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La certezza della pena? Chissènefrega! Ci sono magistrati che vorrebbero “liberare” fino a 20mila detenuti

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Cominciamo con una banalità: un delinquente è tale perché delinque. Quelle idiozie sociologico-politiche sull’istinto criminale dell’immigrato o del povero o dell’analfabeta vanno bene per la propaganda elettorale. Le carceri sono purtroppo zeppe anche di laureati, italiani e benestanti. Aggiungiamo un’altra banalità: se la pena è efficace ed è effettiva, previene, di fatto, la commissione di nuovi reati. E infine ma non per ultimo, ribadiamo un’altra cosa di immediata comprensione per tutti, nel senso che non bisogna essere un magistrato o un avvocato per capirla:  un sistema sanzionatorio basato sull’effettività e sull’efficacia della pena elimina la sensazione d’impunità e dissuade il potenziale delinquente dal delinquere. Se io so che quando commetto un reato è facile che mi becchino. Se io so che se mi beccano, in poco tempo mi processano (con tutti i crismi e i miei diritti di difesa, per carità di Dio) e se ne ricorrono le condizioni mi condannano. Poi, devo sapere anche che affinché le norme penali non siano una barzelletta, non è tanto importante la severità, quanto la certezza della pena. Che cosa significano in Italia queste tre parole? Certezza della pena nel Paese delle tante leggi che in generale non vengono osservate, è diventata una barzelletta. Nel senso che tutti ne parliamo, solo per farci due risate.

Giovanni Salvi. In questa foto il Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione stringe la mano al Presidente della Repubblica

La certezza della pena non intacca il “garantismo”, perché quando lo Stato condanna un reo non lo fa per “vendetta” ma per giustizia, per applicare la pena per i colpevoli, individuati in punta di diritto e secondo procedure di massimo garantismo. Anzi, forse in Italia v’è un eccesso. Ma va bene così. La certezza della pena, in Italia,  “è messa in crisi” (scrivono i migliori giuristi), io sostengo è una presa in giro, da indulti o amnistie preparati e approvati “perché le carceri sono sovraffollate”. Sfido chiunque a ricordarci quante volte negli ultimi venti anni, con la scusa del sovraffollamento dei penitenziari i membri del Parlamento, organo sovrano per eccellenza, son stati costretti ad alzare la mano o ad infilare la tessera nella feritoia del loro scanno per votare provvedimenti di indulto, amnistia o altre forme più subdole di “liberi tutti”. L’importante è sempre svuotare le celle dei penitenziari d’Italia quando i boss delle quattro sorelle di mafia decidono che non si sta più bene; che le carceri italiane sono disumane; che i detenuti non hanno abbastanza spazio; che sono in troppi; che bisogna evitare le rivolte ed altre cose che non sto a ricordare perchè tanto tutti le conoscete.  Questi provvedimenti, come sanno almeno i magistrati che si occupano di reprimere reati e giudicare rei, contraddicono la certezza della pena, fanno crollare l’architrave del sistema sanzionatorio.

Stiamo attraversando l’ennesima sceneggiata per liberare detenuti, imbastendo la finzione dello Stato magnanimo verso chi ha sbagliato in un momento difficile per il Paese. Siamo alle solite. Hai voglia di spiegare che la pena non deve essere eccezionale, deve essere semplicemente la pena  prevista dalle leggi penali in vigore. Dice: ma perchè tutto questo “paraustiello”? Perchè siamo in prossimità dell’ennesimo provvedimento svuotacarceri e questa volta sarà fatto dalla classe politica con la collaborazione persino di magistrati che dimenticano alcune parole d’ordine oltre che la cultura giuridica che avevano imparato sui manuali di diritto.

In queste ore (dopo rivolte in tutte le carceri, 14 morti ammazzati, evasioni di massa, danni per milioni di euro alle strutture), c’è un magistrato che dice al quotidiano Repubblica che “il problema non è la certezza della pena, ma l’emergenza Covid-19”. Avete letto bene. Come se uno dovesse per forza scegliere: che vuoi l’emergenza Covid o far uscire i detenuti che si rivoltano nelle carceri? E dunque davanti a questo dilemma epocale, evidentemente molti di noi sceglierebbero di svuotare le carceri.

