Quello che emerge dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Quello che scrivono i magistrati inquirenti Matteo Centini e Antonio Colonna nelle richieste di arresto, sono storie criminali, reati commessi da un sodalizio criminale organizzato che aveva trovato base nella Caserma dei Carabinieri di Piacenza Levante. È vero, avevano un tesserino del Ministero della Difesa. È vero, indossavano una divisa dell’Arma. Ma non erano carabinieri, non possono essere confusi con i 110 mila uomini e donne che ogni giorno rischiano la vita per difendere cittadini e beni di questo Paese. Da quel che emerge dagli atti di indagine che abbiamo potuto consultare, siamo in presenza di volgari criminali che abusavano della divisa in un delirio di onnipotenza che per fortuna la magistratura ha fermato. Poi si vedrà che cosa accadrà in giudizio. Quel che resta, per ora, a parte il dolore dell’Arma dei Carabinieri e dei cittadini che si fidano dei Carabinieri, è un “modus operandi criminale” diventato “modalità ordinaria di gestione, quanto meno, di parte della quotidianità lavorativa”. Come coprivano i loro crimini rispetto ai superiori, rispetto ai controlli interni dell’Arma? Con l’esigenza di “aumentare la produttività, intesa come numero di arresti, senza correlativamente sostenere il peso di indagini articolate e complesse”. Un “atteggiamento criminale vieppiù esecrabile se solo si pensa che è riconducibile a soggetti che per dovere istituzionale debbono perseguire fini leciti e garantire l’osservanza delle leggi” scrivono i magistrati Centini e Colonna, che ritengono sia stato un modus operandi che avrebbe caratterizzato per anni la caserma Levante di via Caccialupo.
Scrive Luca Milani, giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Piacenza, nell’ordinanza di custodia cautelare: “Gli indagati Giardino Daniele, Giardino Alex, Giardino Matteo, Gherardi Tiziano, D’Elia Clarissa, Valente Mattia, Giardino Simone e Cattaneo Maria Luisa, ancorché in prevalenza incensurati, hanno dimostrato un totale coinvolgimento nelle attività illecite accertate, alle quali hanno preso parte attivamente, rivelando una specifica indole criminale. Sorprendente, in proposito, l’atteggiamento di figure come D’Elia Clarissa e Cattaneo Maria Luisa: le stesse non hanno mai mostrato il benché minimo ripensamento nell’appoggiare le attività illecite dei loro rispettivi compagni (Giardino Daniele e Montella Giuseppe), condividendo con loro le strategie da adottare, le cautele da seguire e interessandosi della ripartizione dei profitti. Anche coloro che si trovavano ai margini delle decisioni riguardanti le attività illecite da compiere – come Giardino Simone o Giardino Matteo – si sono sempre mostrati disponibili a prendere parte alle azioni delittuose, non solo per il legame famigliare con il vertice del gruppo criminale, ovvero Giardino Daniele, ma per una precipua propensione al delitto (specialmente se caratterizzato da violenza, per quanto riguarda Giardino Simone), visto come proficua e facile occasione di guadagno (discorso che vale per Giardino Matteo). Non si è dunque di fronte a persone casualmente ed episodicamente interessate dalla commissione di reati, ma di soggetti dotati di una specifica capacità a delinquere, per i quali solo l’applicazione di provvedimenti limitativi della libertà personale potrà evitare nell’immediato facili ricadute in attività illecite della stessa specie”. Il giudice Milani, condividendo il lavoro dei pm inquirenti, sottolinea la strutturazione all’interno della Caserma di un sodalizio criminale inquietante. Che non si fermava davanti a niente. Non solo estorsioni. Non solo spaccio di droga. Non solo pestaggi. Non solo la commissione di un serie indeterminata di reati, ma anche festini a base di sesso in caserma. Un luogo sacro per lo Stato, una Caserma dei carabinieri, trasformata in alcova per incontri di sesso. Ecco il passo