Lo svolgimento del processo penale e civile nella cosiddetta Fase Due della Pandemia virale è l’altra faccia della medaglia del caos della giustizia in Italia. La questione non è parteggiare per gli avvocati o ascoltare solo le ragioni dei magistrati o schierarsi dalla parte di chi lavora nel pianeta giustizia con altri ruoli. No, la questione è provare a capire come si fa a far ripartire la macchina della giustizia, che non è meno importante dei motori dell’economia.
Se è vero, come è vero, che la situazione era già drammatica prima della pandemia, oggi con i rinvii delle cause sine die e le polemiche su come rimettere seduti attorno ad uno stesso tavolo le parti in causa sembra molto complicato trovare una soluzione. Per rappresentare questa situazione abbiamo scelto di pubblicare una lettera che il presidente del Consiglio dell’Ordine dei Avvocati di Torre Annunziata ha inviato al ministro Guardasigilli. Immaginiamo che ogni rappresentante dell’avvocatura avrà fatto la stessa cosa, immaginiamo anche che molti dei problemi siano comuni. Speriamo sia utile rappresentarli anche senza alcuna mediazione facendovi leggere quello che il presidente dell’Ordine degli avvocati del distretto di Torre Annunziata ha scritto al Ministro.
a nome del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che ci onoriamo di rappresentare e della intera Classe Forense del Tribunale di Torre Annunziata, Le significhiamo quanto segue.
Per contrastare l’emergenza epidemiologica, con il D.L. 18/2020, il Suo Governo ha disposto che, nel periodo compreso tra il 12 Maggio ed il 31 Luglio 2020, i Capi degli Uffici Giudiziari, con il parere non vincolante dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati, adottassero le misure organizzative relative alla trattazione degli affari giudiziari.
In via preliminare, Le evidenziamo che porre su un piano paritetico il parere dei rappresentanti dell’Avvocatura avrebbe favorito, e non poco, una ripresa razionale ed organica dell’attività giurisdizionale. Infatti estromettere dal processo decisionale la componente costituzionalmente demandata alla tutela dei diritti dei cittadini rappresenta un vulnus ad un percorso che doveva necessariamente essere unitario, celere e strutturale.
Ed è anche a causa di tale mancanza, Ill.mo Sig. Ministro, che a pochi giorni dalla attuazione del provvedimento governativo, Le denunciamo ufficialmente che la Giustizia Italiana è piombata nel CAOS più totale!
Nelle ultime settimane i Dirigenti dei Tribunali italiani, facendo applicazione di quanto ad essi demandato, senza tener in debito conto i motivati pareri dell’Avvocatura e nel volenteroso intento di dotarsi di una disciplina che fosse capace di regolare lo svolgimento dell’attività giudiziaria, hanno elaborato una moltitudine di protocolli. Quasi sempre più di uno per ciascun Tribunale.
Ogni sede giudiziaria ha disciplinato in maniera autonoma lo svolgimento dei processi, con significative differenze tra le diverse linee guida adottate e molto spesso, l’unico comune denominatore, è l’estromissione dell’Avvocatura dalle aule di Giustizia e persino dalle Cancellerie.
On.le Ministro ci sia consentito di rammentare a noi stessi che il diritto italiano si basa su norme scritte e che i Giudici possono solo applicare le stesse, non possono crearle dal nulla.
Inoltre, i cittadini devono conoscere preventivamente i precetti che disciplinano i loro comportamenti: è per questo che le leggi devono essere scritte e accessibili a chiunque.
Parimenti, i canoni che disciplinano lo svolgimento dei Processi devono essere univoci, universali e conoscibili con la ordinaria diligenza richiesta al professionista che, seppur qualificata, non può mai estendersi sino alla affannosa, ridicola e mortificante ricerca dell’ultima novella sul web.
Palazzo di Giustizia. Torre annunziata
Ill.mo Sig. Ministro, la semplice esistenza di una pluralità di linee guida, a prescindere dalla bontà e dalla validità delle stesse, è una violazione insostenibile dei più elementari principi che reggono il processo.
Di più, rappresenta la mortificazione del principio della certezza del Diritto.
