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Economia

L’allarme di Schiavo, Confesercenti: fondo di emergenza e risorse a fondo perduto, altrimenti avremo imprese chiuse e migliaia di disoccupati

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Dopo due mesi di lockdown, le piccole e medie imprese si preparano alla ripartenza. Da lunedì scorso in Campania il presidente della Regione De Luca ha sbloccato le consegne a domicilio, ma l’80% delle attività di ristorazione ha scelto di non riaprire. Troppe le limitazioni, fra orari stringenti e spese per la sanificazione. Un  leggero miglioramento si registrerà a partire dal 4 maggio, quando sarà possibile lavorare anche con l’asporto. Ma il problema principale, come ci ha spiegato Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania e Molise, sarà la drastica riduzione dei ricavi dovuta alle regole sanitarie per il distanziamento sociale. Se lo Stato non interverrà in modo determinante abbattendo i costi, molte imprese rischiano di chiudere per sempre.

Da lunedì 27 aprile in Campania sono di nuovo concesse le consegne a domicilio. Perché molte attività sono ancora chiuse?

Circa l’80% delle aziende di ristorazione non hanno ancora aperto. L’esigenza della consegna a domicilio nasce in presenza di negozi, uffici e altre attività che la richiedono per la pausa pranzo. Se non c’è la domanda, non ha senso aprire. Inoltre, per sanificazione dei locali, attrezzature e dispositivi di protezione una piccola attività deve spendere in media mille euro, non tutti hanno potuto permettersi questa spesa. Non tutti possono permettersi di aprire per poi non vendere. 

Nelle ultime ore si è registrato il dietrofront di De Luca sull’asporto; dal 4 maggio si potrà fare. E’ un provvedimento che può dare respiro alle attività?

Assolutamente sì; l’asporto, unitamente alla possibilità di uscire per passeggiare, potrebbe permetterci di raddoppiare o triplicare l’incasso, rispetto a quello che abbiamo con la sola consegna a domicilio. Fino ad oggi supermercati e macellerie erano aperti con tutte le precauzioni sanitarie del caso; non vedo perché non si possa vendere per asporto nelle pizzerie, nei ristoranti, nei pub. Dal 4 maggio potrebbe riaprire un altro 20% delle attività. Aprono soprattutto le attività a conduzione familiare, per le quali i rischi sono più contenuti. Un’impresa che deve richiamare dieci dipendenti dalla cassa integrazione ci penserà due volte prima di farlo: se lo fa, da quel momento l’imprenditore si assume l’onere e il rischio di pagarli; è una responsabilità morale, se non ha la certezza di riuscire a coprire i costi, mette a rischio non solo se stesso ma anche i dipendenti.

Dal 1 giugno bar e ristoranti potranno tornare ad accogliere clienti. Non crede che a meno di un mese dalla riapertura ci sia ancora troppa incertezza sul protocollo sanitario da seguire?

Il problema per noi è proprio questo, dovremmo anzitutto avere il vademecum con le regole da seguire, che dovrebbe essere contenuto nel nuovo decreto aprile. A quel punto dovremo costruire costi e ricavi delle imprese, analizzando opportunità e limiti degli imprenditori. Prima però serve chiarezza, perché senza conoscere le regole del gioco non possiamo iniziare la partita. 

Come sopravviverà un ristorante che dovrà tagliare del 50% il numero di coperti?

Col distanziamento sociale cambia tutto, dovremo avere un metro e mezzo di distanza fra una persona e l’altra. Significa che in un ristorante da 100 posti, potranno entrare, secondo le nostre stime, non più di 35-38 persone. Bisognerà capire come affrontare i costi di ciascuna impresa. E’ impensabile che alla riapertura un’attività possa sostenere tutte le spese così come faceva prima del Covid; ci vorrà un concreto sostegno economico da parte dello Stato. Altrimenti, dimezzati i ricavi, l’imprenditore sarà costretto parallelamente a tagliare il personale. Sono convinto che gli imprenditori si impegneranno per rispettare le nuove regole di sicurezza, ma devono avere gli strumenti per sopravvivere. Se dovranno lavorare per indebitarsi, corriamo il rischio che molte imprese non aprano più.

Il turismo è senza dubbio fra i settori le cui prospettive future appaiono più incerte. Quali misure per evitare il collasso per questo settore? 

