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Cronache

Milioni di mascherine non regolamentari sequestrate dalla Finanza in Campania ad importatori improvvisati che hanno fiutato l’affare covid 19

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L’ispezione ai grossisti che avevano rifornito i negozi dove c’erano in vendita mascherine non regolamentari a prezzi spesso anche esorbitanti. La Finanza ha confermato i sospetti iniziali, ossia che numerosi imprenditori operanti nei più disparati settori commerciali, soprattutto nell’area napoletana hanno “fiutato l’affare” e si sono cimentati nell’importazione di questi articoli, senza preoccuparsi della qualità e della certificazione di sicurezza che accompagna la merce, con il solo fine di lucrare il più possibile nel momento di maggiore domanda del mercato, dovuta anche alla riapertura degli esercizi commerciali e delle imprese produttive che devono approvvigionarsi di questa specifica categoria di dispositivi di sicurezza per proteggere i propri dipendenti e rispettare gli accordi stipulati a livello centrale per la sicurezza nei luoghi di lavoro durante l’emergenza sanitaria.

In 8 accessi ispettivi, infatti, le Fiamme Gialle hanno sequestrato complessivamente più di 1,2 milioni di mascherine per la quasi totalità classificate FFP2 / KN95, ma anche 64.000 mascherine FFP3, tutte risultate prive di idonea certificazione e con marchio “CE” contraffatto in quanto accompagnate da certificati qualitativi rilasciati da enti non accreditati, ovvero relativi ad altri prodotti o, ancora, completamente falsificati.

In particolare la Compagnia di Marcianise ha individuato e sottoposto a sequestro quasi 900mila mascherine facciali con marchio “CE” falso partendo dallo sviluppo delle risultanze di un primo controllo eseguito nei confronti di una società per azioni operante come grossista di articoli da ferramenta con sede operativa in San Marco Evangelista (CE). 

Presso il magazzino della società sono stati, infatti, rinvenuti numerosi pacchi contenenti complessivamente oltre 132.500 mascherine facciali di provenienza cinese con il marchio certificativo “CE”, che dovrebbe rappresentare il lasciapassare di sicurezza per la vendita di prodotti fabbricati fuori dall’Unione Europea, apposto sulla base di un “Certificate of Compliance” rilasciato da un soggetto non abilitato alla certificazione comunitaria. 

Peraltro la documentazione esibita era del tutto similare a quella già presente sui siti dell’ente ufficiale nazionale di accreditamento in un apposito “warning” per prevenire la diffusione di tali sistemi di frode e dopo pochi giorni oggetto anche di uno specifico servizio giornalistico di una notissima trasmissione televisiva.

La falsa marcatura CE ingenerava infatti nei clienti l’ingannevole convinzione di utilizzare presidi capaci di filtrare con efficacia eventuali agenti patogeni e di garantire, di conseguenza, una maggiore protezione dal rischio di contagio rispetto alle ordinarie mascherine non certificate, giustificando così anche il prezzo maggiorato di questi prodotti.

Peraltro, il commerciante non si era preoccupato neanche di verificare se la merce fosse stata importata con la procedura “in deroga” prevista dalla normativa emergenziale, che prevede la possibilità di importare o produrre tali dispositivi di protezione in assenza della ordinaria certificazione comunitaria (marchio CE), ma solo se si ottiene l’autorizzazione dell’Istituto Superiore di Sanità (per le mascherine chirurgiche) o dell’INAIL (per i dispositivi di protezione individuale che vengono destinati ad uso professionale per la protezione dei lavoratori).

In realtà il grossista ispezionato, peraltro operante nello specifico settore dei dispositivi di sicurezza per i lavoratori e quindi sicuramente a conoscenza degli obblighi normativi che vincolano la produzione e la distribuzione di questa tipologia di prodotti, ha volontariamente acquistato tali prodotti su un mercato parallelo e incontrollato per eludere le limitazioni normative vigenti e assicurarsi una ingente fornitura di merce da collocare subito sul mercato. 

Ulteriore conferma della spregiudicata politica di accaparramento delle mascherine si ricavava dal fatto che pur essendo un operatore professionale del settore con unità locali anche in altre regioni d’Italia, il grossista aveva acquistato la partita di merce da un importatore “improvvisato” che opera nel campo dei “bed and breakfast” e nella produzione di abbigliamento con magazzino in Palma Campania (NA).

