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Il caos nel M5s agita la maggioranza: parte il processo a vertici

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Si allarga la crepa nel Movimento 5 stelle, aumentano le divisioni nella maggioranza. Alle soglie di un agosto che si annuncia caldissimo sul fronte immigrazione e preoccupa il Pd, e’ una questione di presidenze di commissione a fare da detonatore. Nel voto segreto, la maggioranza regala alla Lega due commissioni in Senato. Alla Camera si fa nottata, tra le tensioni, per evitare che il M5s perda la commissione Giustizia. Leu, che vede sfumare la presidenza della Giustizia al Senato per Pietro Grasso, chiede un chiarimento politico e irrigidisce le sue posizioni su immigrazione e decreto semplificazioni. Ma e’ nel M5s che si apre un vero e proprio processo al capo politico e al direttivo dei gruppi: “Sono troppo succubi del Pd e hanno ceduto sulle commissioni come si preparano a fare sul Mes”, e’ l’accusa. Impensierisce il governo, un Movimento sempre piu’ frammentato e ingovernabile. Gli stati generali per la nuova leadership potrebbero tenersi a ottobre. Ma intanto i gruppi sono in ebollizione. Nel mirino finiscono sia i due capigruppo Gianluca Perilli e Davide Crippa, sia il capo politico Vito Crimi. “Con un vero e legittimo capo politico una forzatura cosi’ eccessiva non l’avremmo mai avuta”, dice il sottosegretario Alessio Villarosa. Il riferimento e’ all’elezione alla guida della commissione Finanze della Camera del deputato di Iv Luigi Marattin, blindata con la “sostituzione forzata di dieci deputati M5s” che si opponevano a quel nome. L’accusa a Crippa ma anche al suo vice Riccardo Ricciardi, considerato espressione dell’area ‘contiana’ del Movimento, e’ aver non solo ridotto le presidenze di commissione M5s da 9 a 7, ma aver anche ceduto la guida di quelle economiche, lasciando al Pd le caselle cruciali nella gestione della politica economica del governo. Leonardo Donno, deputato considerato “dimaiano”, si dimette da capogruppo in commissione Bilancio e attacca: “Il M5s e’ stato fortemente penalizzato”. Si dimette anche Davide Tripiedi dalla vicepresidenza della commissione Lavoro. Viene convocata e poi rinviata, per dar tempo agli animi di placarsi, un’assemblea del gruppo: sarebbe stato in preparazione un documento per sfiduciare il direttivo. Non e’ piaciuto, nel M5s, il passaggio della risoluzione che mercoledi’ in Senato apriva un varco al Mes. E sebbene i vertici rassicurino che la linea resta per il “No”, il sospetto tra diversi parlamentari e’ che ci si stia preparando a far passare il “Si'”. Il problema e’ che per far partire la richiesta dei fondi del Mes potrebbe servire la maggioranza assoluta, dal momento che il prestito farebbe crescere il debito. Ma, avverte una fonte qualificata, “una cinquantina di parlamentari M5s sarebbero irremovibili e pronti a votare No per poi lasciare il Movimento”. A quel punto, e’ l’avvertimento, anche il soccorso di Fi potrebbe non bastare. Di Mes non si parlera’ in concreto prima di settembre. Ma si gioca gia’ adesso la partita per il piano di Rilancio per decidere come utilizzare il Recovery fund. “Dobbiamo mostrarci all’altezza della sfida”, dichiara Luigi Di Maio. Ma nella maggioranza resta aperta la questione delle eventuali commissioni speciali in Parlamento per seguire il dossier e trapelano mal di pancia per la cabina di regia avviata dal premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Alle commissioni speciali e’ contraria gran parte della maggioranza (da Iv alla maggioranza Pd), anche per non far crescere il malcontento tra i parlamentari si sentirebbero esautorati. E poi la lunga notte delle votazioni per l’elezione dei presidenti di commissione (Luigi Marattin, di Iv, viene eletto alla Finanze della Camera solo alle due di notte) invita ad avere fin d’ora molta prudenza in Parlamento. Al Senato i capigruppo di maggioranza, presente il ministro Federico D’Inca’, si riuniscono per capire come rimediare al pasticcio delle due commissioni lasciate alla Lega. Una delle due e’ la Giustizia, da cui dovranno passare riforme delicate e divisive per la maggioranza: non e’ rassicurante. M5s e Iv nel corso della riunione si rimpallano responsabilita’: chi sono i franchi tiratori che hanno fatto promuovere i leghisti? “In commissione Agricoltura sono stati i senatori del Misto ma anche un M5s”, dice un Dem. “In commissione Giustizia Iv non puo’ essere stata perche’ c’e’ una foto del voto…”, aggiunge. Si studia come compensazione l’affidamento di una commissione speciale a Leu, magari quella sulla sanita’, e una a M5s. Ma non e’ questo il punto, sbotta Loredana De Petris: i parlamentari della sinistra chiedono agli alleati un chiarimento politico e si aspettano che ci sia un momento, la prossima settimana, per incontrarsi.