Nessuno dubita della necessità di introdurre una disciplina emergenziale che, consentendo la doverosa ripresa dell’attività giudiziaria nel rispetto dei principi di sicurezza, possa derogare alle usuali procedure.
La babele del diritto, tuttavia, è una mortificazione che la già troppo oltraggiata Giustizia Italiana non merita!
Se una deroga emergenziale era necessaria – nel rispetto dei fondamentali canoni che da millenni reggono il processo – ci aspettavamo che almeno essa fosse univocamente disciplinata e, soprattutto, che ciò fosse fatto in tempo utile per la ripresa.
Questo Onere spettava al Suo Ministero che, al contrario, si è ingiustificatamente sottratto a tale doverosa incombenza.
Ancora una volta, le lacune del legislatore spostano altrove le responsabilità, ingenerando tra gli operatori che ogni giorno, in posizioni diverse, concorrono, ciascuno secondo le proprie competenze, ad erogare Giustizia, conflitti dovuti alla mera esasperazione.
Alla luce di tanto ed anche al fine di evitare che l’adozione di una pletora di protocolli e/o misure organizzative possa ingenerare innumerevoli contenziosi conseguenti alla loro applicazione, ci sembra doveroso esortare la S.V. Ill.ma alla immediata redazione di linee guida univoche per tutti gli Uffici Giudiziari italiani, con contestuale indicazione dei parametri entro i quali, unicamente in ragione di peculiari esigenze logistiche, ciascun Dirigente di Tribunale possa discostarsi dalle stesse.
Occorre evitare che questo momento drammatico sia foriero di ulteriori ed assolutamente deleterie contrapposizioni ideologiche.
Gli Avvocati, in mancanza di un intervento univoco e tempestivo, si vedranno costretti ad una protesta che, in questo delicato momento, essi stessi vorrebbero scongiurare.
In ogni caso, essi porteranno a conoscenza dei cittadini i cui diritti hanno il compito di tutelare, la situazione di incertezza in cui è piombato l’esercizio della giurisdizione.
Ill.mo Sig. Ministro, la esortiamo alla Sua funzione di Garante del rispetto dei Principi di Legge perché non esiste uno Stato senza Diritto e non può esistere Diritto senza certezza.
Luisa Liguoro (Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata)
Alla centrale operativa della Compagnia Carabinieri di Giugliano in Campania arrivano diverse segnalazioni ma il messaggio è sostanzialmente lo stesso: “C’è una persona che sta passeggiando sull’Asse Mediano, sembra spaesato”.
I militari della sezione radiomobile della compagnia di Giugliano raggiungono in pochi minuti l’asse mediano. Ogni minuto può essere prezioso e la Gazzella dell’Arma percorre la strada – nota per essere percorsa ad alta velocità – in direzione Giugliano centro.
Ad un tratto compare l’uomo che vaga sulla corsia di soprasso contro le auto che sfrecciano. Lampeggianti accesi e segnalazione sul tetto dell’auto con l’avvertimento di rallentare e i carabinieri scendono dalla gazzella. Pochi secondi e l’uomo – visibilmente disorientato – viene messo in auto tra il vento, la pioggia e le auto. L’uomo, un 80enne del posto, è stato affidato ai medici del 118 e fortunatamente sta bene. I carabinieri successivamente constateranno che l’anziano si era allontanato poco prima da una casa albergo per anziani.
Una scossa di terremoto che ha avuto magnitudo 4.1, ipocentro a 10 chilometri di profondità ed epicentro a 5 chilometri dai comuni di Socchieve (Udine) e di Tramonti di Sopra (Pordenone) è stata registrata alle 22.19. Il terremoto è stato avvertito chiaramente in tutta la regione, da Pordenone a Udine, a Trieste. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia la scossa avrebbe avuto l’epicentro a Socchieve (Udine), piccolo comune della Carnia, a una profondità di dieci chilometri. La spallata è stata avvertita nettamente – anche in Veneto, in Trentino Alto Adige e nelle confinanti Austria e Slovenia – e i centralini dei vigili del fuoco hanno ricevuto decine e decine di telefonate. Al momento non si registrano danni a persone o cose.