L’immediata estensione dei controlli presso l’importatore, ha quindi permesso di rinvenire oltre 556.000 mascherine acquistate per lo più da una società con sede in Ungheria, ma provenienti direttamente dalla Cina, tutte aventi le medesime caratteristiche di quelle già sequestrate nell’ingrosso di ferramenta, ovvero accompagnate da un certificato di qualità con l’apposizione di un marchio “CE” contraffatto. 

Sono state, dunque, eseguite diverse perquisizioni nelle province di Napoli, Roma e Modena presso diversi acquirenti finali delle mascherine già distribuite al dettaglio. Sono state, inoltre, intercettate presso un corriere espresso di Arzano (NA) altre due spedizioni di mascherine analoghe provenienti direttamente dalla Cina e destinate al mercato nazionale. 

Contemporaneamente, la scorsa settimana la Compagnia di Caserta ha eseguito una serie di sequestri che hanno consentito di togliere dal mercato complessivamente oltre 375.000 maschere FFP2 e FFP3.

Anche in questo caso partendo da una serie di interventi eseguiti presso piccoli rivenditori al dettaglio come tabaccai e ferramenta, sono state ricostruite, attraverso un’attenta disamina della documentazione commerciale e tecnica nonché con l’esecuzione di attività di sopralluogo e pedinamento, le filiere di approvvigionamento, risalendo ai grossisti ed infine agli importatori dei prodotti, provenienti direttamente dalla Cina.

In particolare, il 19 maggio i finanzieri accedevano presso un ingrosso di articoli di elettronica di Casoria dove rinvenivano circa 21.000 mascherine FFP2 riportanti il marchio “CE” falsificato e accompagnate da una certificazione altrettanto falsa rilasciata da un ente non accreditato. Sono stati inoltre sequestrati 565 termo-scanner sprovvisti del regolare marchio CE previsto per tali dispositivi medici.

Il giorno successivo, l’intervento ha riguardato un importatore con uffici a Napoli e deposito a Casoria, operante nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, con consolidati rapporti commerciali con l’estremo oriente, che da ultimo ha deciso anche lui di investire nel redditizio “business delle mascherine”. Soltanto nell’ultimo mese aveva importato dalla Cina ben 300.000 mascherine che aveva poi rivenduto su tutto il territorio nazionale ed in particolare sul mercato campano. Nel magazzino sono stati rinvenuti oltre 221.000 dispositivi di protezione individuale, accompagnati da certificazioni di conformità che, sebbene fossero state rilasciate da enti abilitati, facevano riferimento ad altra tipologia di prodotto, sia con riguardo al produttore che al modello.

Infine, il 22 maggio, è stata la volta di un altro importatore, con sede a San Prisco, dove in un deposito della società, attiva nel settore del commercio di elettrodomestici ed elettronica, anch’essa con stretti legami con fornitori cinesi, erano immagazzinate circa 133.000 mascherine FFP2 e FFP3 scortate da certificazioni autentiche, ma riferibili a dispositivi di altra natura. In quest’ultima circostanza venivano sottoposte a sequestro anche circa 800 etichette riportanti informazioni ingannevoli.

Queste ultime operazioni delle fiamme gialle casertane hanno quindi consentito di disarticolare diverse filiere distributive di maschere professionali filtranti non a norma e di denunciare alla competente Autorità Giudiziaria per falsificazione dei marchi e frode in commercio ben 10 responsabili, tra grossisti e/o importatori, che alimentavano il mercato al dettaglio locale.

Sommando l’esito di questi ultimi sequestri ai numerosi interventi già svolti recentemente nei confronti di diverse categorie di dettaglianti, i Reparti del Comando Provinciale di Caserta dall’inizio dell’emergenza hanno tolto dal mercato oltre 1,5 milioni di mascherine FFP2 o FFP3 non certificate, a dimostrazione del costante impegno profuso nel presidiare il territorio al fine di individuare le imprese che, approfittando dell’emergenza sanitaria in corso, convertono la propria attività, dedicandosi alla importazione e al commercio illegale di questo genere di prodotti irregolari, ingenerando nel consumatore la convinzione di acquistare dispositivi con una maggiore capacità filtrante e quindi di protezione dal contagio, ma in realtà assolutamente non controllate circa la loro effettiva corrispondenza agli standard qualitativi dichiarati, e peraltro rivenduti spesso con ricarichi altissimi rispetto al prezzo originario di acquisto. 

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Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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