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Stop a numero chiuso a Medicina, il no dei camici bianchi

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Primo passo verso lo stop al numero chiuso per Medicina. Anche se la strada per arrivare ad una riforma complessiva della legge si annuncia ancora lunga. Il Comitato ristretto della Commissione Cultura e Istruzione del Senato adotta un testo base praticamente all’unanimità, ma sono molti i dubbi che solleva l’ opposizione. Per non parlare del no netto che arriva subito dall’Ordine dei medici, secondo il quale se si toglierà il numero chiuso “entro 10 anni si produrranno solo dei disoccupati”. Il testo che adotta il Comitato ristretto, di cui dà notizia, esprimendo “soddisfazione”, il presidente della Commissione Roberto Marti, contiene di fatto una sorta di delega in bianco al governo su come rimodulare l’accesso alla facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Delega da adottare entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge.

Per il resto, le novità sostanziali sono l’abolizione dei test d’ingresso, che dovrebbe scattare dal 2025/2026, e i nuovi ostacoli che l’aspirante medico dovrà affrontare. Se lo studente, infatti, entro 6 mesi, non supererà prove che riguardano discipline in area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria (ancora da individuare) non potrà più accedere a Medicina. Sin dall’inizio, gli sarà consentito iscriversi anche a un’altra facoltà scientifica, come ad esempio Biologia, e nel caso in cui il semestre a Medicina si concluda con un nulla di fatto, potrà sempre continuare con la seconda scelta vedendosi riconosciuti dei crediti formativi. E sono proprio i nuovi paletti a non convincere troppo l’opposizione che annuncia “emendamenti” per migliorare il testo. Nell’attesa, i partiti fanno a gara per intestarsi il provvedimento.

La prima a cantare vittoria è la Lega. Matteo Salvini parla di “storica battaglia”, mentre il governatore del Veneto Luca Zaia di “cambio di passo”. Poi è la volta di FdI che con la prima firmataria del ddl Ella Buccalo difende anche l’idea del semestre in prova definendolo “una selezione basata sul merito”. E “orgogliosa” del primo passo compiuto in Commissione la ministra dell’Università Anna Maria Bernini secondo la quale si riusciranno “a formare 30mila medici senza il numero chiuso”. Convinti della necessità di togliere i test, pur individuando criticità sono i senatori del centrosinistra. Di “delega troppo vasta” parla ad esempio Cecilia D’Elia, capogruppo Pd in Commissione, che esprime anche dubbi sulla “definizione di una graduatoria nazionale dopo aver frequentato solo un semestre”. Nel testo, secondo il Dem Andrea Crisanti, restano “incertezze anche sulle modalità di accesso ad altri corsi di esame per coloro che non sono stati ammessi a Medicina”.

Lo stop al numero chiuso, intervengono i medici Anaao, sindacato degli ospedalieri, è “il colpo di grazia alla formazione medica”. “La scelta di superare il modello della legge del ’99”, commenta l’Unione Studenti, “è sicuramente un primo passo, ma siamo delusi dalle modalità”. Intanto, alla Camera il Pd presenta la proposta di legge sulla sanità firmata dalla segretaria Elly Schlein che chiede di investire nella sanità pubblica nei prossimi 5 anni fino al 7,5% del Pil che è la media europea. Schlein quindi accusa Meloni di mentire “sui dati”, ricordando il “taglio di 1,2 miliardi dai fondi del Pnrr”.

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Biden firma gli aiuti, i missili Atacms sono già a Kiev

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Un nuovo maxi invio di armi all’Ucraina per rendere gli Stati Uniti e il mondo “più sicuri” di fronti ai pericoli della tirannia. Dopo mesi di stallo a Capitol Hill, Joe Biden mette a segno un’importante vittoria sia in chiave elettorale che sul fronte della politica estera con l’approvazione definitiva della sua legge di spesa da 95 miliardi, di cui una prima tranche da un miliardo destinata alle forze di Volodymyr Zelensky nell’ambito di un totale di 60,8 per l’Ucraina che comprende anche aiuti umanitari ed economici. Ma la notizia è anche che Washington un mese fa ha segretamente inviato i missili a lungo raggio Atacms, che Kiev chiede da quasi due anni. Gli aiuti, ha assicurato il commander-in-chief subito dopo aver firmato il provvedimento, partiranno “nei prossimi giorni” ed arriveranno in Ucraina entro la fine di questa settimana.

Nella lista ufficiale diffusa dal Pentagono sulla prima tranche da un miliardo ci sono sistemi di difesa aerea, proiettili di artiglieria, veicoli corazzati e armi anticarro che si trovano già nei depositi americani in Europa. Tuttavia, secondo indiscrezioni di Politico, un mese fa gli americani avrebbero già spedito a Kiev gli agognati Atacms, che Washington ha sempre negato a Zelensky per il timore di un’escalation con la Russia. E anche se lo scorso ottobre il dipartimento della Difesa aveva mandato in Ucraina, senza troppa pubblicità, quelli a medio raggio, il leader di Kiev aveva continuato a premere per un’arma che potesse colpire oltre le linee di Mosca. I circa 200 missili a lungo raggio sarebbero arrivati a marzo, all’interno di un pacchetto da 300 milioni di dollari, e sarebbero già stati utilizzati due volte dall’esercito ucraino per colpire un aeroporto militare russo in Crimea mercoledì scorso e le truppe russe nel sud-est del Paese durante la notte di martedì.

