parole degli arrestati nei primi interrogatori.

Il “metodo di violenze” attuato al Beccaria, scrivono l’aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, “ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali”. Tra questi viene citato l’ex comandante della Polizia penitenziaria Francesco Ferone, ieri sospeso e accusato di falso nelle relazioni, “che ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti”.

Per questo le indagini, condotte dalla Squadra mobile e dalla stessa Polizia penitenziaria, vanno avanti per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, ma pure sospette coperture e depistaggi nell’istituto in relazione all’operato degli agenti. Intanto, cinque arrestati su sei (uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e gli altri saranno sentiti nei prossimi giorni), interrogati dal gip Stefania Donadeo, hanno detto di essersi sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Hanno raccontato di essersi trovati a dover affrontare il rapporto coi ragazzi detenuti senza adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure.

In certi casi avrebbero salvato vite intervenendo per tentativi di suicidio o incendi scoppiati. In altri, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione violenta. Nella carte, nel frattempo, si trova uno scambio di mail del gennaio 2023 tra la mamma di un detenuto e l’allora direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti. La madre, dopo aver visto in videochiamata il figlio con “segni di percosse sul viso”, aveva segnalato l’episodio alla direzione. Otto giorni più tardi Menenti le aveva risposto rassicurandola “sull’adozione delle procedure previste nel caso specifico”.

Lo stesso ragazzo, mettendo a verbale l’aggressione subita il 22 dicembre 2022 da tre agenti, ha dichiarato che “mentre si trovava steso a terra davanti all’ufficio del capoposto, ancora ammanettato e sanguinante in volto”, era intervenuta l’allora direttrice “che intimava agli assistenti di togliergli le manette” e “disponeva l’invio in infermeria”. Gli agenti, scrivono i pm, “interrompevano il violento pestaggio solo per l’arrivo della direttrice”, la quale “vedeva il detenuto a terra sanguinante”. Menenti avrebbe preso parte anche al colloquio di un altro ragazzo “con il comandante e la psicologa” su presunte violenze del 18 dicembre 2022. Lo scorso dicembre si è insediato il nuovo direttore Claudio Ferrari, il quale, secondo le parole intercettate degli indagati, non avrebbe più dato “protezione” agli agenti. Nel marzo scorso, quando i vertici avevano deciso infatti di acquisire le telecamere interne, c’era preoccupazione tra i poliziotti, perché “le immagini sono veramente disastrose (…) Non solo schiaffi, calci, pugni…quello a terra”. In un altro dialogo captato una agente diceva ad un collega, ora in carcere, di mettere “un po’ di ghiaccio” sulla mano.

L’altro poco prima le aveva raccontato di aver “battezzato” un ragazzo che faceva “il bulletto”, di averlo colpito tanto forte da farsi male. E mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste al ministro Nordio di riferire in Parlamento, il Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Antonio Sangermano, si è recato oggi al Beccaria con i propri funzionari per ascoltare vertici, personale della struttura e giovani detenuti e stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano già evidenziato anche la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”.

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Ventenne denuncia, stuprata e drogata da due uomini

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Violentata da due uomini in un appartamento alla periferia di Roma dopo essere stata adescata su Instagram. E’ l’incubo vissuto una ragazza romana di 20 anni. La giovane ha presentato denuncia nei giorni scorsi ai poliziotti del commissariato Casilino e sulla vicenda sono subito scattate le indagini. La violenza si sarebbe consumata la settimana scorsa, precisamente il 17 aprile. L’allarme è arrivato il giorno dopo quando il fidanzato, preoccupato perché non riusciva a rintracciarla, è riuscito a localizzarla attraverso il cellulare. L’ha rintracciata davanti a un bar in zona Torre Angela, alla periferia est di Roma.

Quando l’ha raggiunta la giovane era sconvolta, in stato di shock. E’ stata visitata in ospedale e dimessa dai medici con una prognosi di 40 giorni. La ventenne avrebbe raccontato agli investigatori di aver conosciuto i due ragazzi, forse nordafricani, sul social e di aver accettato di incontrarli per un aperitivo. Dopo aver bevuto qualcosa insieme in un locale quei due ragazzi si sarebbero offerti di darle un passaggio fino alla fermata della metropolitana che doveva prendere per tornare a casa. Ma le cose sarebbero andate diversamente. Invece di fermare l’auto davanti alla stazione della metro più vicina si sarebbero diretti in un appartamento alla periferia della città.

Qui sarebbe iniziato un vero e proprio incubo per lei: l’avrebbero narcotizzata e poi l’avrebbero stuprata. Dopo aver raccolto la denuncia la polizia ha avviato le prime indagini. Sono in corso accertamenti da parte degli investigatori per ricostruire con esattezza quello che è accaduto e risalire ai due ragazzi descritti dalla giovane. Sotto la lente, in queste ore, la piattaforma social per individuare chi c’è dietro al profilo utilizzato per dare appuntamento alla vittima e per dare un nome e un volto ai due ragazzi accusati dalla ragazza della violenza. E solo pochi giorni fa nella capitale un’altra giovanissima aveva denunciato di essere stata narcotizzata all’interno di un campo nomadi. Lo scorso 11 aprile una quattordicenne fu soccorsa, in stato confusionale, da una pattuglia della polizia locale nel campo di via Salone dove vive con la famiglia. Raccontò di essere stata drogata nei giorni precedenti all’interno dell’insediamento.

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Caso Ferragni-Balocco, per il tribunale hanno ragione i consumatori: fu pratica scorretta

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La prima sezione civile del Tribunale di Torino ha emesso una sentenza significativa riguardante il caso Balocco, il ruolo di Chiara Ferragni, che hanno attirato l’attenzione nazionale. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato da diverse associazioni, tra cui il Codacons, Utenti dei servizi radiotelevisivi e Adusbef, contro la campagna di beneficenza condotta dall’industria dolciaria Balocco. La campagna in questione era stata realizzata attraverso la vendita di pandori griffati dall’influencer Chiara Ferragni, a favore di un ospedale torinese.

La giudice Gabriella Ratti ha emesso una dichiarazione che conferma le accuse mosse dalle associazioni ricorrenti. Secondo quanto riportato dalle associazioni stesse, la sentenza ha accertato la pratica commerciale scorretta messa in atto dall’azienda Balocco. Inoltre, ha evidenziato l’ingannevolezza dei messaggi diffusi al pubblico riguardo alla natura benefica della campagna associata alla vendita del prodotto.

Questa sentenza rappresenta un importante punto di svolta nel panorama delle pratiche commerciali e delle campagne di beneficenza condotte dalle aziende. Mette in luce la necessità di maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle imprese nell’affrontare iniziative di questo tipo. La decisione del tribunale di Torino sottolinea l’importanza di verificare attentamente le pratiche di marketing e di beneficenza per garantire che siano etiche e rispettose dei consumatori.

Il caso Balocco ha suscitato un dibattito su scala nazionale riguardo alla relazione tra marketing, beneficenza e trasparenza aziendale. È probabile che questa sentenza abbia un impatto significativo sul modo in cui le aziende progettano e promuovono le loro campagne di responsabilità sociale d’impresa, mettendo in evidenza la necessità di una maggiore chiarezza e autenticità nelle loro iniziative benefiche

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