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In Siria succedono cose turche, gli americani scappano e comincia la pulizia etnica dei curdi

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Sulla rete circola un video raccapricciane che arriverebbe dalla Siria. Sono immagini che arrivano dal nord est sotto attacco delle truppe di Ankara. Siamo in zona a maggioranza curda. È qui che è  in corso l’offensiva turca. In questi filmanti pubblicati sui social network da attivisti curdi del Rojava Information Center si mostrano le immagini davvero di una crudeltà inaudita di resti di corpi di donne e uomini.

 

Dunque la guerra non fa vittime solo tra i miliziani curdi ma anche tra i civili. Ma siccome siamo in piena propaganda di guerra, va detto che la carneficina sarebbe stata fatta nel corso di un ‘raid turco’ a sud della cittadina frontaliera di Ras al Ayn/Serekanie. Il filmato, che non è pubblicabile per la mostruosità dei contenuti, mostra  miliziani e civili feriti a terra, con i corpi straziati in pozze di sangue, corpi carbonizzati fatti a pezzi tra lamiere contorte di auto, campione e PK in fiamme.

Ad onore del vero non è possibile verificare le circostanze del bombardamento che ha preso di mira il convoglio di miliziani e civili. Le fonti affermano che si trattava di un convoglio di pulmini sui quali viaggiavano miliziani, giornalisti e civili diretti a Ras al Ayn per esprimere solidarietà alla cittadina frontaliera assediata dalle forze turche. Una colonna di persone sorprese dai turchi. Non si conosce il numero dei morti e dei feriti.

Oggi è anche la giornata di un assassinio che apre una ferita enorme nella comunità internazionale. In un agguato è stata uccisa Hevrin Khalaf. Chi è? Una donna appassionata, coraggiosa, in grado di far comprendere le ragioni della causa curda agli inviati di Paesi stranieri.

Hevrin Khalaf, 35 anni, la co-segretaria del Partito per il Futuro della Siria giustiziata in Siria da “mercenari sostenuti da Ankara” (secondo le Forze democratiche siriane), è descritta da chi la conosceva come una sorta ‘ministro degli Esteri’ del Rojava.

Di recente aveva guidato un Forum tribale delle donne, queste ultime soggetto cruciale, per lei, di una possibile transizione democratica che conduca a una Siria inclusiva e rispettosa dei diritti delle minoranze, e fortemente decentralizzata rispetto all’impostazione baathista.

Al momento della sua fondazione, avvenuta il 27 marzo del 2018, il Partito per il Futuro della Siria, affermò tra i suoi principi la laicità dello Stato, una Siria “multi identitaria”, la “rinuncia alla violenza” in favore di una “lotta pacifica per la risoluzione delle controversie, “l’eguaglianza tra uomini e donne” e il rispetto delle risoluzioni delle nazioni Unite, “in particolare la risoluzione 2254, secondo cui tutte le fazioni del popolo siriano dovrebbero essere rappresentate nel processo politico, compresa la stesura di una nuova costituzione”.

La guerra di Erdogan. Il leader turco vuole annettere parte del nord della Siria per creare un cuscinetto di sicurezza contro il popolo Curdo

Tutto questo accade mentre il numero uno del Pentagono, Mark Esper, dice che Donald Trump ha ordinato il ritiro delle truppe Usa nel nord della Siria. Una decisione quella degli Stati Uniti, di abbandonare definitivamente gli alleati curdi, dettata dalla pervicace volontà del leader turco Recep Tayip Erdogan di non fermarsi davanti a nulla. Non se ne frega nulla, ha fatto sapere Erdogan, degli embarghi economici e delle armi di Usa e Europei. Ma se Trump scappa e dice ai suoi soldati di mettersi in salvo nel Sud della siria e abbandonare popolazioni inerme sotto le bombe curde, gli europei provano strade più dure contro Erdogan.

Macron e Merkel hanno già vietato la vendita di armi all’alleato turco. La cancelliera, alla vigilia della riunione dei ministri Ue di domani a Lussemburgo, ha chiamato Erdogan chiedendogli “un’immediata fine dell’operazione militare”. Ma Erdogan ha fatto sapere che finirà quando avrà conseguito i suoi obiettivi.

“Al consiglio Esteri saremo categorici”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che nelle prossime ore avrà colloqui anchecol collega francese Jean-Yves Le Drian: “La Turchia deve cessare questa azione militare ma soprattutto noi chiederemo come Italia di bloccare la vendita di armamenti ad Ankara” da parte di tutta l’Europa.

 

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L’Australia esorta i suoi cittadini a lasciare Israele

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Il governo australiano ha esortato i suoi cittadini in Israele a “andarsene, se è sicuro farlo”. “C’è una forte minaccia di rappresaglie militari e attacchi terroristici contro Israele e gli interessi israeliani in tutta la regione. La situazione della sicurezza potrebbe deteriorarsi rapidamente. Esortiamo gli australiani in Israele o nei Territori palestinesi occupati a partire, se è sicuro farlo”, secondo un post su X che pubblica gli avvisi del dipartimento degli affari esteri e del commercio del governo australiano.

Il dipartimento ha avvertito che “gli attacchi militari potrebbero comportare chiusure dello spazio aereo, cancellazioni e deviazioni di voli e altre interruzioni del viaggio”. In particolare è preoccupato che l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv “possa sospendere le operazioni a causa di accresciute preoccupazioni per la sicurezza in qualsiasi momento e con breve preavviso”.

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Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

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C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

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Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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