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Ambiente

“Il respiro delle città, corridoi ecologici e polmoni verdi”, dibattito on line promosso dall’Associazione donne architetto di Napoli

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Il respiro delle città. Corridoi ecologici e polmoni verdi è il titolo dell’appuntamento di oggi che vede docenti universitari, associazioni, rappresentanti delle istituzioni cittadine e municipali di Napoli confrontarsi intorno a un tema che sta divenendo estremamente urgente per le difficoltà oggettive che oggi investono le nostre istituzioni nella gestione e nella manutenzione degli spazi pubblici e in particolare quelli delle aree verdi e dei parchi e dei giardini pubblici.
Siamo chiamati al confronto proprio oggi che si è conclusa la possibilità di inoltrare la candidatura alla manifestazione d’interessi formulata dall’Amministrazione Comunale di Napoli con il bando di riqualificazione di alcuni parchi: Parco Mascagna, Parco “Ciro Esposito” a Scampia, Parco del Viale del Poggio, Parco Troisi, Parco San Gennaro, Parco San Gaetano Errico e Parco Fratelli De Filippo per una spesa complessiva di 196mila euro.

L’incontro organizzato dall’Associazione Donne Architetto di Napoli parte dall’esperienza svolta nel Laboratorio di Progettazione Architettonica e Architettura del Paesaggio del Dipartimento di Architettura della Federico II tenuto da Emma Buondonno al terzo anno della laurea magistrale in architettura. Ogni anno è scelto un campo di sperimentazione progettuale del paesaggio che riguarda temi estremamente attuali nel dibattito della trasformazione urbana e della riqualificazione ambientale. Sono indagati, in particolare, gli aspetti del progetto di paesaggio e degli spazi verdi pubblici, come parchi e giardini, ma anche come verde stradale, scolastico, agricoltura urbana o i grandi parchi e giardini storici.

Ph. Barbara Jodice

Non possono neanche essere trascurate le altre componenti del paesaggio di Napoli e della sua Area Metropolitana come i costoni tufacei e scoscesi, le pendici collinari da quella di Posillipo a Monte Echia e Monte Sant’Erasmo, solo per fare alcuni esempi, le caldere dei crateri flegrei, il verde fluviale e le aree umide quasi del tutto scomparsi al di sotto della coltre di cemento e asfalto della metropoli magmatica post bellica 1950, post bradisisma 1970, post terremoto 1980, post bradisisma 1983 e del Piano Casa e dei Piani Urbanistici Attuativi più recenti in nome della densificazione urbana che non ha risparmiato le ultime aree verdi non ancora sacrificate in nome dell’economia edilizia.
Anche oggi siamo in una fase post emergenza epidemiologica, post Covid – 19, che però ci ha trovato completamente impreparati nella gestione del distanziamento fisico-sociale in una realtà tanto caratterizzata dalle più elevate densità edilizie e abitative di tutta l’Europa!
Negli ultimi decenni le scelte politiche e urbanistiche hanno inseguito la più irresponsabile concentrazione di attività e pesi demografici nella porzione più ridotta di territorio della Regione Campania, circa 3,5 milioni di abitanti della Città Metropolitana di Napoli, il 54% della popolazione dell’intera regione, sono concentrati in appena il 9% del territorio campano.
Se si aggiunge che lo stesso territorio è caratterizzato dalla presenza, sulla costa, dei due apparati vulcanici a rischio elevato permanente, il Vesuvio a est e i Campi Flegrei a ovest, si chiude un quadro di emergenze e rischi molto estesi da quelli di carattere naturale a quelli che si sono affacciati all’alba del 2020 di carattere epidemiologico.

Ai temi del paesaggio di carattere urbanistico si sommano gli aspetti della testimonianza di fasi storiche della crescita urbana che caratterizzano sistemazioni legate a ideali estetici e politici che rendono l’istanza storica, riferita all’intenzionalità progettuale, un valore da salvaguardare e tramandare. Il tema del confronto odierno è la riqualificazione dell’assetto botanico di Viale Augusto a Napoli con la sistemazione della grande arteria urbana concepita nella nascita del nuovo quartiere di Fuorigrotta in epoca fascista e che doveva condurre alla Mostra delle Terre d’Oltremare. Una sperimentazione progettuale offerta dal Dipartimento di Architettura in cooperazione interdisciplinare con competenze specialistiche e il confronto con le associazioni territoriali e le stesse istituzioni.

Siamo nel tempo in cui tutti dobbiamo offrire il contributo possibile alla soluzione dei problemi della vita collettiva, nessuno può tirarsi fuori!

Per seguire l’interessante dibattito, basta andare sulla pagina Facebook di Ada e seguire dalle 16 gli interventi moderati dalla giornalista Olga Fernandes

 

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Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

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Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

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Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

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Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

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Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

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Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

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