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Esteri

Guerra sulla Brexit, l’Ue minaccia azioni legali

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Ritirare entro fine settembre il progetto di legge che minaccia di mettere in discussione alcuni degli impegni assunti da Londra nell’accordo di divorzio firmato con l’Ue appena pochi mesi fa, o lo scontro sulla Brexit si spostera’ in tribunale. E’ l’ultimatum in piena regola rivolto oggi da Bruxelles al governo di Boris Johnson, e rigettato da Downing Street in toni non meno categorici, sullo sfondo di un braccio di ferro che – salvo bluff – rischia di andare ormai ben oltre lo spettro del no deal sulle future relazioni commerciali. La richiesta perentoria di chiarimento squadernata sul tavolo dai 27, per bocca di uno dei vicepresidenti della Commissione, Maros Sefcovic, e’ sfociata nella risposta a muso duro del ministro britannico Michael Gove nella riunione d’emergenza del Comitato congiunto d’attuazione del divorzio svoltasi in riva al Tamigi parallelamente al non meno infruttuoso terzo colloquio dell’ottavo round delle trattative sulle relazioni future post Brexit fra i negoziatori Michel Barnier e David Frost. E poi in uno scambio durissimo di dichiarazioni. A suggellare la rottura totale, seguita dagli scossoni delle borse e da un immediato arretramento della sterlina, e’ stato Sefcovic, che in una nota ha accusato il governo Tory di aver “seriamente danneggiato la fiducia tra Ue e Regno Unito” mostrandosi pronto a rinnegare un’intesa “ratificata” il cui rispetto “integrale e’ un obbligo legale”. E gli ha intimato senza giri di parole di far sparire dall’orizzonte il disegno di legge incriminato (Internal Market Bill), pena il ricorso “ad azioni legali”. Cosa senza precedenti nelle pur turbolente relazioni con l’isola incamminatasi verso la Brexit dopo mezzo secolo di membership. Nelle parole di Sefcovic, condivise con i vertici dell’Unione e spalleggiate da vari governi nazionali – Parigi, Berlino e Dublino in testa – la spregiudicata mossa di BoJo e soci e’ del tutto inaccettabile. E non puo’ aver alcun impatto legittimo sulla “piena e tempestiva attuazione dell’Accordo di recesso”, protocollo a tutela del confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord compreso. “Non vogliamo e non possiamo” ritirare il progetto di legge, ha replicato solennemente Gove a stretto giro di posta, dopo aver affidato la difesa del testo a un comunicato nel quale gli obblighi assunti “in buona fede” in un trattato vengono graziosamente riconosciuti: ma non a scapito della “sovranita’ del Parlamento” e del preteso diritto di garantire una frontiera senza barriere non solo fra Belfast e Dublino, come prevede lo storico accordo di Pace del Venerdi’ Santo del 1998, ma anche di quella interna fra Irlanda del Nord e resto del Regno. “Il Parlamento – si legge nella nota del governo britannico, scritta come atto di sfida sfida a Bruxelles – e’ sovrano in materia di legislazione interna e puo’ approvare una legge che sia in contrasto con obblighi assunti dal Regno Unito in un trattato” senza “agire in modo incostituzionale”. Londra del resto si richiama alle proprie norme attuative dell’Accordo di Recesso, Protocollo sull’Irlanda del Nord incluso, “espressamente soggette al principio della sovranita’ parlamentare”, in base a un “diritto di precedenza confermato dallo European Union (Withdrawal Agreement) Act del 2020”. Una battaglia da ultima spiaggia, giuridicamente piu’ che controversa, ma comunque giocata sul conflitto fra legislazione domestica e diritto internazionale. In barba a chi anche a Londra – dalle opposizioni, a non pochi giuristi e diplomatici, a figure di rilievo della vecchia guardia Tory come John Major, Michael Howard o Theresa May – grida allo scandalo. Denunciando la disinvolta rivendicazione di una “violazione specifica e limitata del diritto internazionale” richiamata a viso aperto da Brandon Lewis, ministro dell’Irlanda del Nord della compagine di Johnson, come un potenziale punto di non ritorno per “la credibilita’ internazionale” del Regno. E la sua costante pretesa di dar lezioni a Paesi quali “Cina, Russia o Iran”.

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Cina: infondate le accuse Usa di supporto militare a Mosca

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La Cina ha definito “infondate le accuse degli Usa sul sostegno militare” di Pechino alla Russia, impegnata nella sua guerra contro l’Ucraina. E’ quanto ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, nell’imminenza della visita del segretario di Stato americano Antony Blinken.