Giuseppe Cascini, già pubblico ministero a Roma, oggi consigliere al Csm per l’Area di sinistra propone che escano dalle carceri al più presto tutti coloro che devono scontare ancora tre anni di pena. E che non entri neppure in cella chi è stato condannato a 4 anni ed è in attesa dell’esecuzione. Con buona pace per la certezza della pena e senza nessuna considerazione per chi magari ha subito reati d’ogni genere da chi, secondo il lodo Cascini, deve uscire dalle celle o comunque non ci deve entrare stante l’epidemia da Covid-19. Insomma l’Italia dovrebbe fare scelte coraggiose che altri Paesi dal pedigree democratico immacolato hanno già fatto come la Libia, la Turchia, l’Iran, l’Indonesia. Per Cascini “le scarcerazioni sono necessarie e anche urgenti. Siamo di fronte a un’emergenza e quindi servono rimedi straordinari. Ci sono circa 20mila detenuti che scontano una pena inferiore a tre anni per reati non gravi. Dovrebbero essere tutti collocati automaticamente in detenzione domiciliare almeno fino a quando dura l’emergenza”. Dunque per questo magistrato “il problema non è la certezza della pena” quando c’è il covid 19 in giro? Meglio mandare a casa migliaia di detenuti. Agli arresti domiciliari, niente braccialetti elettronici. “Vanno mesi ai domiciliari col divieto di uscire. Non credo ci sia bisogno di braccialetti in un momento in cui quasi tutti stanno a casa, e le città sono presidiate dalle forze di polizia. Semmai mi sentirei di proporre pene elevate per chi dovesse evadere dai domiciliari, perché non solo si sottrae alla pena, ma mette a rischio la salute pubblica” dice  Cascini a Repubblica.
Il governo lunedì 6 aprile dovrebbe inserire un emendamento al decreto Cura Italia per mandate ai domiciliari solo chi deve scontare sei mesi come già stabilisce il decreto del 17 marzo; chi ha di fronte ancora da sei a 12 mesi ottiene i domiciliari previo via libera del magistrato di sorveglianza che valuta l’eventuale rischio di reiterazione del reato e comunque la concessione della misura anche se non dovesse essere ancora disponibile il braccialetto. Oltre i 12 mesi il braccialetto è obbligatorio. Per il consigliere del Csm Cascini le misure del Governo sono insufficienti. A Cascini  fa eco addirittura il Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. È “concreto e attuale il rischio epidemico” nelle carceri e “occorre dunque incentivare la decisione di misure alternative” per “alleggerire la pressione”. “Mai come in questo periodo – spiega Salvi – va ricordato che nel nostro sistema il carcere costituisce l’extrema ratio” e deve rimanerci solo chi è pericoloso o ha commesso reati da ‘codice rosso’. Secondo Salvi, “occorre dunque incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione dalle presenze non necessarie in carcere: ciò limitatamente ai delitti che fuoriescono dal perimetro predittivo di pericolosità e con l’ulteriore necessaria eccezione legata ai reati da “codice rosso””. Il rischio del contagio da Coronavirus, aggiunge Salvi, “non lascia tempo per sviluppare accertamenti personalizzati, e può in molti casi rappresentare ‘l’oggettivizzazione’ della situazione di inapplicabilità della custodia in carcere a tutela della salute pubblica, in base ai medesimi criteri dettati per la popolazione al fine di contrastare la diffusione del virus”. Chissà che cosa ne pensano i due magistrati, Cascini e Salvi della scarcerazione di un pericoloso boss calabrese,  Vincenzino Iannazzo. Il signor Iannazzo è a forte rischio di infezione da Covid-19 “per caratteristiche di genere (maschile), per età (65 anni), deficit immunitario da terapia cronica antirigetto per trapianto” e per la presenza di altre patologie. Per questa ragione, e visto che si trova ristretto nel carcere di Spoleto, in Umbria, sede “particolarmente esposta”, la seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha accolto la richiesta dei suoi avvocati e ha sostituito nei confronti di Vincenzino Iannazzo la misura degli arresti in carcere con quella dei domiciliari.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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