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Il manager-scrittore Tuccillo: “Le Polis e l’Europa sgonfieranno leghismo e sovranismo”

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Sembrano paleolitici i tempi in cui un giovane Matteo Salvini, primo direttore di Radio Padania, conduceva da via Bellerio la trasmissione radiofonica Mai dire Italia e gridava dai microfoni dell’emittente nordista: “L’Italia è il peggio del peggio del peggio”.

Meno lontana (era il 2009) la sua plateale richiesta di abolire la festa nazionale del 2 giugno, considerata uno spreco di denaro, seguita qualche mese dopo dalla partecipazione entusiasta al celeberrimo coro di Pontida, in cui cantò a squarciagola: “Senti che puzza, scappano i cani / stanno arrivando i napoletani… Son colerosi, terremotati. / Con il sapone non si son mai lavati”. Più recente (ottobre 2019) l’accusa al ministro Boccia di «straparlare» e litigare con i governatori delle regioni del nord, bloccando l’autonomia che chiedono da tempo.

Oggi, 21 dicembre, tutto questo è polvere di storia. Perché è ufficialmente nata la Lega nazionale. E lo stesso Matteo di cui sopra l’ha proclamato dicendo commosso: “Oggi è l’inizio di un bellissimo percorso, è il battesimo di un movimento che ha l’ambizione di rilanciare l’Italia nel mondo”. L’intellettuale del partito, cioè Giancarlo Giorgetti, si è sentito in dovere di glossare l’affermazione, dimostrando un filo di coda di paglia: “Il mondo intorno è cambiato – ha detto. – L’idea di fondo dell’autonomia rimane ma deve essere declinata in modo diverso in un mondo sempre più globalizzato!.

Insomma, il cavallo di battaglia della Lega (un tempo Lega Nord) si è trasformato da spadone sguainato, come quello del suo simbolico Alberto da Giussano, a pallida “idea di fondo da declinare in modo diverso”. Quale? Cerchiamo di capire il senso della repentina metamorfosi con Francescomaria Tuccillo, manager che ha vissuto e lavorato in diversi paesi del globo, nonché cultore di geopolitica europea e internazionale e autore di molti saggi, tra cui il recente Afrika. Chiavi d’accesso, pubblicato in questi giorni dall’editore napoletano Ebone.

Come legge questa trasformazione della Lega, diventata rapidamente partito nazionale? Come giudica quelle che paiono palesi incoerenze di percorso?

Quello che mi colpisce non è tanto l’incoerenza – male comune a troppi partiti – quanto la tempistica delle scelte leghiste. In questo momento storico molte voci autorevoli sostengono un’evidenza che, se mi permette, sto sottolineando da molti anni nei miei interventi pubblici e nei miei scritti: la progressiva decadenza degli stati-nazione di matrice ottocentesca, nati a tavolino dopo le guerre mondiali e incapaci ormai di rispondere alle aspirazioni e alle dinamiche della società.

In parallelo è sempre più forte la voce delle Polis o grandi città metropolitane, che rivendicano un’autonomia alla quale credo abbiano diritto. Cito esempi di natura diversa, ma ugualmente lampanti: Hong Kong che combatte il governo centrale cinese, Barcellona che è in piazza da mesi, New York (seguita a ruota da Boston, Washington, Austin, Seattle e altre metropoli statunitensi) che si oppone apertamente a Trump a proposito di emergenza climatica, Edimburgo e la Scozia che vogliono abbandonare il Regno Unito. E ancora Bratislava, Budapest, Praga e Varsavia, i cui sindaci hanno firmato pochi giorni fa il “Patto delle città libere”, opponendosi al sovranismo populista dei loro rispettivi governi. Per venire all’Italia, Roma domanda più autonomia, Milano parla di città-stato, Napoli auspica addirittura di poter battere moneta. E 600 sindaci di ogni colore politico sfilano insieme contro il razzismo, a dispetto delle direttive centrali dei loro partiti.

Una delle grandi firme dell’agenzia Bloomberg, Leonid Bershidsky, ha pubblicato il 19 dicembre un lungo e interessantissimo articolo sul tema dal titolo Le città conto gli stati-nazione. 

Ebbene, in questa fase della storia la Lega, impavida e ignara di quel che accade nel mondo, torna al vetusto concetto di sovranismo nazionale, che ha peraltro contestato per anni e contro il quale ha costruito la sua stessa identità.

Salvini parla di “ambizione di rilanciare l’Italia nel mondo”. Crede sia possibile? Come?