Serve un fondo di emergenza che permetta agli imprenditori di avere denari a fondo perduto, perché è impensabile sostenere gli stessi costi con la riduzione dei ricavi dovuta al distanziamento sociale. Per me oggi tutto il commercio italiano è una grande startup, abbiamo bisogno di tre anni per poter ripartire. Auspico che le proposte delle associazioni di categoria come la nostra siano prese in considerazione. Per noi la cassa integrazione dovrebbe durare almeno fino a dicembre 2020, vanno poi sospese accise e tasse comunali e Stato e Regioni devono preoccuparsi del sostentamento dei Comuni.

Che cosa ne pensa della possibilità di una riapertura differenziata per Regioni?

Non mi sembra giusto che le Regioni riaprano tutte nello stesso momento. Bisogna guardare al proprio territorio e capire cosa succede. I territori in cui la situazione sanitaria è sotto controllo, dovrebbero prevedere un piano per la riapertura diverso da quello delle regioni più colpite. Pur non avendo il disagio della Lombardia, in Campania abbiamo bloccato le attività in maniera addirittura più stringente. Il grande pericolo è non morire di Covid, ma morire di fame. In Campania abbiamo circa 550mila imprese chiuse che probabilmente danno lavoro ad un milione e mezzo di persone. Immaginate se il 50% di queste imprese non dovesse aprire, avremmo tantissime persone che finirebbero per strada, in una Regione che conta già un numero enorme di disoccupati. Non ci possiamo permettere di morire di Covid, ma non ci possiamo permettere nemmeno di far morire le imprese.

E’ soddisfatto delle misure del Governo a sostegno delle imprese?

Non siamo soddisfatti, riteniamo che ci sia ancora molto da fare. Apprezziamo la buona volontà e il desiderio di dare una una mano a tutti, ma per ora non vediamo quell’aiuto concreto capace di fare la differenza. Sappiamo bene che non è che lo Stato non vuole aiutare le imprese, ma non dispone delle risorse necessarie. Allora questo è il momento di farsi sentire, magari anche di forzare la mano con l’Europa: serve liquidità e serve adesso.

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Cgil-Uil in piazza, ‘il governo ascolti il Paese reale’

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Cgil e Uil scendono di nuovo in piazza, attaccano il governo e chiedono di cambiare registro e dare risposte. Sul lavoro e la sicurezza, sulla sanità pubblica, il fisco e i salari. Ascoltando “il Paese reale”. A dieci giorni dall’ultimo sciopero insieme, i due sindacati tornano a manifestare, a Roma, per dire “Adesso basta”. Basta con le morti sul lavoro, con la precarietà e con i condoni. I segretari generali Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri lo fanno dal corteo che attraversa le vie della capitale e dal palco: almeno 50mila, secondo le loro stime, in piazza. E assicurano di essere pronti ad andare avanti, per ottenere risultati. “Dalla piazza arriva il messaggio del Paese reale, visto che stanno raccontando delle balle, irreggimentando e cercando di controllare tutto: si ascolti il mondo del lavoro, che tiene in piedi il Paese e non ce la fa più”, dice Landini.

Che poi accusa “il governo e la destra che vogliono costruire un regime”, “vogliono comandare più che governare”. E sullo stop al monologo dello scrittore Antonio Scurati sul 25 aprile: “Consentitemi un gioco di parole – afferma ancora -, è stato oscurato”. Parla di “un Paese reale che soffre, che ha difficoltà ad arrivare a fine mese e a fruire dei servizi sanitari” anche Bombardieri. Difficoltà che i due leader sindacali rappresentano portando una serie di numeri: 6 milioni di poveri, 5 milioni di lavoratori con il contratto scaduto, 4 milioni e mezzo di persone che rinunciano alle cure. E poi su un altro numero puntano ancor di più: arrivare a “zero morti” sul lavoro. Fermando una strage quotidiana, che richiede misure più incisive, compresa l’introduzione del reato dell’omicidio sul lavoro. Sul fronte delle tasse, chiedono un fisco “giusto” perché, ripetono, a pagare sono sempre gli stessi: i lavoratori dipendenti e i pensionati.

