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Salute

Lavarsi le mani, un gesto nato nel 1847: vi spiega tutto il dottor Orazio Pennelli

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Il mantra di questo periodo è l’esortazione “Lavate bene le mani”, oltre ovviamente a “Restate a casa”. Lavarsi le mani è il rituale più osannato e praticato in questi giorni di epidemia. Con buone ragioni: è l’atto che, da solo, può costituire la principale difesa contro il coronavirus. Un gesto spontaneo e naturale, da quello semplice della nonna che dice ai nipoti “vi siete lavati le mani?” a quello, molto più complesso, del chirurgo prima di entrare in sala operatoria.

Può sembrare un’abitudine esistente da sempre, invece ha un luogo e una data di nascita ben precisi: Vienna, maggio 1847. Al centro della storia un medico ungherese non ancora trentenne, Ignác Semmelweis, la morte di un suo collega e amico e, infine, la triste conclusione in manicomio.

“Mi piacerebbe fare il conto – dice il dottor Orazio Pennelli, Direttore Sanitario dell’I.R.C.C.S. Neuromed – di quante strade, quante scuole in Italia sono intitolate a Ignác Semmelweis. E quanti cittadini lo conoscono. Resteremmo molto delusi: è pochissima la memoria per un uomo che, da solo, con la sola forza dell’intuizione, ha cambiato profondamente la medicina, salvando milioni e milioni di vite umane”.

 

Nel 1847 la conoscenza di batteri e virus era ancora lontana nel tempo, e i lavori di Pasteur e Koch ancora da venire. Sulle malattie infettive circolavano le opinioni più diverse, alcune decisamente strampalate. Ma Semmelweis fece semplicemente quello che Galileo Galilei e Francis Bacon avevano insegnato secoli prima: l’osservazione della natura, l’esperimento, la prova.

“Semmelweis era un medico ostetrico, da poco diventato capo degli specializzandi nell’Ospedale Generale di Vienna. – continua Pennelli – All’epoca uno dei problemi più seri per le donne che avevano appena partorito era la cosiddetta febbre puerperale, proprio negli ospedali, che mieteva un gran numero di vittime. Ma nella clinica di Vienna c’era una organizzazione particolare, con due reparti di ostetricia separati: uno in cui lavoravano medici e specializzandi, l’altro in cui c’erano solo ostetriche. La prima osservazione di Semmelweis fu che la febbre puerperale colpiva prevalentemente le donne ricoverate nel padiglione dei medici, mentre era molto poco diffusa dove l’assistenza era gestita solo dalle ostetriche. Era un primo campanello d’allarme, che molti prima di lui avrebbero potuto notare ma non lo fecero. E poi avvenne un fatto drammatico: il suo collega e amico Jakob Kolletschka morì dopo essersi ferito mentre praticava un’autopsia. Aveva gli stessi sintomi, le stesse lesioni delle donne colpite da febbre puerperale”.

 

Semmelweis vide il collegamento: c’era una malattia che veniva dai cadaveri, e che in qualche modo era “trasferita” dalle sale autoptiche alle giovani madri, uccidendole. Anche perché gli unici che lavoravano indifferentemente sia sui cadaveri che sulle partorienti erano i medici, mentre le ostetriche del secondo padiglione, quello quasi privo di febbre puerperale, non si occupavano mai di autopsie.

Busto di Semmelweis nella sede OMS

 

“Fu un’osservazione importante, direi il metodo scientifico al suo meglio. – continua il Direttore Sanitario del Neuromed – Ma mancava ancora l’esperimento. Così il giovane medico emanò un ordine: tutti i clinici del reparto di ostetricia dovevano, prima di visitare le donne ricoverate, lavarsi le mani con una soluzione di ipoclorito di calcio. In più, dovevano essere cambiate le lenzuola ai letti quando arrivava una nuova paziente. I risultati furono incredibili: l’anno prima la mortalità per febbre puerperale era stata dell’18,27%, ma scese al 5% dopo l’introduzione del lavaggio delle mani, e arrivò all’1% l’anno successivo”.

A questo punto ci si immagina questo giovane genio sfilare per le strade di Vienna in trionfo, invitato da tutte le università del mondo, ricoperto di onori e denaro. Invece fu licenziato. “L’obbligo di lavarsi le mani – commenta Pennelli – fu visto da molti medici come un insulto. Di fatto, Semmelweis aveva detto che erano untori. E poi, cambiare le lenzuola ad ogni paziente era costoso. Insomma, non gli rinnovarono il contratto”.

Il medico ungherese, anche con l’appoggio di figure importanti della medicina dell’epoca, cercò di diffondere le sue idee e i suoi metodi, ma senza successo. Forse fu proprio l’amarezza per queste vicende a farlo finire in manicomio, dove morì il 13 agosto 1865. Aveva meno di cinquanta anni, e lo uccise una setticemia, un’infezione, proprio la malattia che aveva combattuto.