Ignoro quali siano le strategie concrete con cui il segretario della Lega pensi di realizzare questo obiettivo. E d’altra parte il pensiero lungo non mi pare sia il suo forte. Credo personalmente che la sua ambizione sia solo una frase senza fondamento. L’Italia da sola, senza un’Europa politicamente più forte e strategicamente più solidale, rischierebbe – come gli altri stati del nostro continente – di diventare una piccola provincia povera ai margini dell’impero mondiale. 

Lei è dunque favorevole a un maggior grado di autonomia e, nello stesso tempo, a un’Europa più forte?

Sì. L’idea di autonomia cui penso è molto diversa da quella vetero-leghista della prima ora. Per la Lega autonomia significava chiusura e opposizione. Per come la vedo io, autonomia significa apertura e collaborazione. In sintesi, le città metropolitane – che hanno una personalità e una vocazione forti e sono prossime ai loro cittadini – dovrebbero gestire direttamente la vita della Polis in senso lato, mentre l’Europa dovrebbe, dal canto suo, acquisire quella voce politica che le manca e assicurare un approccio comune ai temi fondamentali che riassumo per semplicità nella triade “moneta, spada e feluca”: politica economica e monetaria, sicurezza e difesa, politica estera. Solo così ogni territorio troverebbe risposte rapide ai suoi problemi, sarebbe in grado di intessere collaborazioni fruttuose con altre parti del mondo e potrebbe esprimere la pienezza della sua vocazione, rafforzato dall’appartenenza a un continente che sarebbe capace, finalmente, di interloquire ad armi pari con le altre potenze mondiali.  Sono consapevole di come molti interessi si oppongano a questa visione, a cominciare dai potentati di ogni stato-nazione, che difendono ovviamente lo status quo, per finire con chi, per esempio in Russia o negli Stati Uniti, non ha nessuna intenzione di vedere un’Europa più forte e combatte con ogni mezzo, lecito o illecito, contro questa possibilità.

Ma non è perché una visione è difficile che bisogna rinunciarvi. Se così fosse stato, i neri sarebbero ancora schiavi, le donne non avrebbero diritto di voto e l’India farebbe sempre parte dell’impero britannico… Nessun passo avanti reale della storia è avvenuto senza incontrare ostacoli, a volte enormi, sul suo cammino.

Oggi credo non sia più tempo di piccoli tatticismi strumentali, ma di grandi cambiamenti strutturali.

Per tornare alla Lega, come spiega che nonostante tutto resti oltre il 30% nelle intenzioni di voto degli italiani?

Prima di tutto, nelle ultime settimane il suo consenso si sta erodendo. Lentamente, ma decresce. Quindi vedremo che cosa sceglieranno davvero i cittadini chiusi nella cabina elettorale. 

Più in generale, ritengo che il successo leghista sia dovuto alla difficoltà congiunturale. L’Italia è sempre più povera, indebitata, senza lavoro e senza prospettive. Aggiungiamo che il governo attuale è fragile, diviso al suo interno e non sa dare risposte forti e concrete ai bisogni sempre più urgenti dei cittadini. 

È naturale che chi è smarrito si aggrappi al primo salvagente disponibile senza nemmeno sapere se è abbastanza gonfio per sorreggerlo. Lo fa per disperazione, per rabbia, per protesta.

Al linguaggio, illusorio ma chiaro, della Lega occorrerebbe contrappore una visione del futuro nuova, più seria nei contenuti e più empatica nelle espressioni. Sono certo che la gente la comprenderebbe. Il problema è che oggi la Lega – e con lei Fratelli d’Italia – riempiono un vuoto politico che nessuno sa colmare.

In occasione delle ultime elezioni europee la Lega ha sfondato anche al sud, dopo averlo insultato per anni. Che cosa ne pensa?

Le ragioni sono quelle che ho appena sintetizzato: rabbia e disperazione, al sud ancora più forti che al nord. Quello alla Lega non è un voto “per”, ma un voto “contro”.  Mi auguro che l’idea di una Lega nazionale e addirittura sudista si riveli presto per ciò che è: pura affabulazione, condita da una buona dose d’irresponsabilità. Se questo partito pensa davvero che un arcaico schema sovranista senza respiro e senza concretezza possa rilanciare un paese malato, non ci sarà futuro per nessuno: per nessuna generazione, per nessuna impresa, per nessun luogo della penisola, meridionale o settentrionale che sia. 

