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La sfida di Boris Johnson per il dopo May, Brexit a ottobre anche senza accordo

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Fuori dall’Ue il 31 ottobre, “con o senz’accordo”. Boris Johnson lancia la sua parola d’ordine per provare a conquistare la poltrona di leader del partito conservatore britannico e quella di primo ministro dopo l’addio tra le lacrime di Theresa May. Ma la sfida dell’ex titolare degli Esteri ed ex sindaco di Londra, campione d’una retorica pro Brexit che divide il Paese in estimatori e detrattori radicali, e’ ancora agli inizi: incoraggiata da consensi crescenti in casa Tory, eppure tutt’altro che al riparo dalle insidie d’una platea di rivali di giorno in giorno piu’ larga, in attesa dello start il 7 giugno. Il guanto Boris lo ha lanciato ieri dal palco di un forum in Svizzera, con parole riecheggiate trionfalmente dal Daily Telegraph, il suo giornale, nella forma di uno slogan tagliato con l’accetta. Di slogan in effetti si tratta, perche’ a leggere fra le righe il senso non pare esattamente quello d’invocare come un destino obbligato il no deal (temuto da molti altri, mondo del business in testa, ma che un premier determinato potrebbe imporre di default senza necessariamente essere tenuto a ridare un voto vincolante al Parlamento). E tuttavia come un’ipotesi da sbandierare. Se saro’ scelto “vi sara’ l’opportunita’ di fare le cose in modo diverso e noi lasceremo l’Ue il 31 ottobre, deal o no deal”, gigioneggia Johnson nei panni di candidato. Salvo precisare che potrebbe trattarsi anche di tattica, visto che “il modo migliore d’avere un buon accordo e’ predisporsi a un’uscita senz’accordo”. Calembour e artifici verbali a parte, il messaggio dell’eterno aspirante leader stavolta potrebbe andare a segno. Il suo riferimento al 31 ottobre, scadenza della proroga (flessibile) concessa da Bruxelles al Regno Unito, resta netto e categorico: con lui oltre non si va. E gli vale reazioni immediate. Contro si schierano due moderati della leva dei 40enni, il ministro della Sanita’, Matt Hancock, e quello della Cooperazione Internazionale, Rory Stewart, entrambi scesi a loro volta in campo, ma con la promessa di riuscire dove la May ha ripetutamente fallito: condurre in porto una Brexit con accordo e solo una Brexit con accordo. Dalla loro parte, hanno il fatto di poter rappresentare anche una svolta generazionale. Da outsider pero’: meno divisivi, ma molto meno trascinanti. Il primo gioca per se stesso, 40 anni appena compiuti, la carta del leader dell’avvenire. Di colui che ha piu’ tempo davanti ed e’ pronto a usarlo trattando a oltranza con Westminster, anche per evitare l’epilogo di elezioni politiche anticipate il cui risultato sarebbe inevitabilmente diverso da quello delle Europee di questo fine settimana e potrebbe portare entro Natale al governo del Regno il Labour neo-socialista di Jeremy Corbyn (Corbyn by Christmas e’ divenuto un hashtag virale, incubo per alcuni, sogno per altri, mentre il maggior partito di opposizione fa gia’ sapere di essere pronto a presentare una mozione di sfiducia contro chiunque succedera’ alla May). Il secondo prende di petto Boris. Che, dice Stewart, “ha molte qualita’”, ma non quella d’essere affidabile: “Solo due settimane fa mi aveva detto di non voler spingere per un no deal e ora tira fuori questa soluzione che io credo sia non attuabile, non necessaria e dannosa per il Paese e per la nostra economia”. I bookmaker non credono comunque che Stewart o Hancock possano rappresentare un vera ostacolo per Johnson, al pari della brexiteer Esther McVeigh, altra figura gia’ in lizza. Tanto meno se, come scrive il Telegraph, dalla parte di Boris si orientassero come verso qualcosa d’inevitabile colombe di peso quali i ministri Philip Hammond e Amber Rudd. Salvo non scommettere su altri euroscettici per ora in attesa sulla riva del fiume, come il dottor sottile Michale Gove o il super falco Dominic Raab. Oppure puntare sul centrista Jeremy Hunt, che la sua candidatura l’ha presentata in veste di pro Remain pentito: avvicinatosi da tempo ai falchi fino a paragonare fra il serio e il faceto l’Unione Europea all’Unione Sovietica.

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Veto russo a bozza Usa contro armi nucleari nello spazio

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La Russia ha bloccato con il veto la risoluzione elaborata da Usa e Giappone sulla prevenzione delle armi nucleari nello spazio. La bozza intendeva “rafforzare e sostenere il regime globale di non proliferazione, anche nello spazio extra-atmosferico, e riaffermare l’obiettivo condiviso del suo mantenimento per scopi pacifici”. Il testo ha ottenuto 13 voti a favore, il veto della Russia e l’astensione della Cina.

Oltre a ribadire gli obblighi ai 115 Stati parte del Trattato sullo spazio extra-atmosferico – compresi tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza – “di non posizionare in orbita attorno alla Terra alcun oggetto che trasporti armi nucleari o altre armi di distruzione di massa”. Mosca e Pechino volevano un emendamento che riecheggiava una proposta del 2008 delle due potenze, e aggiungeva un paragrafo che vietava “qualsiasi arma nello spazio”, ma e’ stato bocciato avendo ottenuto solo 7 voti a favore.

