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Cronache

‘Ndrangheta: Gratteri, famiglia Presta controllava traffico droga

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Sono 45 soggetti ritenuti appartenenti ad una associazione armata che trafficava e spacciava sostanza stupefacente nei comuni della Valle dell’Esaro. Sono tutti esponenti della ‘ndrangheta cosentina, egemone sul territorio.  L’organizzazione sgominata faceva capo alla famiglia cosentina Franco Presta. Il gruppo controllava il territorio di riferimento, ovvero quello compreso tra i comuni di Tarsia, Roggiano Gravina, San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Acri ed esercitava il proprio potere mediante la capillare e asfissiante imposizione dei propri spacciatori nelle varie piazze cosi’ come i canali di approvvigionamento e rifornimento dello stupefacente. La droga, in particolare la cocaina, arrivava dalle cosche di Plati’, nel reggino. Le accuse contestate alle 45 persone raggiunte dalla misura cautelare – 20 in carcere, 16 ai domiciliari, 7 destinatari di un provvedimento di obbligo di dimora e 2 di presentazione alla polizia giudiziaria – sono, a vario titolo, di vendita, cessione, distribuzione e commercio di ingenti quantitativi di droga, in particolare marijuana, hascisc e cocaina. Ad alcuni degli indagati vengono contestati anche i reati di estorsione, ricettazione e detenzione abusiva di armi. Le indagini hanno consentito di ricostruire numerosi episodi di spaccio di stupefacenti e di procedere a sequestri in flagranza di reato, in varie occasioni. L’organizzazione aveva anche una grande disponibilita’ di armi, anche da guerra. Nell’ambito dell’operazione, denominata “Valle dell’Esaro”, sono stati sequestrate anche tre autovetture, due imprese individuali e 32 immobili riconducibili ad alcuni degli indagati, in particolare a Francesco Ciliberti, Antonio Presta, Giuseppe Presta e Roberto Presta, per un valore di circa 2 milioni di euro. All’operazione ha preso parte personale del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Cosenza e Catanzaro, supportati da pattuglie di diversi Reparti Prevenzione Crimine, nonche’ dalle Squadre mobili di Reggio Calabria, Monza-Brianza, Viterbo e L’Aquila, coordinati dal procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal pm Alessandro Riello.

“La famiglia Presta ha controllato per anni il traffico di droga nella Valle dell’Esaro, ovvero un quarto dell’intera provincia di Cosenza” ha spiegato il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri illustrando i risultati dell’operazione che ha portato anche al sequestro di beni per due milioni di euro. Un lavoro massiccio riuscito, ha aggiunto, grazie anche “all’aumento della pianta organica nelle Squadre mobili”. Il pensiero del procuratore è andato alla “continua e costante attenzione” che, non solo l’attività di indagine, ma anche “l’attenzione alla sicurezza della mia persona”, ricevono da parte del ministero dell’Interno e dal capo della Polizia Franco Gabrielli. “Si parla – ha detto il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla – di un contesto di ‘ndrangheta agguerrito, di una cosca ben radicata sul territorio e con una forte capacita’ di riorganizzazione. Per l’approvvigionamento avevano forti riferimenti a Plati’ e nella Piana di Gioia Tauro”. “Al vertice del sodalizio che aveva come base il comune di Roggiano Gravina – ha spiegato il capo della Mobile di Cosenza Fabio Catalano – c’erano i fratelli Antonio e Roberto Presta, cugini del boss Franco. L’attivita’ che il clan monopolizzava era, prevalentemente, il traffico di droga. Cocaina soprattutto ma anche marijuana e hashish”. La droga, secondo quanto e’ stato riferito, arrivava ovunque, anche all’interno della squadra di calcio del Roggiano Gravina. Nella formazione militava Roberto Presta, figlio di Antonio, uno dei reggenti del clan. All’incontro hanno partecipato anche il direttore della Direzione centrale anticrimine della Polizia Francesco Messina e il direttore dello Sco Fausto Lamparelli.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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