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Cronache

Maxi incidente fra autotreni sulla A1, traffico bloccato, code fino a 18 km

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Uno scontro fra autotreni ha diviso l’Italia a metà per ore, con file di auto fino a venti chilometri. L’incidente sulla A1 Milano-Napoli, nel tratto compreso tra San Vittore e Caianello verso Napoli, all’altezza del km 691: quattro i mezzi pesanti coinvolti. Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco, i soccorsi sanitari e meccanici, le pattuglie della Polizia Stradale ed il personale della Direzione 6° Tronco di Cassino di Autostrade per l’Italia. Agli utenti in viaggio verso Napoli, è stato consigliato di uscire a Cassino e rientrare a Caianello dopo aver percorso la viabilità ordinaria: adesso l’incidente è stato risolto ma per chi sta tornando verso Napoli ci sono ancora più di 10 km di coda.

 

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Economia

Allarme Upb sul Superbonus, Parlamento studia deroghe

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La “generosità” dell’agevolazione, le ripetute proroghe, un sistema di controlli che ha favorito la “diffusione di comportamenti opportunistici e fraudolenti”, la concessione di deroghe. Nasce anche da qui il ‘vulnus’ con cui il Superbonus si è trasformato in una zavorra per i conti pubblici, lasciando “una pesante eredità sul futuro”. L’Ufficio parlamentare di Bilancio lancia l’allarme e invita a far tesoro di questa esperienza per ridisegnare le future agevolazioni. Il Parlamento intanto prepara nuove modifiche all’ultima stretta impressa dal governo, comprese nuove deroghe per altre aree colpite dal terremoto o il coinvolgimento dei Comuni nei controlli. E sul Superbonus si accende un faro anche oltreoceano, con il Fondo Monetario Internazionale che sprona l’Italia a ridurre il debito. La crescita, stimata allo 0,7% nel 2024 e 2025, è destinata a ridursi al lumicino nel 2026 (rivista al ribasso allo 0,2%) con il Superbonus e il Pnrr in via di esaurimento, avverte il Fondo.

Ma intervenire si può, ed è dal debito che bisogna partire: per ridurlo, bisogna partire dagli sgravi fiscali, “molti dei quali inefficienti” come il superbonus, suggerisce il Fmi, ed eliminare quelle “scappatoie” dal fisco e “numerosi programmi di sostegno anti-inflazione”. Il Superbonus, insieme al bonus facciate e, in misura minore, gli incentivi alle imprese Transizione 4.0 “hanno inciso marcatamente sui conti pubblici degli ultimi anni”, evidenzia l’Autorità dei conti pubblici in una memoria alla commissione Finanze del Senato che sta esaminando l’ultimo decreto sull’agevolazione. Superbonus e bonus facciate, in particolare, hanno avuto un impatto “rilevante e crescente” nel tempo: l’asticella del periodo 2020-23, secondo gli ultimi dati, è salita a circa 170 miliardi. Con un gap tra i risultati e le attese “macroscopica” nel caso del Superbonus, e che “non ha precedenti”, osserva l’Upb, che indica vari elementi che hanno contribuito a far lievitare la spesa: la generosità dello sconto e le modalità di fruizione, l’ampliamento degli obiettivi, proroghe e deroghe.

A farne le spese è il debito. Quanto rilevato in termini di competenza economica nel quadriennio 2020-23 inciderà soprattutto sul 2024-26, evidenzia l’Upb, che quantifica questa “pesante eredità”: un impatto in media annua pari allo 0,5% del Pil nel triennio 2021-23, che salirà a circa l’1,8% in quello successivo. Un’esperienza, quella del Superbonus, da cui “occorre trarre insegnamento per il disegno di future agevolazioni”, osserva l’Upb, che indica la rotta: selettività e stop agli automatismi. In prospettiva, dunque, la soluzione suggerita è “un trasferimento monetario” (un contributo diretto alla spesa), modulato in base alle condizioni economiche delle famiglie e alla classe energetica dell’edificio, sottoposto ad autorizzazioni preventive e soggetto a un limite di spesa, o con prestiti agevolati. E in vista delle prossime misure di sostegno per le case green, a mettere in guardia è anche la Banca d’Italia: le “criticità” emerse con il Superbonus sembrano “sconsigliare la riproposizione in futuro della cedibilità dei crediti”, se non in “forma limitata” e “circoscritta ad alcune categorie”.

Dopo l’ultima stretta sul Superbonus intanto, si studiano nuove deroghe. A proporle, per altre aree colpite dal sisma diverse da quelle per cui già si è fatta eccezione (a partire dall’Emilia Romagna) o dalle alluvioni e per il Terzo settore, sono sia la maggioranza che l’opposizione con diversi emendamenti al decreto Superbonus. Il termine per presentare le proposte di modifica è mercoledì 24 aprile, ma sul tavolo del relatore, Giorgio Salvitti, gli emendamenti cominciano ad arrivare. Si studia anche la possibilità di coinvolgere, su base volontaria, i Comuni nei controlli ai cantieri del Superbonus, garantendo loro un ritorno economico pari al 30% dell’eventuale recupero. Nulla sarebbe invece ancora arrivato sulla possibilità di allungare da 4 a 10 anni i tempi di utilizzo dei crediti del Superbonus. Ipotesi su cui però si è già detto favorevole il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. E che, secondo i calcoli dell’Upb, consentirebbe al debito di restare abbondantemente sotto quota 140%.