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Indagini sulla moglie, Sanchez valuta le dimissioni

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E’ un leader abituato alla resilienza, rimasto al timone nelle condizioni più avverse. Ma per Pedro Sanchez ha avuto l’effetto di una bomba di profondità la notizia, anticipata da El Confidencial, di un’indagine aperta dal Tribunale di Madrid nei confronti di sua moglie, Begona Gomez, sulla base di un esposto presentato dal sindacato di estrema destra Manos Limpias, che ipotizza presunti reati di abuso di informazione privilegiata e corruzione. Tanto che il premier, pur confidando nella giustizia, sta valutando l’ipotesi di dimettersi: una decisione sarà presa lunedì.

L’attività professionale della primera dama all’African Center dell’Istituto di Impresa privato IE University e all’Università Complutense, e sui presunti rapporti con alcune imprese destinatarie di appalti e fondi pubblici, da settimane era al centro di una campagna mediatica, cavalcata dal Partito Popolare e dall’ultradestra Vox, che hanno minacciato di citare Begogna Gomez anche nella commissione parlamentare d’inchiesta sulle presunte tangenti sulle forniture di materiale sanitario durante la pandemia, che scuote l’esecutivo socialista.

“In un giorno come oggi, e dopo le notizie che ho conosciuto, nonostante tutto, continuo a credere nella giustizia del mio paese”, aveva affermato, scuro in volto e in tono grave Pedro Sanchez stamattina durante il question time alla Camera, senza fare riferimento diretto all’inchiesta. Poi, in serata, ha rotto il silenzio, in una lettera di 4 pagine alla cittadinanza su X, in cui ha annunciato di aver “cancellato l’agenda” per un “periodo di riflessione” in cui rifletterà “se valga la pena” restare alla guida del governo, davanti “alla campagna di intimidazione e demolizione” mossa dal Partito Popolare e dall’ultradestra Vox nei confronti della moglie, che sta soffrendo assieme alla sua famiglia. Si tratta, scrive il premier, che cita di nuovo “la macchina del fango”, “di attacchi senza precedenti” per “tentare di abbattermi politicamente e personalmente attaccando mia moglie”.

“Arrivati a questo punto, la domanda che mi pongo legittimamente è: vale la pena tutto questo?”, si chiede il capo dell’esecutivo. L’esposto di Manos Limpias – che si autodefinisce un sindacato, fondato nel 1995 da Miguel Bernard, ex responsabile del gruppo di estrema destra Forza Nuova – è l’ultimo di una lunga serie di denunce presentate contro il governo e la sinistra e spesso finite nel nulla. L’ultima si basa su una serie di articoli pubblicati da quella che Sanchez chiama “una costellazione di testate dell’ultradestra” ed è relativo a presunte riunioni avute nel 2020 da Begona Gomez con i responsabili di Globalia, proprietaria della compagnia aerea Air Europa.

Poi destinataria di un finanziamento 475 milioni da parte dell’esecutivo spagnolo mediante il fondo creato durante la pandemia per il salvataggio di imprese strategiche. Gli inquirenti stanno anche esaminando due lettere di raccomandazioni che Gomez avrebbe fornito per una joint venture per un appalto pubblico, secondo El Confidencial. Il principale azionista della joint venture era il consulente Carlos Barrabes, che ha legami con il dipartimento gestito da Gomez all’Università Complutense di Madrid ed ha vinto il contatto, battendo altri 20 rivali, per 10,2 milioni di euro. L’indagine preliminare, aperta il 16 aprile dal tribunale madrileno, è stata secretata dal giudice che ha citato a dichiarare vari testimoni, fra i quali due giornalisti. Non è stata citata per ora la moglie del premier, ma lo sarà.

“Abbiamo smentito queste falsità mentre Begogna ha intrapreso azioni legali”, spiega il premier nella missiva. “Begogna collaborerà con la giustizia e difenderà la sua onorabilità”, assicura. Ma “sono state superate tutte le linee rosse” ed è necessaria “una riflessione”. Il partito popolare per bocca della vicesegretaria nazionale Ester Munuz, ha chiesto a Sanchez di dare spiegazioni. E la segretaria del partito ha accusato il premier di “vittimismo e di sparire per 5 giorni invece di dare conto”. In difesa del premier e della moglie è invece intervenuta la sua vice, Maria Jesus Montero: “Non permetteremo che queste pratiche trumpiane per coprire la corruzione nel Pp minino la democrazia spagnola”. I quotidiani della costellazione dell’estrema destra da settimane danno Pedro Sanchez in partenza per Bruxelles in vista di un ruolo di primo piano nelle nuove istituzioni comunitarie dopo il voto di giugno.

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Blinken: Usa-Cina gestiscano relazioni responsabilmente

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Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha invitato gli Stati Uniti e la Cina a gestire le loro differenze “responsabilmente”, iniziando oggi la sua visita nel Paese asiatico. “Abbiamo l’obbligo nei confronti del nostro popolo, e anzi nei confronti del mondo, di gestire le relazioni tra i nostri due paesi in modo responsabile”, ha detto Blinken a Shanghai incontrando il leader del Partito comunista locale.

Il segretario di Stato americano ha affermato che il presidente Joe Biden è impegnato nel dialogo “diretto e duraturo” tra le due maggiori economie del mondo, dopo anni di crescente tensione. “Penso che sia importante sottolineare il valore e anzi la necessità dell’impegno diretto, del parlarsi l’un l’altro; mettere in evidenza le nostre differenze, che sono reali, cercando di superarle”, ha detto Blinken. Il segretario del Partito comunista cinese per Shanghai, Chen Jining, ha dato il benvenuto a Blinken e ha parlato dell’importanza delle imprese americane per la città. “Sia che scegliamo la cooperazione o il confronto, influisce sul benessere di entrambi i popoli, di entrambi i paesi e sul futuro dell’umanità”, ha detto Chen.

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