All’epoca membri chiave del Congresso erano stati informati della spedizione segreta di Atacms ma l’amministrazione Biden non aveva fatto nessun annuncio pubblico. Stando a quanto ha rivelato un alto funzionario dell’amministrazione americana, inoltre, anche in questo nuovo pacchetto ci saranno i potenti missili, capaci di colpire fino a 300 km. Per Biden, che ha ringraziato lo speaker repubblicano Mike Johnson per aver sbloccato la legge alla Camera sfidando gli estremisti trumpiani, si tratta di “un investimento” nella sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati. “L’America non si piega a nessuno, men che meno a Vladimir Putin”, ha avvertito il presidente americano assicurando che gli Stati Uniti “sconfiggeranno i dittatori nel mondo”. “Se i nostri partner sono più forti lo siamo anche noi”, ha sottolineato promettendo, ancora una volta, di non “lasciare da soli” i Paesi amici. Zelensky da parte sua ha ringraziato il Senato americano per aver approvato la legge definendo il prossimo invio di armi un “aiuto vitale” per le sue forze.

“Le armi a lungo raggio, l’artiglieria e la difesa aerea sono strumenti fondamentali per ripristinare la pace il prima possibile”, ha dichiarato il leader ucraino che non ha menzionato esplicitamente gli Atacms. Con questo tipo di armi comunque gli ucraini sono stati in grado di infliggere gravi danni alle forze del Cremlino, come dimostrano i video pubblicati dagli abitanti delle zone colpite mercoledì scorso, dove si vedevano incendi devastanti e le finestre delle case vicino all’aeroporto distrutte dall’esplosione. “La chiave ora è la velocità. La velocità di attuazione degli accordi con i partner sulla fornitura di armi per i nostri guerrieri. La velocità con cui si eliminano tutti i piani russi per eludere le sanzioni. La velocità nel trovare soluzioni politiche per proteggere le vite dal terrorismo russo”, ha sottolineato ancora il presidente ucraino. “Ogni leader che non perde tempo è un salvavita. Ogni Stato che sa agire rapidamente salvaguarda l’ordine mondiale basato su regole. Ringrazio tutti coloro – ha detto Zelensky – che nel mondo aiutano il nostro popolo a ripristinare una vita normale dopo gli attacchi russi. Ringrazio tutti coloro che aiutano i nostri guerrieri a difendere le città e i villaggi dell’Ucraina dal male russo”.

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Premierato: ecco cosa prevede il ddl Casellati

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Con l’approvazione del mandato al relatore in Commissione Affari costituzionali si delinea il testo della riforma del premierato elettivo. Ecco i cardini principali della riforma costituzionale che però sul punto centrale, l’elezione diretta del premier, contiene solo alcuni principi rinviando il resto ad una legge ordinaria.

PREMIER ELETTO: “Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni.

Le elezioni delle Camere e del presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente”.

LIMITE A DUE MANDATI: Si può essere eletti premier “per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi”.

SISTEMA ELETTORALE: Una legge ordinaria disciplinerà “il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività”.

NOMINA E REVOCA DEI MINISTRI: “Il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri”. Nell’attuale costituzione non c’è il potere di revoca dei ministri.
FIDUCIA: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia”. Se non viene approvata la mozione di fiducia, “il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il governo”. Quindi il premier eletto può fare un nuovo tentativo con un altra squadra di ministri, o anche cercando un’altra maggioranza. “Qualora anche in quest’ultimo caso il governo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.

CRISI DI GOVERNO: Se il governo, nel corso della legislatura, viene sfiduciato “mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere”. “In caso di dimissioni del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone”. “Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio”. In entrambi i casi il nuovo governo può avere una maggioranza diversa da quella uscita della urne. L’articolo sulle crisi di governo – il 4 del ddl Casellati – potrebbe essere riformulato in Aula.

ADDIO SENATORI A VITA: E’ abrogato il potere del Quirinale di nominare cinque senatori a vita. Quelli attualmente in carica mantengono il loro incarico. Non viene invece toccato l’articolo che stabilisce che i presidenti della Repubblica al termine del settennato diventano senatori a vita.

CONTROFIRMA: E’ abolita la controfirma del governo in una serie di atti del presidente della Repubblica: nomina del presidente del Consiglio, la nomina dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alle Camere.

ELEZIONE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: Per eleggere il capo dello Stato occorre il quorum dei due terzi dei grandi elettori non più nei primi tre scrutini, bensì nei primi sei.

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