Quindici anni dopo la sua morte arrivarono le prime scoperte di Louis Pasteur. E arrivarono i primi, timidi, riconoscimenti. Il grande scrittore Louis Ferdinand Celine, che era laureato in medicina, dedicò proprio a Semmelweis la sua tesi di laurea, successivamente diventata un libro. Oggi in Ungheria c’è l’Università Ignác Semmelweis, e la sua città, Budapest, ha almeno tre monumenti. Un busto è stato poi collocato nella sede centrale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in occasione del bicentenario della sua nascita.

“Immaginiamo Semmelweis trasportato da una macchina del tempo proprio in questi giorni, in piena epidemia. – conclude Pennelli – Andrebbe vicino a ogni lavandino, a ogni spruzzatore di disinfettante, a ogni boccetta di amuchina per dirci: ‘Ve l’avevo detto io?'”.

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Politica

Stop a numero chiuso a Medicina, il no dei camici bianchi

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Primo passo verso lo stop al numero chiuso per Medicina. Anche se la strada per arrivare ad una riforma complessiva della legge si annuncia ancora lunga. Il Comitato ristretto della Commissione Cultura e Istruzione del Senato adotta un testo base praticamente all’unanimità, ma sono molti i dubbi che solleva l’ opposizione. Per non parlare del no netto che arriva subito dall’Ordine dei medici, secondo il quale se si toglierà il numero chiuso “entro 10 anni si produrranno solo dei disoccupati”. Il testo che adotta il Comitato ristretto, di cui dà notizia, esprimendo “soddisfazione”, il presidente della Commissione Roberto Marti, contiene di fatto una sorta di delega in bianco al governo su come rimodulare l’accesso alla facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Delega da adottare entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge.

Per il resto, le novità sostanziali sono l’abolizione dei test d’ingresso, che dovrebbe scattare dal 2025/2026, e i nuovi ostacoli che l’aspirante medico dovrà affrontare. Se lo studente, infatti, entro 6 mesi, non supererà prove che riguardano discipline in area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria (ancora da individuare) non potrà più accedere a Medicina. Sin dall’inizio, gli sarà consentito iscriversi anche a un’altra facoltà scientifica, come ad esempio Biologia, e nel caso in cui il semestre a Medicina si concluda con un nulla di fatto, potrà sempre continuare con la seconda scelta vedendosi riconosciuti dei crediti formativi. E sono proprio i nuovi paletti a non convincere troppo l’opposizione che annuncia “emendamenti” per migliorare il testo. Nell’attesa, i partiti fanno a gara per intestarsi il provvedimento.

La prima a cantare vittoria è la Lega. Matteo Salvini parla di “storica battaglia”, mentre il governatore del Veneto Luca Zaia di “cambio di passo”. Poi è la volta di FdI che con la prima firmataria del ddl Ella Buccalo difende anche l’idea del semestre in prova definendolo “una selezione basata sul merito”. E “orgogliosa” del primo passo compiuto in Commissione la ministra dell’Università Anna Maria Bernini secondo la quale si riusciranno “a formare 30mila medici senza il numero chiuso”. Convinti della necessità di togliere i test, pur individuando criticità sono i senatori del centrosinistra. Di “delega troppo vasta” parla ad esempio Cecilia D’Elia, capogruppo Pd in Commissione, che esprime anche dubbi sulla “definizione di una graduatoria nazionale dopo aver frequentato solo un semestre”. Nel testo, secondo il Dem Andrea Crisanti, restano “incertezze anche sulle modalità di accesso ad altri corsi di esame per coloro che non sono stati ammessi a Medicina”.

Lo stop al numero chiuso, intervengono i medici Anaao, sindacato degli ospedalieri, è “il colpo di grazia alla formazione medica”. “La scelta di superare il modello della legge del ’99”, commenta l’Unione Studenti, “è sicuramente un primo passo, ma siamo delusi dalle modalità”. Intanto, alla Camera il Pd presenta la proposta di legge sulla sanità firmata dalla segretaria Elly Schlein che chiede di investire nella sanità pubblica nei prossimi 5 anni fino al 7,5% del Pil che è la media europea. Schlein quindi accusa Meloni di mentire “sui dati”, ricordando il “taglio di 1,2 miliardi dai fondi del Pnrr”.

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Parte nuova Aifa, priorità carenze farmaci e contro fake

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Un discorso asciutto, concentrato in poche cartelle, per indicare una tabella di marcia serrata. Perchè sono molteplici le “nuove sfide” da fronteggiare, ed anche in tempi brevi: dalla carenza di farmaci, per effetto dei conflitti in atto, alla necessità di contrastare la disinformazione e le fake news su farmaci e vaccini, alla gestione delle nuove tecnologie. Robert Nisticò, presidente della nuova Agenzia italiana del farmaco (Aifa) nata dalla recente riforma, ha tracciato oggi priorità e obiettivi del proprio mandato nell’intervento per il suo insediamento: tra le parole d’ordine, “meritocrazia, velocità, etica”.

