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La svolta di Corbyn, sì al referendum bis sulla Brexit

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Arriva la svolta di Jeremy Corbyn sulla Brexit, lungamente attesa e lungamente rinviata: il leader dell’opposizione britannica formalizza la richiesta del Labour d’un secondo referendum sul divorzio da Bruxelles, lanciando il guanto di sfida al futuro premier (quasi sicuramente Boris Johnson) e impegnandosi a sostenere l’opzione di restare nell’Ue (Remain) contro qualunque no deal o qualunque accordo che un prossimo governo Tory fosse mai in grado di portare a casa. La decisione laburista e’ stata ratificata oggi dal governo ombra e annunciata da Corbyn in una lettera aperta agli iscritti. Lettera in cui il leader – azzoppato dal pessimo risultato delle recenti elezioni europee dopo aver tentato insistentemente di mantenersi in bilico fra la maggioranza anti Brexite lo zoccolo duro pro Leave del suo partito – rompe gli indugi, superando buona parte delle esitazioni che il fronte filoeuropeo gli aveva finora rimproverato. E sollecita chi fra Boris Johnson e Jeremy Hunt subentrera’ a Theresa May ad accettare di “restituire la parola al popolo”. “Chiunque diventi primo ministro, dovrebbe sottoporre a un voto pubblico il suo deal, o un no deal”, scrive Corbyn. E in questo caso, aggiunge, “il Labour fara’ campagna pro Remain contro qualunque accordo Tory che non protegga l’economia e i posti di lavoro”. L’unica riserva – come concordato ieri in una riunione fra i vertici laburisti e i sindacati – resta legata alla possibilita’ che il prossimo governo Tory cada, passi la mano a un esecutivo laburista e che sia questo a negoziare una Brexit soft. Ma comunque la svolta c’e’, certifica Hilary Benn, presidente della commissione Brexit alla Camera dei Comuni e capofila dell’ala piu’ euro-entusiasta del Labour, che parla di “un momento molto significativo”. Un cambio di passo che ottiene il plauso tanto della fronda interna animata dal vice leader Tom Watson, quanto degli esponenti della sinistra interna fedelissimi di Corbyn, come il cancelliere dello scacchiere ombra John McDonnell, che sul dossier Brexit si erano dissociati negli ultimi mesi dagli equilibrismi imputati al compagno Jeremy. Ma che non potra’ non incontrare il dissenso di almeno 20-30 deputati eletti in collegi pro Leave e di un pezzo di base militante quantificata in un quarto, se non un terzo, d’elettori laburisti potenziali. D’altro canto il sogno di una rivincita referendaria non e’ nelle mani del Labour o delle sole opposizioni. Per renderlo possibile occorrera’ una maggioranza parlamentare, fuori discussione a meno di una rivolta di 40-50 deputati conservatori disposti a rompere con il leader destinato a succedere alla May a Downing Street e a correre il rischio di elezioni anticipate: scenario destinato a chiarirsi meglio dopo il 23 luglio, giorno nel quale e’ previsto il verdetto del ballottaggio per la leadership Tory fra il favoritissimo Johnson e Jeremy Hunt. I sondaggi fra i 160.000 iscritti Tory – in maggioranza maturi ed euroscettici, chiamati a decidere la sfida attraverso un voto postale le cui procedure sono gia’ iniziate – lasciano in effetti pochi spazi ai dubbi. Boris appare lanciato verso il traguardo nonostante gli ultimi attacchi di Hunt nel dibattito televisivo a due di stasera su Itv. Tanto piu’ che l’impegno di attuare la Brexit costi quel che costi (unito alle promesse di mirabolanti tagli fiscali) accomuna i contendenti, con la differenza che Johnson si mostra se non altro piu’ chiaro nell’indicare tassativamente l’azzardo della scadenza dell’uscita dall’Ue il 31 ottobre. Deal o no deal. Mentre in materia di relazioni internazionali e’ sempre lui a proporsi come scelta migliore rispetto al suo successore al Foreign Office per provare a ricucire con l’alleato americano e con “l’amico” Donald dopo l’ennesima polemica innescata dal leak dei cablo anti-Trump dell’ambasciatore negli Usa, Kim Darroch. E la reazione furiosa del presidente americano sfociata giusto oggi in una nuova raffica di accuse via Twitter alla dimissionaria May per la sua politica sulla Brexit, accompagnato da una sorta di benservito allo “stupido presuntuoso” Darroch.