Gli Stati Uniti, ha aggiunto Wang nel briefing quotidiano, “hanno presentato una legge sugli aiuti su larga scala per l’Ucraina, lanciando allo stesso tempo accuse infondate contro il normale commercio tra Cina e Russia. Questo tipo di approccio è estremamente ipocrita e del tutto irresponsabile, e la Cina vi si oppone con fermezza”. Sulla questione ucraina, “la Cina ha sempre mantenuto una posizione obiettiva e giusta, ha sostenuto attivamente i colloqui di pace e ha spinto per la soluzione politica”, ha rincarato Wang, per il quale Pechino “implementa costantemente le normative sull’esportazione di beni a duplice uso.

La Cina non è né artefice né parte della crisi ucraina e non ha mai gettato benzina sul fuoco e per questo con accetteremo che altri scarichino la responsabilità o diano la colpa a noi”. Negli ultimi anni, in particolare dall’aggressione di Mosca all’Ucraina di febbraio 2022, Cina e Russia hanno intensificato la cooperazione economica e i contatti diplomatici, portando la loro partnership strategica a livelli elevati, mai raggiunti prima. Pechino ha rivendicato un ruolo neutrale nel conflitto ucraino, ma evitato condanne di Mosca e ha offerto sostegno diplomatico ed economico, facendo schizzare l’interscambio commerciale nel 2023 al record di 240 miliardi di dollari.

Prima dell’imminente visita in Cina del 24-26 aprile, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che Pechino sta indirettamente alimentando la guerra in Ucraina con la fornitura di componenti a Mosca usati per espandere le sue capacità militari. “Quando si tratta della base industriale della difesa russa, il principale contributore in questo momento è la Cina”, ha detto Blinken venerdì, dopo l’incontro ministeriale del G7 a Capri, aggiungendo che ciò “permette alla Russia di continuare l’aggressione contro l’Ucraina”.

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Musk rifiuta di eliminare da X video dell’attacco a Sidney

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Elon Musk ha reagito all’ordine di un tribunale australiano di eliminare da X i video dell’attacco nella chiesa di Sidney dopo che il commissario per la eSafety dell’Australia ha chiesto un’ingiunzione. Il miliardario patron di Tesla ha risposto con un post sulla sua piattaforma accusando il premier Anthony Albanese di “censura”. “La nostra preoccupazione è che se qualsiasi Paese è autorizzato a censurare i contenuti di tutti i paesi, allora cosa impedirà a qualsiasi paese di controllare Internet?”

Musk ha detto che X farà appello contro l’ingiunzione australiana. “Abbiamo già censurato il contenuto in questione per l’Australia, in attesa di ricorso legale, ed è archiviato solo su server negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che Musk è cieco di fronte all’angoscia causata dai video. “Faremo ciò che è necessario per affrontare questo miliardario arrogante che pensa di essere al di sopra della legge, ma anche al di sopra della comune decenza”, ha detto Albanese all’emittente pubblica Abc. “L’idea che qualcuno vada in tribunale per il diritto di pubblicare contenuti violenti su una piattaforma mostra quanto il signor Musk sia fuori dal mondo”, ha aggiunto.

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L’ambientalista indigeno Victorio Dariquebe assassinato nell’Amazzonia peruviana

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Un ambientalista indigeno, Victorio Dariquebe, è stato assassinato in una comunità amazzonica del Perù sudorientale dove lavorava come guardia forestale: lo riferiscono le autorità locali. L’uomo, dell’etnia Harakbut-Wachiperi, è stato aggredito nei pressi della riserva naturale di Amarakaeri, nella provincia di Manú.

“Riaffermiamo il nostro impegno affinché questo crimine non rimanga impunito e i responsabili siano individuati e ricevano tutto il peso della legge”, ha affermato il governo peruviano in una dichiarazione firmata da diversi ministeri. L’ambientalista “ha fatto un ottimo lavoro nella conservazione della riserva di Amarakaeri”, ha sottolineato l’Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep) in un comunicato sui social, secondo cui Dariquebe “aveva ricevuto minacce”.

I popoli originari del Perù combattono l’estrazione illegale e si oppongono a una recente legge approvata dal Congresso che, a loro avviso, incoraggia la deforestazione. Secondo l’ong Global Witness, dal 2012 nel Paese sono stati uccisi almeno 54 difensori delle terre e dell’ambiente, di cui più della metà appartenevano a popolazioni indigene.

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