“Fate pagare chi non le ha mai pagate. Certo è complicato se continuate a fare condoni”, ripete Bombardieri. Non manca l’affondo contro l’autonomia differenziata “una follia pura”, sostiene Landini, rimarcando la volontà di mettere in campo una battaglia “con ogni strumento” democratico a disposizione. Dopo aver già dato il via ai quattro referendum sul lavoro. “Non abbiamo alcuna intenzione di fermarci”, assicura. Altro tema quello dell’aborto: Landini e Bombardieri parlano di “pericolosissima regressione”, di “attacco del governo alle donne” e preannunciano per martedì 23 aprile un presidio davanti al Senato, in occasione dell’esame del decreto Pnrr a Palazzo Madama, per contrastare anche la norma sulla presenza delle associazioni pro life nei consultori e difendere la legge 194. In piazza anche questa volta non c’è la Cisl. “Ci sono diverse sensibilità” e ci sono stati “altri periodi nei quali il sindacato ha avuto visioni diverse, supereremo anche questo. Il pluralismo è una ricchezza”, smorza Bombardieri, ricordando che il Primo maggio Cgil Cisl e Uil saranno insieme per “una grande manifestazione” quest’anno a Monfalcone (Gorizia), sotto lo slogan “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”.

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Allarme Upb sul Superbonus, Parlamento studia deroghe

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La “generosità” dell’agevolazione, le ripetute proroghe, un sistema di controlli che ha favorito la “diffusione di comportamenti opportunistici e fraudolenti”, la concessione di deroghe. Nasce anche da qui il ‘vulnus’ con cui il Superbonus si è trasformato in una zavorra per i conti pubblici, lasciando “una pesante eredità sul futuro”. L’Ufficio parlamentare di Bilancio lancia l’allarme e invita a far tesoro di questa esperienza per ridisegnare le future agevolazioni. Il Parlamento intanto prepara nuove modifiche all’ultima stretta impressa dal governo, comprese nuove deroghe per altre aree colpite dal terremoto o il coinvolgimento dei Comuni nei controlli. E sul Superbonus si accende un faro anche oltreoceano, con il Fondo Monetario Internazionale che sprona l’Italia a ridurre il debito. La crescita, stimata allo 0,7% nel 2024 e 2025, è destinata a ridursi al lumicino nel 2026 (rivista al ribasso allo 0,2%) con il Superbonus e il Pnrr in via di esaurimento, avverte il Fondo.

Ma intervenire si può, ed è dal debito che bisogna partire: per ridurlo, bisogna partire dagli sgravi fiscali, “molti dei quali inefficienti” come il superbonus, suggerisce il Fmi, ed eliminare quelle “scappatoie” dal fisco e “numerosi programmi di sostegno anti-inflazione”. Il Superbonus, insieme al bonus facciate e, in misura minore, gli incentivi alle imprese Transizione 4.0 “hanno inciso marcatamente sui conti pubblici degli ultimi anni”, evidenzia l’Autorità dei conti pubblici in una memoria alla commissione Finanze del Senato che sta esaminando l’ultimo decreto sull’agevolazione. Superbonus e bonus facciate, in particolare, hanno avuto un impatto “rilevante e crescente” nel tempo: l’asticella del periodo 2020-23, secondo gli ultimi dati, è salita a circa 170 miliardi. Con un gap tra i risultati e le attese “macroscopica” nel caso del Superbonus, e che “non ha precedenti”, osserva l’Upb, che indica vari elementi che hanno contribuito a far lievitare la spesa: la generosità dello sconto e le modalità di fruizione, l’ampliamento degli obiettivi, proroghe e deroghe.

A farne le spese è il debito. Quanto rilevato in termini di competenza economica nel quadriennio 2020-23 inciderà soprattutto sul 2024-26, evidenzia l’Upb, che quantifica questa “pesante eredità”: un impatto in media annua pari allo 0,5% del Pil nel triennio 2021-23, che salirà a circa l’1,8% in quello successivo. Un’esperienza, quella del Superbonus, da cui “occorre trarre insegnamento per il disegno di future agevolazioni”, osserva l’Upb, che indica la rotta: selettività e stop agli automatismi. In prospettiva, dunque, la soluzione suggerita è “un trasferimento monetario” (un contributo diretto alla spesa), modulato in base alle condizioni economiche delle famiglie e alla classe energetica dell’edificio, sottoposto ad autorizzazioni preventive e soggetto a un limite di spesa, o con prestiti agevolati. E in vista delle prossime misure di sostegno per le case green, a mettere in guardia è anche la Banca d’Italia: le “criticità” emerse con il Superbonus sembrano “sconsigliare la riproposizione in futuro della cedibilità dei crediti”, se non in “forma limitata” e “circoscritta ad alcune categorie”.