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Musk rifiuta di eliminare da X video dell’attacco a Sidney

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Elon Musk ha reagito all’ordine di un tribunale australiano di eliminare da X i video dell’attacco nella chiesa di Sidney dopo che il commissario per la eSafety dell’Australia ha chiesto un’ingiunzione. Il miliardario patron di Tesla ha risposto con un post sulla sua piattaforma accusando il premier Anthony Albanese di “censura”. “La nostra preoccupazione è che se qualsiasi Paese è autorizzato a censurare i contenuti di tutti i paesi, allora cosa impedirà a qualsiasi paese di controllare Internet?”

Musk ha detto che X farà appello contro l’ingiunzione australiana. “Abbiamo già censurato il contenuto in questione per l’Australia, in attesa di ricorso legale, ed è archiviato solo su server negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che Musk è cieco di fronte all’angoscia causata dai video. “Faremo ciò che è necessario per affrontare questo miliardario arrogante che pensa di essere al di sopra della legge, ma anche al di sopra della comune decenza”, ha detto Albanese all’emittente pubblica Abc. “L’idea che qualcuno vada in tribunale per il diritto di pubblicare contenuti violenti su una piattaforma mostra quanto il signor Musk sia fuori dal mondo”, ha aggiunto.

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L’ambientalista indigeno Victorio Dariquebe assassinato nell’Amazzonia peruviana

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Un ambientalista indigeno, Victorio Dariquebe, è stato assassinato in una comunità amazzonica del Perù sudorientale dove lavorava come guardia forestale: lo riferiscono le autorità locali. L’uomo, dell’etnia Harakbut-Wachiperi, è stato aggredito nei pressi della riserva naturale di Amarakaeri, nella provincia di Manú.

“Riaffermiamo il nostro impegno affinché questo crimine non rimanga impunito e i responsabili siano individuati e ricevano tutto il peso della legge”, ha affermato il governo peruviano in una dichiarazione firmata da diversi ministeri. L’ambientalista “ha fatto un ottimo lavoro nella conservazione della riserva di Amarakaeri”, ha sottolineato l’Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep) in un comunicato sui social, secondo cui Dariquebe “aveva ricevuto minacce”.

I popoli originari del Perù combattono l’estrazione illegale e si oppongono a una recente legge approvata dal Congresso che, a loro avviso, incoraggia la deforestazione. Secondo l’ong Global Witness, dal 2012 nel Paese sono stati uccisi almeno 54 difensori delle terre e dell’ambiente, di cui più della metà appartenevano a popolazioni indigene.

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Ucraina, Copenaghen: daremo a Kiev tutti gli F-16 concordati

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La Danimarca invierà all’Ucraina tutti gli aerei da caccia F-16 concordati in precedenza dai leader dei due paesi, ha detto l’ambasciatore danese Ole Egberg Mikkelsen. Parlando con l’emittente ucraina Liga, Mikkelsen ha detto che i jet saranno sicuramente consegnati a Kiev e che si tratta dell’intera flotta di F-16 della Danimarca, che ora è in fase di dismissione. Mikkelsen non ha tuttavia specificato il numero esatto di caccia che saranno inviati all’Ucraina. L’ambasciatore ha spiegato che la Danimarca sta dismettendo la sua flotta perché Copenaghen riceverà presto una nuova generazione di aerei, gli F-35.

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