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Esteri

La Nato verso nuovi Patriot e Samp-T all’Ucraina

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Da Capri a Bruxelles a Washington, l’Occidente imbocca la strada per concretizzare gli aiuti militari – compresa la difesa aerea – essenziali per Kiev in difficoltà nella guerra. Durante il Consiglio Nato-Ucraina con Volodymyr Zelensky, il segretario generale Jens Stoltenberg ha assicurato che “presto” ci saranno nuovi annunci sui sistemi di difesa per il Paese invaso. “L’Alleanza ha mappato le capacità degli alleati, ci sono sistemi che possono essere dati all’Ucraina”, ha riferito Stoltenberg al termine dell’incontro. “In aggiunta ai Patriot ci sono altri strumenti che possono essere forniti, come i Samp-T”, quelli a produzione franco-italiana. Un annuncio che arriva mentre prendono corpo i “segnali incoraggianti” evocati dal segretario di Stato Usa Antony Blinken: dopo mesi di stallo, la Camera americana ha spianato la strada ai quattro provvedimenti per gli aiuti a Ucraina, Israele e Taiwan, mettendo in agenda il voto per domani.

E il Pentagono si sta preparando ad approvare rapidamente un nuovo pacchetto di aiuti militari che include artiglieria e difese aeree: secondo una fonte americana, parte del materiale potrebbe raggiungere il Paese nel giro di pochi giorni. In generale, per Kiev in ballo ci sono gli oltre 60 miliardi di dollari di forniture per le forze armate che – ha ricordato Blinken – “faranno una differenza enorme”. “Se i nuovi aiuti non verranno approvati c’è il rischio che sia troppo tardi”, ha ammonito il ministro degli Esteri Usa, mentre Zelensky ha ribadito l’allarme: i soldati “non possono più attendere” la burocrazia occidentale, la Nato deve dimostrare “se siamo davvero alleati”. La situazione sul terreno “è al limite”, ha aggiunto il leader ucraino al segretario della Nato Da parte dell’Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha “confermato quello che ha detto il presidente del Consiglio” sul fatto che il nostro Paese “farà il possibile per la protezione aerea dell’Ucraina”, mentre Kiev vuole dagli alleati ogni sistema disponibile, dai moderni Patriot – “almeno altre sette sistemi” – ai Samp-T italo-francesi. Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto ha partecipato al Consiglio Nato-Ucraina, nel quale si è convenuto sulla necessità di uno sforzo ulteriore per sostenere Kiev. L’Italia ragiona sugli ulteriori aiuti militari da fornire quanto prima all’Ucraina e sul tavolo – si apprende – c’è la possibilità di un nuovo decreto per l’invio degli armamenti.

Anche se Crosetto ha più volte sottolineato che quasi tutto ciò che si poteva dare è stato dato. Già a Capri, dove ha partecipato al G7 Esteri, Stoltenberg aveva confermato la volontà degli alleati di accelerare sulla difesa aerea ucraina. E nel loro documento finale, i Sette ministri hanno espresso la “determinazione a rafforzare le capacità di difesa aerea” del Paese invaso, confermando l’impegno a lavorare per esaudire le richieste di Kiev, ribadite anche dal capo della diplomazia ucraina Dmytro Kuleba, tra gli ospiti del summit in Italia. Il sostegno del G7 è pronto a tradursi anche in ulteriori sanzioni contro Teheran “se dovesse procedere con la fornitura di missili balistici o tecnologie correlate alla Russia”.

Il Gruppo ha poi puntato il dito contro la Cina, chiedendo nel suo documento finale di “interrompere” il sostegno alla macchina bellica di Mosca. Infine, i Sette hanno ribadito l’impegno ad attuare e far rispettare le sanzioni contro i russi, minacciando di “adottare nuove misure, se necessario”. In vista del vertice dei leader in programma a giugno in Puglia, il G7 lavora inoltre alle “possibili opzioni praticabili” per usare i beni russi congelati a sostegno dell’Ucraina, “in linea con i rispettivi sistemi giuridici e il diritto internazionale”. Finora l’Ue ha trovato le basi legali solo per l’uso degli extraprofitti, ma bisogna ancora capire se si può fare un passo in più mettendo le mani direttamente sugli asset.

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