“Abbiamo sentito un botto tremendo e abbiamo avuto tanta paura”, poi “è mancata la luce per alcuni minuti”. Lo ha detto a Rainews24 Coriglio Zannier, sindaco di Socchieve, il comune più vicino all’epicentro della scossa di terremoto di magnitudo 4.5 avvertita questa sera in Friuli-Venezia Giulia. Come danni, ha detto il sindaco, si registra “qualche caduta di tegole”, ma ora “stiamo tornando alla normalità”.
La vita di un uomo qualunque. L’acquisto di un’auto, la fila in banca per ritirare un assegno, le polizze assicurative e i bolli meticolosamente pagati. E poi gli esami medici, il ricovero e l’intervento chirurgico ottenuti in tempi record (questo forse non proprio come un comune cittadino). Man mano che emergono nuovi particolari sulla latitanza trentennale di Matteo Messina Denaroil quadro si fa più inquietante e si confermano i primi sospetti: il boss più ricercato del Paese conduceva una esistenza ordinaria grazie a una fitta rete di complici.
Oggi i carabinieri del Ros, coordinati dalla Procura di Palermo, ne hanno arrestati altri tre: l’architetto Massimo Gentile, siciliano da anni residente a Limbiate, in provincia di Monza, dove si occupa di appalti per conto del Comune e dove ha gestito decine di opere finanziate dal Pnrr; suo cognato Cosimo Leone, tecnico radiologo all’ospedale di Mazara del Vallo e Leonardo Gulotta. Salgono dunque a 14 i fiancheggiatori del capomafia finiti in cella dal 16 gennaio scorso, quando un blitz dei Carabinieri mise fine alla sua latitanza.
Da allora i militari con un paziente lavoro hanno tentato di ricostruire la vita alla macchia del boss. E stavolta hanno scoperto che a novembre del 2014 Messina Denaro andò personalmente da un concessionario auto di Palermo per acquistare una Fiat 500 e poi in banca a ritirare l’assegno da consegnare al rivenditore. Il boss usò una falsa carta di identità intestata all’architetto Massimo Gentile e indicò come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni quello di Leonardo Gulotta. L’input all’ultima indagine deriva da un appunto trovato in casa del boss.
La caccia al veicolo ha portato i carabinieri alla concessionaria dove è stata trovata la pratica dell’acquisto della macchina con i documenti consegnati dall’acquirente, tra i quali la fotocopia della carta d’identità su cui era stata incollata la foto di Messina Denaro. Il documento, che portava la firma dal padrino, conteneva alcuni dati corrispondenti a quelli di Gentile e altri falsi: come l’indirizzo di residenza indicato in “via Bono”. Per l’acquisito il capomafia ha versato mille euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di corso Calatafimi.
Allo sportello, per ottenere l’assegno, ha esibito il falso documento, versato euro 9.000 cash e dichiarato che il Denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Come recapito telefonico per le comunicazioni ancora una volta il boss ha lasciato il cellulare di Gulotta. L’auto è stata assicurata a nome di Gentile e in almeno un anno le polizze, come hanno mostrato le comparazioni grafiche, hanno portato la firma di Messina Denaro. Dalle indagini è emerso anche che nel 2007 l’architetto ha acquistato per conto del mafioso una moto Bmw che sarà poi lo stesso Gentile a portare alla demolizione in una officina a cui si fa riferimento in un pizzino nascosto in una sedia, trovato a casa della sorella di Messina Denaro, Rosalia.
I bolli di moto e auto nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, sette anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros. Poi c’è il fronte sanitario, tutto ancora da scandagliare. Al momento è emerso che il latitante ha potuto godere di aiuti importanti come quello ricevuto da Cosimo Leone, che si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia (Tac, come risulta da documenti sanitari, anticipata più volte).
Secondo gli investigatori, inoltre, Leone avrebbe costantemente informato dello stato del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato al boss l’identità per farsi curare. Sono decine i contatti telefonici tra i due nei giorni in cui il capomafia si trovava all’ospedale di Mazara scoperti dai carabinieri. E dalle analisi dei tabulati risulta evidente che Bonafede fece avere al boss un cellulare mentre questi era ricoverato.