Dopo l’ultima stretta sul Superbonus intanto, si studiano nuove deroghe. A proporle, per altre aree colpite dal sisma diverse da quelle per cui già si è fatta eccezione (a partire dall’Emilia Romagna) o dalle alluvioni e per il Terzo settore, sono sia la maggioranza che l’opposizione con diversi emendamenti al decreto Superbonus. Il termine per presentare le proposte di modifica è mercoledì 24 aprile, ma sul tavolo del relatore, Giorgio Salvitti, gli emendamenti cominciano ad arrivare. Si studia anche la possibilità di coinvolgere, su base volontaria, i Comuni nei controlli ai cantieri del Superbonus, garantendo loro un ritorno economico pari al 30% dell’eventuale recupero. Nulla sarebbe invece ancora arrivato sulla possibilità di allungare da 4 a 10 anni i tempi di utilizzo dei crediti del Superbonus. Ipotesi su cui però si è già detto favorevole il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. E che, secondo i calcoli dell’Upb, consentirebbe al debito di restare abbondantemente sotto quota 140%.

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Confindustria, tutti i nomi della nuova squadra del presidente Orsini

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Il consiglio generale di Confindustria, su proposta del presidente designato Emanuele Orsini, ha approvato la squadra di presidenza per il quadriennio 2024-2028 con l’84% delle preferenze. Dieci i vicepresidenti elettivi: Francesco De Santis, Maurizio Marchesini, Lucia Aleotti, Angelo Camilli, Barbara Cimmino, Vincenzo Marinese, Natale Mazzuca, Marco Nocivelli, Lara Ponti. Completeranno la squadra di presidenza i tre vicepresidenti di diritto: Giovanni Baroni presidente della Piccola Industria, Riccardo Di Stefano presidente dei Giovani Imprenditori, Annalisa Sassi presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali.

Il consiglio generale di Confindustria ha approvato la squadra di presidenza per il quadriennio 2024-2028 con l’84% delle preferenze: su 132 presenti, 110 hanno votato a favore, i contrari sono stati 9 e 13 le schede bianche. Queste le deleghe ai vicepresidenti. Francesco De Santis continuerà il suo impegno su Ricerca e Sviluppo. Maurizio Marchesini, dopo aver seguito le Filiere e le Medie Imprese, avrà la delega su Lavoro e Relazioni industriali. Stefan Pan, croseguirà il lavoro svolto in Europa negli scorsi quattro anni in veste di delegato del presidente, con la vicepresidenza per l’Unione europea e il rapporto con le Confindustrie europee. A Lucia Aleotti andrà la vicepresidenza per il centro studi, snodo cruciale nella definizione delle strategie di politica economica. Ad Angelo Camilli la delega su credito, finanza e fisco. Barbara Cimmino seguirà l’export e l’attrazione degli investimenti. A Vincenzo Marinese sarà affidata la responsabilità dell’organizzazione e dei rapporti con i territori e le categorie. Natale Mazzuca avrà la delega alle politiche strategiche e allo sviluppo del Mezzogiorno. A Marco Nocivelli la nuova delega sulle politiche industriali e made in Italy. Lara Ponti si occuperà di transizione ambientale e obiettivi Esg, temi centrali nell’agenda di Confindustria. Emanuele Orsini manterrà per sé la responsabilità su alcuni grandi capitoli strategici: transizione digitale, cultura d’impresa e certezza del diritto.

La squadra di presidenza di Emanuele Orsini, al vertice di Confindustria per il 2024-2028, su richiesta del presidente designato si avvarrà anche del contributo di tre special advisor: Antonio Gozzi con delega all’autonomia strategica europea, piano Mattei e competitività; Gianfelice Rocca per le Life Sciences e Alberto Tripi per l’intelligenza artificiale. Il nuovo board di Confindustria sarà coadiuvato da cinque delegati del presidente: Leopoldo Destro ai trasporti, alla logistica e all’industria del turismo, Riccardo Di Stefano al quale sarà affidata la delega all’education, Giorgio Marsiaj si occuperà di space economy, ad Aurelio Regina andrà la delega all’energia, mentre Mario Zanetti seguirà l’economia del mare.

 

Il presidente Orsini ha anche ringraziato l’ambasciatore Raffaele Langella per il lavoro svolto come direttore generale, annunciando che fino al suo prossimo incarico, sarà al suo fianco come consigliere diplomatico. Il nuovo direttore generale sarà Maurizio Tarquini.

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