Primo compito fondamentale, ha spiegato, “assicurare che non ci siano carenze nel mercato di farmaci indispensabili. In questo particolare momento in cui purtroppo ci sono conflitti alle nostre porte che pesano sulla filiera del farmaco anche in Italia, l’Agenzia insieme con le industrie, dovrà assicurare la massima disponibilità per un approvvigionamento continuo dei farmaci essenziali sia nel nostro Paese che nei paesi più in difficoltà, dove perdurano i conflitti” e “dobbiamo mantenere, come in Europa, il massimo livello di collaborazione possibile con le industrie”.

Con il fine di “rendere l’Italia leader e protagonista nei tavoli che contano”, Nisticò ha anche assicurato l’impegno dell’Agenzia per “evitare una pericolosa disinformazione sui medicinali, o peggio ancora fake-news che possano alimentare un atteggiamento ostile verso il farmaco o vaccino”. Il tutto con l’imperativo di stabilire “sin da subito” una Road Map per proteggere la salute dei cittadini a fronte dei rischi del post-pandemia, ha detto Nisticò facendo riferimento “ai tanti potenziali insidiosi nuovi virus esistenti in natura, e senza mai sottovalutare o tacere il rischio sempre più reale della contaminazione ambientale dei farmaci e della resistenza antimicrobica”. L’azione della nuova Aifa, ha sottolineato ancora, si baserà su “qualità, efficienza e rapidità dei processi decisionali, e questo deve passare attraverso criteri severissimi di meritocrazia in un quadro di semplificazione delle procedure burocratiche”.

Nei disegni del neo presidente, l’Aifa deve tornare ad essere “una casa di vetro” perchè “come Agenzia – ha avvertito – abbiamo il dovere di lavorare in maniera onesta e cristallina, in modo che tutto ciò che facciamo sia visibile e trasparente al mondo esterno”. Un compito non facile, anche perchè questo è il momento in cui si concentrano molteplici “grandi sfide” ha rilevato il presidente, dalle tecnologie digitali alla robotica e alle “mille emergenze” attuali. Non ultima l’IA, utile nella lifecycle del farmaco, nella farmacologia personalizzata, ma anche nella gestione delle informazioni e nell’ottimizzazione dei processi decisionali. In questo caso, la sfida sta nel “gestirla e regolamentarla”, ha evidenziato, ricordando che l’AI rappresenta una “potente tecnologia che nasconde profonde insidie di natura etica”. E proprio l’etica è una delle altre parole chiave del ‘mandato Nisticò’. Tutto ciò che l’Agenzia produrrà, ha detto, “dovrà essere basato su scelte intelligenti, innovative, sostenibili, ma sempre e comunque scelte e obiettivi guidati da principi etici che pongano l’uomo e la persona sofferente al centro del sistema”. “Un Paese senza etica – ha concluso Nisticò – è un Paese destinato a morire”.

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Italiani in farmacia per consigli su pelle, solari e trucco

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Perché ritenuti meno aggressivi sulla pelle e adatti alle pelli più delicate, perché contengono ingredienti naturali e anche perché eco-sostenibili. Così gli italiani giudicano i prodotti di bellezza venduti nelle farmacie che scelgono soprattutto perché si fidano del ‘camice bianco’ del farmacista, ritenuto preparato e competente quando ci si deve orientare nella scelta. Le scelte beauty, i giudizi e le abitudini d’acquisto dei prodotti di bellezza di chi varca la soglia delle farmacie della penisola sono state approfondite da Cosmetica Italia – Associazione nazionale imprese cosmetiche, durante il Cosmetic Summit format sul settore beauty all’interno di Cosmofarma Exhibition, la manifestazione dedicata al mondo delle farmacie in corso alla fiera di Bologna.

“La fiducia nel sistema combinato tra camice bianco e brand specializzati è elevata, gli italiani scelgono le farmacie per i cosmetici di qualità e per l’assistenza del personale formato e competente nel campo, – spiega Gian Andrea Positano, responsabile del centro studi di Cosmetica Italia. – La funzionalità dei prodotti è il primo motivo di scelta, insieme alla capacità dei farmacisti di dare consigli”. Dall’indagine risulta che per lo shopping beauty si va in farmacia per motivi precisi e diversi rispetto agli acquisti fatti in altri canali di vendita.

Gli italiani coinvolti nell’indagine hanno dichiarato che nelle farmacie si aspettano prodotti di bellezza poco aggressivi, per pelli delicate e per problemi specifici, perché ci si fida, per gli ingredienti naturali e per i prodotti eco-sostenibili. Inoltre per i consigli dei farmacisti e degli assistenti preparati e competenti, perché si interagisce con il personale e perché i prodotti beauty danno ottimi risultati e perché scelti con i consigli del farmacista che aiuta a scegliere quelli più giusti per sé e per la famiglia. Camice bianco e prodotti di qualità hanno fatto scegliere le farmacie soprattutto per i cosmetici per la cura della pelle del viso (+10,7%) e per i protettori solari (+10,9%), secondo i rilevamenti di Cosmetica Italia che segnala, tra i settori più dinamici, anche i prodotti da trucco venduti in farmacia che sono cresciuti del 13% nell’ultimo anno.

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