dell’ordinanza in cui il giudice Milani, evidenzia come questi uomini che indossano indegnamente la divisa, usava la caserma. “Di seguito, sempre il 3 maggio 2020, MONTELLA Giuseppe e CAPPELLANO Salvatore, conversando a bordo dell’auto di servizio commentavano – scrive il giudice – un episodio che aveva visto come protagonista il collega FALANGA Giacomo, in onore del quale, forse in concomitanza con una ricorrenza, era stata organizzata una serata all’interno della Caserma alla presenza di due donne, presumibilmente escort, con le quali erano stati consumati rapporti sessuali (“Quella sera, due gliene ho fatte trombare, lei e quell’altra ’’). Lo scenario rappresentato da MONTELLA nei locali della Caserma di via Caccialupo è quello di un’orgia, tenutasi addirittura all’interno dell’ufficio del Comandante ORLANDO Marco, dove si era creato un tale scompiglio che le pratiche erano state sparpagliate a terra ( “Allora, era dedicata per Giacomo la serata, allora Giacomo se ne va nell’ufficio di Orlando che… cioè, tromba con la Manuela, e questa stava là; fa questa: “Voglio vedere, voglio vedere”, “E vieni che ti faccio vedere”, e allora subito ce l’ho messo a pecora mentre… (incomprensibile) … poi, dopo che è, ha dato pure un p o ’ (incomprensibile) Giacomo, Giacomo allora si è visto due fighe e non sapeva quello che cazzo fare (frase tradotta dal dialetto), oh; allora metteva la mano da una poi all… minchia m’ha fatto morì Giacomo”). In questo comportamento deplorevole, assurdo, visto il luogo “non sono forse ravvisabili reati” scrive il giudice, “ma dalla descrizione delle stesse traspare ancora una volta il totale disprezzo per i valori della divisa indossata dagli indagati, metaforicamente gettata a terra e calpestata, come quella del loro Comandante durante il festino appena rievocato”.
Ma quello che accadeva in questa Caserma. Lo schifo che emerge da filmati, intercettazioni telefoniche e ambientali era totalmente estraneo ai vertici dell’Arma Piacentina? Nessuno aveva sentore di queste cose? Non c’era stato alcuno spiffero? Nessuna denuncia precisa? Come riferito dagli inquirenti, le indagini sono ancora in corso, non si fermano agli arresti di queste ore, ma hanno lo specifico obiettivo di chiarire fino in fondo quale sia stato il livello di consapevolezza e di partecipazione degli Ufficiali Orlando Marco, Bezzeccheri Stefano – ed eventualmente altri – nelle attività illecite commesse dai Carabinieri in servizio presso la Stazione Piacenza Levante indagati in questo procedimento. È ovvio che, per il ruolo dagli stessi rivestito, anche Orlando (arresti domiciliari) e Bezzeccheri (obbligo di dimora), se lasciati in libertà, potrebbero influenzare le persone che dovranno essere sentite come informate sui fatti – in prevalenza militari dell’Arma in servizio a Piacenza e dintorni – o alterare documenti o lo stato di certi luoghi, al fine di ostacolare il regolare svolgimento delle indagini. Come detto si tratta di una constatazione non fondata su una mera presunzione, ma su specifici dati risultanti dalle investigazioni effettuate sino ad ora. Basti considerare, in prima battuta, la tipologia di contestazioni operate nei confronti di Orlando: abuso d’ufficio, ma anche falso ideologico aggravato. Proprio su questo punto, non si può sottacere la circostanza per la quale il Comandante della Stazione Piacenza Levante non abbia mai avuto alcuna remora a falsificare atti e ad omettere importanti comunicazioni ai magistrati della Procura della Repubblica, mentendo spudoratamente nelle comunicazioni telefoniche con loro. Con simili premesse, non può certo escludersi che l’indagato si attivi per cercare di occultare prove o interferire sulla genuinità delle testimonianze di altri colleghi, specie se di grado inferiore. Per questi motivi occorre prevedere a suo carico una misura adeguata a contenere l’esigenza di cui all’art. 274, lett. a), c.p.p.