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Montella, il capo della banda dei carabinieri di Piacenza confessa: vendevo droga per pagare il mutuo

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Ha confessato. Non  si è protestato innocente. Non ci ha manco provato. Ha solo provato a ridimensionare alcune gravissime accuse. Ma la valanga di contestazioni che pendono sulla sua testa da quando l’inchiesta della Procura di Piacenza ha fatto piazza pulita nella caserma Levante dei Carabinieri restano tutte lì. Ora c’è anche la confessione al primo interrogatorio dell’appuntato Giuseppe Montella. Ha deciso di ammettere le sue responsabilità chiamando in causa i colleghi che hanno tentato di scaricare su di lui le colpe. E lui, rispetto agli altri carabinieri, ha detto subito che l’inchiesta era giusta, le accuse vere  ma “non ho fatto tutto io”.

Quella dell’appuntato Montella, da quanto si capisce, è una strada legale, suggerita dal suo avvocato e accettata, per uscire da accuse  solide, collaborando, perchè forse  è l’unico modo per ottenere un domani uno sconto di pena dalla giustizia. “Si può sbagliare per ingenuità, per vanità, per tante cose” dice il suo legale, l’avvocato Emanuele Solari.
Anche se non è stata contestata l’associazione a delinquere, secondo i pm Antonio Colonna e Matteo Centini, l’appuntato Montella era al vertice di un sistema criminale che avrebbe commesso una serie indistinta di reati gravi. Quelli contestati sono  tortura, sequestro di persona, arresto illegale, traffico di droga anche durante il lockdown, peculato. Montella era il vertice di questa banda costituita da altri sette carabinieri che hanno disonorato la divisa dell’Arma commettendo reati quotidianamente. Pestaggi di sospettati,  fermi illegali, furto di droga a pusher che veniva ceduta ad altri pusher i quali, per conto di Montella, la immettevano nel mercato illegale di Piacenza. Montella davanti ad una mole di prove impressionanti, peraltro costruite anche con filmati, intercettazioni telefoniche e ambientali, dice “sono molto dispiaciuto per quello che ho fatto”. E poi al gip Luca Milani e al pm Antonio Colonna nell’interrogatorio di garanzia, per tre ore, parla di tutto, risponde a tutte le domande.

L’appuntato. Beppe Montella è considerato il vertice della banda criminale dei carabinieri di Piacenza

Sulla decisione di collaborare deve aver contribuito anche l’ atteggiamento degli altri carabinieri richiusi nel carcere “Le Novate” che hanno scaricato su di lui tutte le colpe. Il primo è stato venerdì l’ appuntato Angelo Esposito, ieri l’altro appuntato, Giacomo Falanga. Tutti più o meno hanno provato a spiegare che sì, certe cose sono accadute, ma alla luce dell’inchiesta loro non sapevano tutto. “Ha partecipato alle operazioni, ma non sapeva cosa c’era a monte” dice l’avvocato di Esposito, Daniele Mancini. E il nigeriano pestato con affianco una pozza di sangue che si vede in una foto e di cui Montella parla con Falanga? “Nessuna violenza. È caduto durante l’inseguimento”. Per la verità anche Montella ridimensiona: “Il sangue gli è uscito perché è stato sbattuto a terra per bloccarlo”. C’è anche la foto in cui Montella, Falanga e i due fratelli Daniele e Simone Giardino (arrestati per spaccio) sventolano banconote. “Fu fatta in un bar. Festeggiavano 500 euro vinti al lotto”, dice l’ avvocato.
Giuseppe Montella al gip che gli contesta pestaggi e torture dice che “c’erano tutti, non ero solo io in una stanzetta”. Ma ammetta di aver dato solo schiaffi, molti schiaffi, ma senza andare oltre, anche se nell’audio registrato dal trojan inoculato nel suo cellulare si sente il rumore sordo dei pugni sferrati a un povero immigrato egiziano.

Prova anche a convincere il gip ch le sue responsabilità nel traffico della droga sono meno gravi di quelle che appaiono e che questa pratica criminale di rubare e poi piazzare droga è cominciata pochi mesi fa. “Ho cominciato a gennaio scorso ed ho guadagnato appena 5.000 euro in tutto”. E sostiene di averlo fatto per per pagare il mutuo per la casa. Come se fosse normale che quando uno non riesce a pagare il mutuo si mette a spacciare droga. Gli investigatori della Guardia di Finanza ritengono che il suo tenore di vita fosse sproporzionato sia rispetto ai 1.960 euro dello stipendio sia ai 5.000 in più.
Spendeva troppo in viaggi, nelle moto e nelle auto che cambiava continuamente.
Montella circoscrive la conoscenza di ciò che accadeva in via Caccialupo ai soli otto carabinieri arrestati, tra cui il comandante della stazione Marco Orlando (l’unico ai domiciliari, sarà interrogato lunedì). Come gli altri militari che hanno risposto ai magistrati, anche Montella dichiara che da parte dei vertici della Compagnia, in particolare il maggiore Stefano Bezzeccheri (indagato con obbligo di dimora) “c’era un’incessante pressione” per fare sempre più arresti, specialmente di spacciatori. Per i pm alcuni venivano costretti con le botte a diventare informatori di Montella, non venivano segnalati alla Prefettura se erano assuntori di stupefacenti e diventavano i “galoppini” dell’appuntato vendendo parte della droga che era stata sequestrata durante le operazioni. Ieri l’appuntato Salvatore Cappellano, pure lui arrestato, si è avvalso della facoltà di non rispondere: “Mi vergogno, parlerò quando sarò più sereno”.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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